Imparare a volare
18 Giugno 2019
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Imparare a volare

Dopo anni di attese, il famigerato Trono di Spade è andato nelle mani del ragazzino che non potendo più camminare, per aver perso le gambe a causa di una caduta da una torre, “ha imparato a volare” con la propria mente, sorvolando gli egoismi e le banalità umane, le lotte per il potere fine a se stesso e le invidie. Un’anima pura, insomma, votata ad un bene superiore, che attraverso il dolore e la perdita ha trovato un’altra strada.

In fondo, a bene vedere, è proprio questa la condizione stessa della disabilità: all’ apparenza una mancanza, una perdita, che costringe l’individuo a reinventarsi dalle proprie fondamenta, attivando risorse ed abilità ulteriori e diverse. Non a caso Pontiggia nel suo bellissimo romanzo, affermava che i bambini con disabilità nascono due volte, perché “devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile”. La seconda volta dipende da noi, da quello che sapremo dare, da quello che sapremo costruire accanto a loro.

Mi capita spesso di confrontarmi con altri genitori, su questa faticosissima seconda nascita, che spesso avviene nell’indifferenza della società civile e delle istituzioni che dovrebbero, almeno in teoria, fornire supporto. Il minimo comune denominatore delle storie che ho ascoltato spesso è la solitudine, la difficoltà di avere una vita sociale soddisfacente, l’impotenza di fronte agli atti di discriminazione diretta od indiretta che inevitabilmente i figli subiscono, anche nei contesti (primo tra tutti la scuola) in cui dovrebbero essere protetti.

Le famiglie molisane sono costrette a viaggiare anche solo per avere una diagnosi soddisfacente; quanto alle cure, il nostro territorio offre davvero poco e di nuovo si diventa pendolari della salute, pur di offrire ai propri figli un futuro migliore. Anche questo accade spesso nel silenzio e nell’ indifferenza programmatica delle istituzioni deputate a supportare i cittadini.

I momenti più belli sono però quando si condividono i progressi, anche minimi, compiuti dai bambini, dopo mesi e mesi di fatiche e terapie. C’è una parte di mondo che ignora quanto sia difficile e comunque appagante avere accanto una persona con disabilità. C’è persino una parte di mondo che ne ha paura, faticando a ritrovare una dimensione umana nei gesti e nei comportamenti spesso incomprensibili. Forse perché ci crediamo infallibili, la disabilità ci dimostra invece quanto siamo fragili ed inevitabilmente esposti al destino.

Se non ci fermassimo all’ apparenza delle cose, potremmo vedere che ci sono attimi di gioia e delicatezza anche nelle cose spezzate ed imperfette, e quanto sia paradossalmente gratificante riuscire a leggere l’essenza della realtà fuori dagli schemi consueti che la vita ci pone davanti. E soprattutto, capiremmo perché dovremmo ogni tanto tutti “imparare a volare” per cercare il fulcro delle cose, staccandoci dalla quotidianità per scoprire che una società che accoglie i più fragili è una società che non lascia nessuno da solo. Per arrivare alla conclusione, questa sì rivoluzionaria soprattutto in questi tempi bui, che l’accoglienza è la chiave della felicità per ognuno di noi.

Occorre andare contro tendenza, creando una politica dell’accoglienza, per supportare i cittadini più fragili nella prevenzione, nella cura, nella riabilitazione, nel vivere quotidiano. In questo modo nessuno avrebbe paura di essere esposto al destino, sapendo di poter contare su una rete di supporto. Dove non c’è paura, c’è speranza e voglia di abbracciare il futuro.☺

 

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