La mala pianta della solitudine
5 Gennaio 2024
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La mala pianta della solitudine

Il ministero della solitudine è una bella opera teatrale della compagnia “La casa d’argilla” che narra di un luogo reale – immaginario, dove si cura una vera e propria epidemia di solitudine.
È il Virus occidentale dei nostri tempi, una pianta che è cresciuta rigogliosa nelle nostre metropoli, nei laboratori del capitalismo contemporaneo e che contagia con grande rapidità anche i nuovi arrivati. Mi è capitato di vedere più di una volta, 50 anni or sono, negli Stati Uniti, camping di roulotte dove anziani vivevano in totale solitudine. Più di recente in una conferenza a Pechino sul grande problema dell’invecchiamento della società cinese i relatori ripetevano il mantra forte e impotente di XiJping sull’amore filiale. Un richiamo inascoltato, un vano tentativo di affrontare quello che per i cinesi è un enorme problema sociale, dietro il quale si vede un grande vuoto sentimentale e una drammatica dispersione sociale. Ormai in Cina un anziano su quattro dichiara di vivere solo.
Pensare che il problema sia solo degli anziani sarebbe un grave errore. In Giappone sono tantissimi i giovani che si chiudono in solitudine nelle loro stanze, il governo giapponese nel 2022 ha stimato in un 1,5 milioni i giovani (Hikikomori) che scelgono volontariamente di ritirarsi dalla vita sociale. In Gran Bretagna nel 2018 la presidente May, di fronte a 9 milioni di persone colpite dal virus della solitudine, ha proposto un vero e proprio “Ministero della solitudine”.
In Italia, secondo EUROSTAT, una persona su otto si sente sola, non ha nessuno a cui chiedere aiuti, nessuno con cui dialogare e condividere i problemi della vita; il 13,5% dei giovani dichiara di non avere una persona a cui confidare le proprie difficoltà.
La solitudine si presenta quasi fosse una malattia dell’animo, causata da un virus socialmente indifferente e neutro, priva di qualsiasi parentela con la politica. Ma non è così, non è in superficie e non lo è ancor più se andiamo in profondità. Secondo l’ISTAT la presenza di una rete famigliare più estesa, un titolo di studio elevato e un alto reddito famigliare sono fattori protettivi contro la solitudine e l’abbandono. Certo la percezione della solitudine e i suoi effetti non raramente valicano le classi sociali, ma nella realtà essa è in primo luogo una patologia che colpisce i ceti sociali più deboli, culturalmente ed economicamente disarmati.
Se poi andiamo in profondità allora cogliamo tutte le connessioni con il sistema che questa moderna patologia evoca. È il neocapitalismo – e le sue filiazioni – ad aver alimentato la mala pianta, il collasso di quei valori sociali che hanno dato un senso alla nostra civiltà e ad aver aperto le porte al disfacimento sociale ed etico del sistema. Il vecchio modello, i suoi architravi ideologici come la famiglia, la religione, una malintesa etica del lavoro andavano superati entro una nuova dimensione civile, entro nuove regole di una comunità che conservava sé stessa. È accaduto l’opposto: il neoliberismo e da ultimo la globalizzazione hanno macinato antichi princìpi in nome e per conto di un consumismo, di un profitto e di un mercato senza anima e senza princìpi.
La solitudine, la frammentazione, il cannibalismo sociale sono i figli dell’ultima rivoluzione del sistema. Da dove ripartire è cosa complicata, dove riprendere il filo della cooperazione sociale e dall’alterità etico-politica alla moderna barbarie è cosa difficile. La destra reazionaria ha messo le tende fra le masse popolari, mentre ciò che resta della sinistra si sparpaglia fra radicalismi e opportunismi di varia natura. Ricostruire diritti e coesione sociale è un lavoro duro e di lunga lena che richiede pazienza ed umiltà, ed obbliga ad una attenzione a quelle contraddizioni che alimentano conflitti fra poveri, marginalità e solitudine sociale.
Nell’ultimo film di Ken Loach, The Old Oak, la Speranza viene dal Sud, da un popolo di migranti che sfugge alla guerra e alla povertà e che pur tuttavia è portatore di una umanità, di valori comunitari che coinvolgono e riscattano la solitudine di un proletariato inglese spiantato culturalmente e disperso socialmente. Ken Loach inventa un sentiero, una timida risposta a quel profondo senso di solitudine che ritroviamo anche nel capolavoro di Garcia Marquez, Cent’anni di solitudine, dove i personaggi sono soli anche quando si muovono tra la folla e dove la solitudine è segnata dall’ incapacità di amare e di offrire solidarietà.
Nelle nostre strade, nei luoghi pubblici come nelle case la virtualità ha preso il posto delle relazioni sociali e soprattutto la Politica si è ridotta ad un osso di seppia, colonizzata da lobbisti e affaristi.
Esiste del buono, sia nel mondo della politica e sia nella società, tanti e tante cose positive si muovono, tante e nuove forme di cooperazione sociale che vanno curate con grande attenzione. Qualcosa di buono si muove anche nel nostro Molise, qualche cenno si è avuto nelle ultime elezioni regionali, anche se poi è prevalso il peggio, un vero e proprio scippo politico da parte di politicanti di razza. Ancora una volta si è avuto il furto della speranza e della possibilità di un mondo migliore. È una umiliazione e un ricatto che da decenni subisce il mite popolo molisano.
Vi è però una grande differenza fra il passato e il presente. Ieri la vacca grassa del debito pubblico riusciva ancora a distribuire prebende e favori, oggi la musica è radicalmente cambiata e ai cittadini molisani arrivano solo mele avvelenate.
Cosa ben testimoniata dall’ultima penosa vicenda della sanità: i boiardi s’ ingrassano e i cittadini pagano l’addizionale IRPEF!☺

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