la lingua dei nostri padri
19 Aprile 2010 Share

la lingua dei nostri padri

 

Le composizioni elaborate dagli alunni della mia classe, una terza Primaria (ex elementare), per il “Premio di poesia in vernacolo” promosso dall’Associazione ’A Paranze di Termoli, sono connotative, originali e spontanee anche se non sempre hanno i requisiti di vere e proprie poesie, dovendo queste rispettare schemi e stili. Ma al di là della poesia, l’iniziativa si pone come impegno maggiore quello di avviare i giovanissimi a scoprire il dialetto, a gustarne le espressioni più autentiche. È un invito a leggerlo, a scriverlo, perché esso è la cultura del nostro passato; è la lingua con cui i nostri padri sono cresciuti, hanno gioito, hanno pianto.

Non si tratta di vere e proprie poesie – si diceva – ma di un festoso luna park, di un esercizio della fantasia denso di fascino ed atmosfera; un’atmosfera che fa rivivere il passato secondo un’ottica molto attuale nella costante ricerca di una lingua dialettale, molto disinvolta.

Attraverso il dialetto i nostri piccoli “poeti” ci invitano a non dimenticare il passato per sperare nel futuro; ci lanciano, dunque, un messaggio molto significativo: il dialetto è un patrimonio importante che non deve essere disperso. Nel dialetto infatti è ancora forte la presenza di un patrimonio etnico, che non è soltanto testimonianza del passato, ma anche un elemento di continuità culturale tipica ed insostituibile.

Questa occasione offre ai bambini il modo più naturale per rivelare con semplicità i desideri, i pensieri, i sogni, le attese, le speranze che abitano i loro piccoli cuori. Motivi di ispirazione sono gli affetti familiari, le storie di ogni giorno, i luoghi, le tradizioni, la natura. E le parole, nella poesia dialettale, diventano lo strumento più semplice, più efficace, più immediato per esprimerli.

Gli alunni studino pure le lingue straniere per aggiornarsi coi tempi, ma non trascurino il dialetto: sarebbe come rinnegare le proprie origini e quindi la storia. Del resto il lavoro di lettura e di scrittura del dialetto è previsto dagli stessi attuali Programmi Ministeriali al fine di rilevare corrispondenze lessicali e differenze linguistiche tra forme dialettali e non.

“Non si può vivere senza poesia, senza colore e soprattutto senza amore”, scriveva A. de Saint-Exupéry. Noi aggiungiamo senza amore per il passato.

Grazie al piccolo Francesco per essersi distinto nel concorso e per averci saputo coinvolgere nel mondo fantastico, proprio dei bambini della sua età, con la lingua dei nostri padri.

E grazie anche al gruppo ’A Paranze per aver offerto ad altri “poeti in erba” della stessa classe, l’opportunità di attingere a quella meravigliosa fonte di cultura qual è appunto il dialetto.

 

Quille che fa ’i pazz’jerelle   

Quille che fa ’i pazz’jerelle

tè ’a ’m’ciz’je

che tutte ’i c’t’le:

’i bbelle,

’i bbrutte,

’i studiose,

’i d’sp’ttuse.

Tu che faje ’i pazz’jerelle

vive ’nde nu monne bbelle,

cambe de fandesije,

de sonne,

de pezzije

cumme n’sciune!

Ecche p’rché

tutte ’i ’uegliune

so’ ’i ’m’ciz’je tè:

tu i’ saje trasc’nà

’ndu monne sp’nz’rate,

i’ faje pazz’jà,

i’ faje sunnà!

Francesco

 

IL GIOCATTOLAIO

Quello che costruisce i giocattoli

ha l’amicizia

con tutti i bambini:

i belli,

i brutti,

gli studiosi,

i dispettosi.

Tu che costruisci i giocattoli

vivi in un mondo bello

vivi di fantasia,

di sogni,

di giochi

come nessuno!

Ecco perché

tutti i ragazzi

sono amici tuoi:

tu li sai trascinare

in un mondo spensierato,

li fai giocare,

li fai sognare!

 

 

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