La mia vacanza
17 Ottobre 2019
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La mia vacanza

Anche quest’anno di vacanze manco l’ombra: né treni né traghetti né aerei per raggiungere la tale spiaggia o la tale città d’arte o regione d’Italia e del mondo. Tant’è, e nemmeno mi dispiace, perché sono persuasa che per trascendere l’ordinario, per essere vacanti e liberi, ci voglia ben altro che una valigia, una comitiva gioviale, un hotel, una meta lontana da casa un bel quot di chilometri.

La mia vacanza l’ho fatta comunque: qui in Molise, a Ferrazzano o poco lungi, in realtà stando a riposo ben poco, anima e mente si sono svincolate dal rigore di ritmi e gesti consueti, si sono fatte più aeree, sgombre; sono riuscita, insomma, a meglio fissare quei bagliori di senso che sempre ci si offrono ma che tralasciamo, a far pulsare la vena poetica che i poeti con la “p” maiuscola traducono per tutti in memoria e conoscenza e pure pena, come scriveva Mario Luzi in suo verso memorabile, e che noi altri, presi dal quotidiano tran tran, archiviamo e mettiamo da parte.

La mia estate si è popolata di percezioni belle di significato che, se fossi poeta, tradurrei in parole durevoli, se fossi un pittore fermerei in un’immagine, per sempre.

La prima ovviamente immortalerebbe i miei adorati nipoti, che solo d’estate posso pienamente godere: osservare la loro freschezza, ascoltare le loro voci da fringuelli, seguire i loro discorsi articolati e nudi insieme, e i loro ragionamenti così spontanei, immaginifici ma autentici, donare loro il mio ascolto, il mio affetto, il meglio di me stessa, è stato respirare l’ossigeno che sento spesso mancarmi, è stato lo sguardo su un fine ultimo e imperdibile, i bambini tutti e sempre, e la loro felicità.

La seconda immagine ritrarrebbe un instancabile lavoratore che mi ha tanto aiutato a sistemare orto, giardino, legna: Ferdinando, faticando dalla mattina alla sera, tuttavia sempre sorridente e garbato, mi ha fatto cogliere il vero valore del virgiliano labor omnia vincit, quanto dire che, stante la sforzo enorme, il lavoro prodotto con cura e dedizione annulla la nostra dimensione ferina, abbatte ottusità e rabbia, anche la rabbia del denaro, ci permette tramite ingegno e operosità di elevarci in un cammino di costruzione interumano e, perciò, sovraumano.

La terza immagine riprodurrebbe un posto a mio avviso quasi incantato del Molise, ovvero la rocca del Castello d’Evoli di Castropignano, verso la quale si è diretta una delle mie gitarelle domenicali:  poco discosta dal centro del paese e affacciata in posizione vertiginosa sulla valle del Biferno, che domina per un lungo tratto, la rocca d’Evoli, d’origine normanna, vanta lo strano fascino della decadenza, monito tangibile della nostra ormai indicibile caducità, ma, dotata com’è nella propaggine settecentesca di gigantesche cornici di finestra di gusto tipicamente neoclassico che consentono una vista mozzafiato sulla convalle sottostante e sul cielo che di lì sembra ad un dito, permette ai visitatori di sentirsi come siamo, sospesi tra terra e atmosfera, gravi e a rischio effettivo di scivoloni, tuttavia librati verso l’azzurro, tendenti all’infinito.

Il mio ultimo fermo immagine cadrebbe su Renato, chef di Civita di Boiano: filiforme e pensoso, lo diresti un duca di tempi ignoti o un peripatetico, poi scopri che è un vanto della cucina molisana oltre confine e che s’intende d’architettura, parecchio, mentre del cibo ti parla così, en passant, discreto tanto da non gridare allo scandalo se mangi taralli al finocchio molti e lonza di vitello assai meno, come faccio io; non mi ha dato lezioni su cosa quanto e in che modo si dovrebbe mangiare Renato né mi ha rimbrottato perché divoro senza gustare, si è limitato ad ospitarmi e a mostrarmi la sua locanda, rose sull’uscio e foto d’ epoca dentro, una familiarità essenziale ma calda; grazie a Renato ho capito che l’artigiano o l’artista o l’artefice d’eccellenza non può convincerci della bontà della sua creazione, né persuaderci ad assecondarne merito e scopi, se non siamo noi a riconoscerla tale bontà dal suo creato e dalla sua bottega, dai suoi attrezzi, dal suo fare, anche dal suo sapersi eclissare, per lasciarci libertà di scelta.

La vita, credo, è un caos di piccoli tasselli apparentemente incoerenti tra loro, dei quali per solito percepiamo il lampo che emanano o il buio che li circonda, solo andiamo di fretta, siamo distratti, non ne riflettiamo il senso, dimentichiamo; quando siamo in vacanza, quando siamo liberi, allora riusciamo a passare alla sfera dell’essere che fissa, ricorda, rende memorabile quanto accadde e andò perduto, quanto abbiamo percepito e poi smarrito; poeti con la “p” minuscola, poeti a nostro esclusivo uso, assaggiamo così bocconi di quel cosmo di cui facciamo parte e che ci sovrasta, organizzando il nostro umanissimo disordine.

Ma è settembre, tempo di ri-partire.

A presto.☺

 

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