la lungimiranza dei costituenti
13 Aprile 2010 Share

la lungimiranza dei costituenti

 

La Costituzione italiana nasce al termine del terribile conflitto mondiale provocato dalla tragica esperienza dei sistemi totalitari nazifascismi, per cui si autodefinisce “antifascista”;  con una sorprendente opera di sintesi essa riunisce insieme le “anime” delle visioni politiche del tempo, che arrivavano accomunate nella lotta antifascista, ma rimanevano, in parte,  opposte fra loro nel progetto ideale di società di cui ognuna era portatrice. Ricordiamo le linee portanti delle tre posizioni fondamentali: liberalismo, socialismo/comunismo, la visione cristiano-cattolica.

L’idea fondamentale del liberalismo è che l’individuo ha un valore assoluto, indipendentemente dalla società e dallo Stato di cui fa parte; lo Stato è il prodotto di un libero accordo tra gli individui (contrattua- lismo). Tale visione nasce dalla crisi della concezione autoritaria e gerarchica della società medioevale e si sviluppa in diversi filoni progressivamente confluenti. Nelle guerre di religione si propone come liberalismo religioso: affermazione della libertà religiosa, libertà di credere secondo coscienza e non per imposizione.  Frutto di tale pensiero è il principio di tolleranza: nessuno deve essere perseguitato a causa della propria professione di fede. Si sviluppa poi come liberalismo economico nelle idee dei primi teorici dell’economia e, in genere, nei pensatori illuministi. Afferma il diritto dell’individuo a disporre e far circolare i beni, su cui le monarchie assolute imponevano vincoli protezionisti statali, e a svolgere la propria iniziativa nel campo dell’economia, secondo le proprie capacità e non seguendo altra regola che quella del proprio interesse individuale, sino al limite in cui questo non contrasta con l’interesse altrui. A tale concezione è legata l’idea di concorrenza come metodo di convivenza e pungolo del progresso sociale. Matura infine come liberalismo politico, ossia una concezione dello Stato il cui  fine non è positivo – provvedere, ad esempio, al bene comune –  ma  negativo, nel senso di rimuovere gli ostacoli che impediscono all’individuo di sviluppare le proprie capacità e il proprio talento. Lo Stato é arbitro nella gara degli interessi individuali e non promotore di interessi comuni. Per evitare comunque la prevalenza di qualcuno, lo Stato è chiamato a riconoscere i diritti naturali dell’individuo e si organizza in modo che le funzioni principali vengano esercitate da diverse persone o organi indipendenti tra loro e cooperanti (separa- zione ed equilibrio dei poteri).

Contemporaneamente si afferma, contro l’assolutismo, l’idea democratica dell’eguaglianza dei cittadini. Il potere, prima assoluto, appartiene non ad uno solo o a pochi, ma a tutti i cittadini: è la “democrazia”. Avrà varie forme, ma un concetto è fondamentale e comune: la sovranità popolare. Il potere di dettar leggi e di farle eseguire risiede nel popolo che può trasmettere l’esercizio di questo potere temporaneamente ad altri, suoi rappresentanti, ma non può rinunciarvi ed alienarlo per sempre.

L’ideale socialista muove da una aspirazione egualitaria, ma considera l’eguaglianza politica e giuridica un’egua- glianza puramente formale: che il potere politico sia diviso fra tutti i cittadini e che tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge non è sufficiente. Detentore del potere, capace di opprimere gli altri, non è solo quello politico, ma soprattutto il potere economico, al quale, spesso, il potere politico è asservito. Di conseguenza la causa delle ingiustizie sociali è la differenza fra ricchi e poveri. Pertanto occorre instaurare un ordine in cui sia combattuta tanto la diseguaglianza politica quanto quella economica. Il mezzo per raggiungere tale obiettivo è, secondo l’idea più radicale, l’abolizione, in tutto o in parte, della proprietà individuale e l’instaurazione di un sistema sociale fondato sulla proprietà collettiva. La trasformazione della proprietà implica una profonda trasformazione nella funzione dello Stato: uno dei suoi principali compiti è quello di intervenire per indirizzare le attività economiche verso fini di interesse generale, ora nel proteggere i più deboli con forme di assistenza (Stato assistenziale, Welfare State), ora dirigendo, attraverso una pianificazione, l’economia del paese (Stato collettivista).

Alla fine del XIX secolo si venne formando una nuova dottrina politica e sociale che prese posizione, con un programma di conciliazione tra i due maggiori contendenti (liberalesimo e socialismo): la dottrina sociale della Chiesa cattolica, nota col nome di “cristianesimo sociale”.

Rifiuta il presupposto individualistico e la libertà di concorrenza del liberalesimo che condurrebbero ad una lotta di tutti contro tutti, ove il più povero è destinato a soccombere. Pur accettando, del socialismo, l’esigenza di proteggere le classi più umili contro quelle dei più potenti, (quella che si chiamò la “questione sociale”), rifiuta la tesi socialista dell’abolizione della proprietà privata, considerando la proprietà un diritto naturale, cioè un diritto senza il quale l’uomo non può sviluppare appieno la propria personalità. Aspira, anzi, alla sua più ampia diffusione, in modo che possano diventare proprietari – attraverso forme che vanno dalla frantumazione della grande proprietà agricola alla partecipazione azionaria degli operai alle grandi imprese – il maggior numero di individui. Propone però la distinzione tra il diritto di proprietà, che è privato, dall’uso di essa, che è sociale, poiché la persona umana è un essere relazionale. La persona può avere diritti individuali sui beni economici, ma sia per il precetto evangelico della carità, sia ricorrendo alla regolamentazione coattiva dello Stato, si deve esigere un uso di questi beni che non sia nocivo alla società e che contribuisca al bene comune. Contro il liberalismo, sin dall’inizio, la dottrina sociale della Chiesa ammise che lo Stato dovesse intervenire nella vita economica soprattutto per proteggere le classi più povere e promuovere legislazione sociale. Ma attenuò lo statalismo sostenendo, per il principio di sussidiarietà, la necessità che si formassero e fossero riconosciute le libere associazioni a scopo economico e sociale, le quali permettessero, da un lato l’attuazione dell’idea solidaristica, superando l’individua- lismo, ed evitassero, dall’altro, il pericolo di cadere nel livellamento collettivistico.

A ripercorrere la Costituzione, oggi, soprattutto dopo l’ubriacatura di un liberalismo economico senza regole e senza limiti, nei cui danni immani siamo immersi, possiamo apprezzare quanta lungimiranza ebbero i padri costituenti e quanto sia attuale la loro visione di equilibrio e di giusto accostamento di quanto ogni ideologia offriva per una società solidale, libera, democratica dal cui progetto l’azione politica dei governi si è distaccata senza generare una speranza migliore. ☺

 

eoc

eoc