La giamaica “emigra” in germania
14 Novembre 2017
laFonteTV (3827 articles)
Share

La giamaica “emigra” in germania

Il grigiore degli ambienti del Parlamento tedesco, ai più noto come Bundestag, fa da giusta cornice al cielo plumbeo che sovrasta Berlino e che mai come in questo periodo sembra l’intonazione consona rispetto al risultato prodotto dalle urne lo scorso 24 settembre, giorno in cui si sono svolte le elezioni politiche.

La Germania, fulcro della Mitteleuropa, la cui consultazione elettorale doveva segnare (secondo gli eurocentrici) il principio della rinascita post Brexit, ha invece paradossalmente riaperto il dibattito sulla stabilità del Vecchio Continente che ha mostrato il suo lato più debole proprio nel paese che doveva garantire certezze e stabilità future.

L’aria caliginosa di un autunno che nei dintorni della Porta di Brandeburgo si annuncia sempre con maggiore anticipo rispetto ai vicinanti, poco si attaglia ai colori ed alle atmosfere che i dibattiti post voto stanno invece richiamando tra gli addetti ai lavori e non. Questo è dovuto all’eco che il termine Giamaica sta suscitando al di là delle Alpi e che sta diventando sempre più ridondante ogni giorno che passa, nonostante il voler leggere legami tra i due paesi risulta davvero arduo, se non per la vicenda del cittadino giamaicano più famoso, quel Bob Marley che nel lontano 1981 si recò a Monaco di Baviera per un consulto medico dal dottor Josef Issels, specializzato nel trattamento di malattie in fase terminale, tuttavia senza esito.

Tornando alla stringente e fredda realtà, più che dell’importazione di un modello del paese caraibico con atmosfere provenienti da Kingston, nelle quali neppure Usain Bolt c’entra nulla, il termine sta a rappresentare alcune opzioni di coalizione partitica che la Cancelliera Angela Merkel potrebbe porre in essere, decretando la fine di ogni ipotesi di riedizione di Grossa Coalizione di marca cristiano-social-democratica sperimentata con successo nelle precedenti legislature.

L’opzione Giamaica, di cui da settimane si sta discutendo a Berlino, prevede l’alleanza di Unione, Verdi e Liberali, i cui colori ufficiali sono appunto simili a quelli della bandiera del paese caraibico: la Cdu/Csu della Merkel ha il nero, i Liberali di Fdp il giallo, Die Grünen il verde. Questa coalizione non è mai stata al governo a livello federale, ma è stata sperimentata a livello locale solo ad Amburgo e, con successo, nel Baden-Württem- berg.

Questo acceso dibattito pseudogeografico e per certi versi cromatico, ha spento l’eco della storica, seppur meno brillante del solito, vittoria di Angela Merkel alle elezioni federali, che le hanno tuttavia garantito il quarto mandato consecutivo, eguagliando così il suo mentore, Helmut Kohl, recentemente scomparso.

Statistiche a parte però, la vera eminenza grigia nello scacchiere tedesco, colui di cui poco si parla, ma che ha un peso specifico più che notevole e che potrebbe portare la Giamaica all’interno del Bundestag, risponde al nome di Peter Altmaier, capo dell’apparato politico della Merkel, vignettato di recente sulla Bild con il titolo “Mr Boombastic” ed agghindato con i colori giamaicani e gli inevitabili capelli rasta.

Altmaier è considerato il trait d’union tra la Cancelliera, i verdi e i liberali, ma soprattutto è colui che negli ultimi anni è stato al centro delle principali decisioni dell’esecutivo, dal bailout greco fino alla concretizzazione della “rivoluzione energetica”, con il proliferare di pale eoliche un po’ ovunque nel paese. Sempre a lui è attribuibile il negoziato con la Turchia, come anche l’accordo sui migranti e la gestione dei negoziati sulla Brexit.

Tuttavia, nonostante la mediazione di Altmeier e come il più classico dei paradossi della politica, questo successo elettorale potrebbe rivelarsi la classica vittoria di Pirro, dato che per ritrovare un risultato così negativo della Cdu (33% dei voti, un calo vertiginoso dal 41% raggiunto nel 2013), bisogna tornare indietro all’immediato dopoguerra, al 1949.

Le ragioni di questa perdita di consensi non sono difficili da trovare: se si considera l’economia tedesca alla stregua di un piano inclinato infatti, al Nord del campo il feticismo del risparmio avvantaggia i tedeschi ma al contempo sta spaccando l’Europa in due. Il problema evidente è che in Germania nessuno ne parla, anzi: in campagna elettorale nessun partito ha criticato l’austerity, forse perché, nell’era Trump, in cui non si stimola alla cooperazione, bensì alla competizione fra stati, in cui a vincere sono gli egoismi nazionali, questo rigore probabilmente è ben accetto.

Questa volta però, dopo il risultato delle elezioni federali, le cose cambiano e segnano la fine definitiva dell’era di tranquillità e stabilità che aveva caratterizzato il sistema politico, con pochi partiti moderati e maggioranze stabili. Il futuro dimostrerà dunque se la nuova Germania, qualora si tingerà di tinte giamaicane, avrà la forza e soprattutto il coraggio per iniziative significative a livello europeo, oppure si limiterà a tutelare i propri interessi come usualmente ha fatto, dovendo rinunciare però stavolta per sempre, al suo ruolo di centralità europea.

L’auspicio è che dal cuore perduto dei Caraibi, da cui idealmente prenderà le mosse la prossima legislatura, la Cancelliera trarrà l’ispirazione necessaria per far sì che la Germania sia finalmente uno stato nell’Europa piuttosto che uno stato dell’Europa.

 

laFonteTV

laFonteTV