#iosonostatoacasa
18 Maggio 2020
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#iosonostatoacasa

Come sarebbe bello, a pandemia ampiamente superata, poter affermare, come ricordo di quanto accaduto: #iosono statoacasa. Sarebbe una perfetta anamnesi del personale contributo offerto per il superamento di un momento difficile, problematico e, per certi versi, tragico.
Restare a casa è stata l’unica medicina che al momento poteva, può ancora, arginare lo straripamento del covid19. Un virus prepotente, invadente, distruttivo che amaramente lascia una scia di morte, di scompiglio, di disappunto. Ha fatto tremare il mondo, ha messo in crisi ogni coscienza, ha costretto l’economia mondiale a trovare soluzioni alternative dinanzi alle moltiplicate esigenze. Finanche la fede ha dovuto trovare nuovi ed inediti percorsi per essere vissuta. Un microbo, per giunta invisibile, ha messo in ginocchio il mondo. Ha costretto statisti e senzatetto, ricchi e indigenti, regnanti e sudditi, papa e semplice battezzato a porsi dei limiti relazionali, affettivi, professionali e di ogni altro genere. #iosonostatoacasa è il ritornello, colonna sonora che tutti dovremmo far affiorare sulle labbra e di cui tutti dovremmo essere fieri d’aver posto in essere. È uno spartito che tutti dobbiamo suonare, ciascuno col proprio strumento musicale, con le capacità di cui si è dotati; occorre sincronizzarsi e creare una sinfonia melodica, ma, con tristezza, dobbiamo osservare come questo mai sarà possibile.
Per tanti, addirittura molti, dire #iosonostatoacasa è un lusso che non possiedono. Magari avessero potuto dirlo. Significherebbe che non avrebbero mai avuto il disagio di avere una casa di cartone, un rifugio di rimedio, una collocazione provvisoria su una panchina o, per i più fortunati, il caldo di una stazione. Insomma i senza tetto. Per loro è un miraggio poter affermare che sono stati a casa. Un desiderio, un sogno e quindi, come al mattino al risveglio ci accorgiamo d’aver sognato, così questa categoria di persone che sempre più diventa una folla immensa, dinanzi a chi grida: #restateacasa; #iorestacasa…. si accorge di dover sognare per poterlo pronunciare.
Sembra purtroppo anche una presa in giro, per loro, quando dai comunicati stampa, dalle “conferenze stampa”, dagli interventi a reti unificate del capo del governo, dai megafoni o dalle macchine della Protezione Civile, si amplifica, “intimando”, con voce metallica e asettica, di restare a casa. Ma quale casa se una casa non ce l’ho? Magari la avessi e potessi restarvici!!! Pensano, amaramente, coloro che sono costretti ad arrangiarsi.
Il coronavirus o covid19, che dir si voglia, ha messo in “scacco matto” tutti, nessuno escluso. Non ha fatto distinzioni tra categorie, tra ceti, tra professionisti, neppure all’anagrafe. Men che meno nelle aree geografiche. Ha reso tutti più uguali. Un po’ come la morte è una “livella”, così la pandemia, direbbe il buon e saggio Totò.
C’è di buono che questa pausa obbligata e inerzia imposta, a cui ci ha costretti il virus, ha prodotto degli effetti benefici collaterali tra cui porre attenzione, accorgerci, “zoom mando” sulla precarietà di tanti, che esiste la piaga della mancanza di casa per tanti concittadini. Cosa da sempre saputa ma celata o non riconosciuta come problema da risolvere. C’è tuttavia in tutto questo un retrogusto di amarezza e tristezza: l’attenzione ai meno abbienti non è stata determinata dalla cura, dalla premura e dall’ attenzione che si deve loro ma è stata “imposta” dallo stato delle cose. Il maestro di questa lezione è stato un virus pernicioso e mortifero. Le considerazioni positive suscitate, queste sì debbono trasformarsi in virus che si diffonde e contagia il maggior numero di persone. Dobbiamo rivedere il nostro modo di vivere, il nostro modo di approcciare i problemi della povertà. Dobbiamo essere capaci di risolvere le precarietà abitative, la mancanza di risorse primarie, le controverse ed articolate necessità di chi manca di un reddito per una esistenza dignitosa, di una collocazione abitativa. Solo allora potremo gridare con maggiore forza, senza timore di offendere nessuno: #iorestoacasa; #iosonostatoacasa.
Un altro slogan dipinto variamente e fantasiosamente da tanti bambini e fanciulli sotto un policromatico arcobaleno è stato: #andratuttobene. Un ottimo auspicio, antidoto e flebo speranzosa, per consolare gli animi e per evitare derive e complicazioni depressive, ma al desiderio manca l’approdo alla fine di un incubo. Ai senza tetto, ai più vulnerabili, ai più deboli della società non fermiamoci a dire #andratuttobene, perché non ci crederanno. Questo non li ripara dal rigore del freddo, dall’instabilità e precarietà, dalla fame e dalla necessità di lavarsi e non solo pulirsi spesso le mani. Invece, prendiamoli per mano e invitiamoli alle nostre mense, procuriamo loro un rifugio, un lavoro, adoperiamoci perché abbiano una casa e allora in coro, loro compresi, potremo gridare a squarciagola:#andratuttobene e #iorestoacasa.☺

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