La lotta delle nonne
3 Dicembre 2014 Share

La lotta delle nonne

La storia è una di quelle cui non si crederebbe se a provare che non si tratta di una favola non ci fossero quotidiani e televisioni di tutto il mondo. Come si fa infatti a ritenere possibile che una nonna di più di 80 anni ritrovi un nipotino, figlio di una figlia ammazzata dai torturatori di una dittatura fascista e scomparso dalla nascita, avvenuta 40 anni prima in un luogo di tortura, la Concha, a Buenos Aires?

Eppure è accaduto, e la vicenda è tanto più straordinaria se si pensa che la nonna in questione, Estela Carlotto, argentina ma sposata a un oriundo italiano, è la leader delle abuelas della plaza de majo, le nonne della piazza posta di fronte alla casa Rosada, il palazzo presidenziale argentino dove ogni settimana, per 34 anni, hanno manifestato per reclamare i loro nipoti scomparsi. Da tempo Estela non sperava più di riuscire a conoscere la creatura strappata dal grembo della figlia Laura, una delle tante giovani donne che, come i  ragazzi, animarono la lotta contro i militari golpisti, a migliaia fatti sparire nel nulla, gettati dagli aerei o i loro corpi bruciati. La parte migliore di una generazione, perché quella che non si era rassegnata, desaparecida. E però Estela  aveva continuato a battersi per le sue compagne e per il principio, per tenere viva la coscienza degli argentini e del mondo sull’orrore della dittatura che ha infestato l’Argentina dal 1976 al 1983.

Per la verità successi le abuelas ne hanno in questi anni ottenuti e non pochi: 115 bambini recuperati alla loro identità reale e all’affetto delle loro famiglie naturali, almeno dei nonni se non più dei genitori trucidati. È potuto accadere perché con accanimento si sono messe a cercare, a investigare – con non poco pericolo personale – fra le carte delle Forze Armate che avevano compiuto il colpo di stato fascista, per scovare le tracce di nascite nelle prigioni o nelle caserme dove si torturava; e poi fare i riscontri con le date delle iscrizioni all’anagrafe e le registrazioni delle adozioni. Perché i bambini partoriti in quelle drammatiche condizioni, da – si calcola – circa 500 giovani militanti arrestate, spesso incinta per via dell’età, erano stati dati a coppie di militari che ne avevano fatto richiesta.

In una seconda fase, dopo che cominciarono ad emergere le coincidenze che avvaloravano le loro ipotesi, le abuelas hanno raccolto il loro stesso dna e lo hanno depositato in una sorta di banca dati. E così via via che rintracciavano un bambino che sembrava corrispondere al loro sospetto, ebbero la possibilità di denunciare e verificare la validità della loro accusa.

Per Estela la scoperta è avvenuta diversamente: è stato suo nipote stesso, ormai quarantenne, che ha cominciato a nutrire qualche dubbio sulle circostanze della propria nascita. Non perché non provasse affetto per i suoi presunti genitori che lo avevano sempre trattato come un figlio, ma per una serie di particolari che non coincidevano e che lo hanno insospettito. Così lui stesso, di sua iniziativa, è andato a fare la prova del dna e grazie alla banca dati è stato possibile riscontrare il rapporto con una delle nonne, Estela per l’appunto.

Per nessuno si è trattato di una esperienza facile. Quasi sempre i bambini erano stati trattati con affetto e la scoperta non poteva risultare che in un trauma. Le nonne – ci dicono le cronache – si sono comportate molto bene: senza senso rivendicativo né spirito di vendetta, senza strappare i ragazzi, peraltro ormai non più bambini, alla famiglia adottiva. Ma sono volute andare fino in fondo non solo per il comprensibile, legittimo desiderio di abbracciare quanto era nato dal grembo delle loro, disgraziate, figlie ma per una ragione politica: dar conto dell’orrore della dittatura.

Pochi giorni fa, il 7 novembre, Estela è venuta in Italia con il nuovo nipote, Guido Ignacio, oggi musicista affermato e sposato. Insieme a lui e ai parenti italiani, i Carlotto, hanno fatto visita a papa Francesco. Che li ha accolti e abbracciati.

Si è trattato di un evento significativo: le abuelas, quando Bergoglio era diventato papa, avevano condiviso la diffidenza che in Argentina c’era stata nei suoi confronti per via di voci che avevano indicato una sua corresponsabilità nella sparizione di due sacerdoti gesuiti. Le testimonianze emerse da allora hanno dimostrato il contrario, che papa Francesco si è anzi adoperato per salvarli. “Stiamo ricostruendo con fatica la storia di quel terribile periodo, dovete capirci” – ha detto Estela. Importante è che nel frattempo gli archivi vaticani, prima d’ora chiusi  ad ogni consultazione, per effetto di una modifica del diritto canonico voluta proprio dal papa, possono ora esser aperti quando è in corso una causa penale. Una novità non di poco conto.

Da ora in poi – ha annunciato Estela Carlotto – l’arcivescovo di Santa Fè, capo della Conferenza episcopale argentina, collaborerà ufficialmente con loro nella ricerca da cui non desistono.

Purtroppo il gesto  del papa – aver invitato i Carlotto in Vaticano – non è stato ripetuto da alcuna alta autorità italiana. ☺

 

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