Israele contro palestina
10 Ottobre 2024
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Israele contro palestina

L’etnonazionalismo, ossia il nazionalismo su base etnica, è quello che sta perseguendo da più di settanta anni lo Stato d’Israele a danno dei palestinesi. Questa strategia di espulsione dei palestinesi dalle loro terre la sta a dimostrare il conflitto atroce che, da quasi un anno, divide in maniera acre e velenosa Israele e i palestinesi di Gerusalemme est, della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Vorremmo – e lo sottolineiamo mille volte! – ricordare che i crimini di guerra e quelli contro l’umanità li condanniamo senza ombra di dubbio: quelli perpetrati sul territorio israeliano il 7 ottobre 2023 dai guerriglieri di Hamas, come pure quelli, genocidari, che sono sotto i nostri occhi ancora oggi e che sta compiendo Israele nella Striscia di Gaza. Questo conflitto condanna a morte in definitiva i palestinesi della Striscia di Gaza, considerati tutti o terroristi e complici di Hamas o incivili, “animali”, cioè non esseri umani, come è stato detto e ripetuto più volte da alcuni ministri, sionisti, dell’attuale governo israeliano.
La Striscia di Gaza dagli storici, dagli scrittori e dagli studiosi più accorti, sia israeliani – Ilan Pappè – sia palestinesi – Edward Said, Susan Abulhawa – è considerata la prigione a cielo aperto più grande al mondo. E tale disegno espansionistico di Israele, che ricade sulla testa dei palestinesi, viene anche puntualizzato dal giornalista investigativo australiano, Antony Loewenstein, che ha avuto parenti, profughi ebrei, che hanno lasciato la Germania per non cadere nelle maglie delle persecuzioni naziste, nel suo volume Laboratorio Palestina. Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo (Edizione Fazi): “L’ etnonazionalismo vecchio stampo di Israele e il trattamento spietato che riserva ai palestinesi, un tempo un handicap sul piano internazionale, sono diventati degli asset, delle carte da sfruttare a proprio vantaggio”, hanno scritto nel 2019, sul New York Times, Max Fisher e Amanda Taib.
Alla luce di questa premessa e di questa puntualizzazione comprendiamo l’ accanimento spietato dei coloni israeliani, protetti dall’esercito israeliano, nel processo di colonizzazione e di esproprio, come anche quello dell’esercito d’Israele nei confronti dei palestinesi gazewi, indifesi ma massacrati. Ci riferiamo alle scene drammatiche dei bombardamenti sulle scuole, sulle università, sugli ospedali, sugli edifici di culto, sulle strade, anche con i cosiddetti “cecchini”; e tutto ciò rappresenta la volontà dell’attuale governo e parlamento israeliani di sradicare dalle loro terre i palestinesi, annettendo allo stato di Israele i territori arabo/palestinesi. E questo è illustrato nel progetto sionistico di creazione dello Stato israeliano, piano che esprime nello stesso momento la chiusura di Israele nei confronti del movimento per l’ autodeterminazione del popolo palestinese ad uno Stato autonomo e libero. Dinanzi alle distruzioni di tutto quello che funzionava (o che poteva funzionare, in considerazione delle condizioni di vita dei palestinesi, che la libertà di movimento l’hanno solo desiderata e mai in concreto realizzata!) ci chiediamo quale sia la lettura critica di tale situazione di asservimento politico, e di controllo sociale, da parte degli scrittori, degli artisti, degli intellettuali palestinesi, che, descrivendola, condannano pienamente la catastrofe genocidaria che sta sotto i nostri occhi.
Taluni cenni li abbiamo già anticipati in precedenti contributi su questo tema (Shibli; Abulhawa). Ci sembra opportuno nello stesso momento soffermarci sulla figura e su un racconto breve di Ghassan Kanafani, considerato l’ autore più rappresentativo della prima stagione della letteratura della resistenza palestinese.
Ghassan Kanafani (1936-1972) ha alternato la militanza politica rivolta alla libertà della Palestina dall’occupazione israeliana – iniziata dal 1947/48 e consolidatasi dal 1967, quindi da circa 50 anni – con quella della produzione letteraria, che è nel pieno filone della letteratura della resistenza palestinese. È morto nel 1972, vittima di un attentato. Prima di lui ci sono stati molti intellettuali che hanno descritto la vita dei palestinesi, resa estremamente precaria e priva delle fondamentali garanzie che offre una democrazia liberale a causa della concezione sionista, suprematista per la quale la terra promessa dal loro dio, Jahvè, cioè la Palestina, appartenga esclusivamente agli ebrei, sia di quelle migliaia di famiglie che già vi si erano insediate da decenni e sia di quanti, dall’Europa orientale, in special modo, intendevano stabilirvisi.
Infatti, gli ebrei, emarginati e perseguitati – ricordiamoci della dolorosissima Shoah -, nei paesi dove vivevano, intendevano stabilirsi nella Palestina, sradicando da questa regione tutti gli arabi palestinesi che da sempre vi abitavano (sappiamo nello stesso momento che ci sono tante/i cittadine/i e associazioni israeliane che non condividono tale atteggiamento politico e tali comportamenti aggressivi e razzisti).
All’interno di queste premesse e di questo clima storico si inseriscono la figura politica e la produzione letteraria di quello che è considerato il padre della produzione artistico/letteraria della resistenza palestinese, e cioè Ghassan Kanafani (1936/1972).
In effetti, l’attività politico/sindacale e la sua produzione intellettuale – poeta, saggista, scrittore – si inseriscono in questa cornice di dolore e di atrocità che destabilizzeranno l’ intera popolazione palestinese. Infatti, a causa della Nakba – la catastrofe per i palestinesi, 1948 – Kanafani è costretto a lasciare il suo Paese, trasferendosi in Libano e successivamente in Siria, dove comincia a lavorare nell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency), l’organo delle Nazioni Unite per l’assistenza ai profughi palestinesi. Sempre come dipendente di questa struttura dell’ONU, Kalafani si trasferisce – 1956 – in Kuwait, dove comincia a scrivere e a pubblicare i suoi primi racconti brevi. Qui Ghassan Kanafani soffre per la sua condizione di profugo, ma è in questo paese che comincia a condividere la condizione di sofferenza e di emarginazione socio/politica con molti altri profughi palestinesi.
Kanafani scrive un racconto che s’ intitola Una perla per la strada, in cui narra la vicenda dolorosa di un giovane esule dalla Palestina, che, al posto di pensare di tornare nel suo paese, disperato com’è in quanto suppone che potrebbe essergli irrealizzabile il ritorno nella sua terra, decide di andare in riva al mare alla ricerca di una perla, immaginando che in questo modo possa cambiare radicalmente la sua vita e, di conseguenza, vivere con serena tranquillità lo stare anche lontano dalle sue radici socio/culturali. Di qui, fin dall’inizio della sua produzione letteraria, Kanafani dimostra la sua dote di saper entrare nei suoi personaggi, rappresentandoli come esemplari di quella umanità, privata con violenza, ancora impunita, della propria Terra e di tutto quello che vi si può in condizioni normali costruire. (continua)☺

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