la pace a scuola
17 Aprile 2010 Share

la pace a scuola

 

Antonio Nanni, uno dei nomi più rappresentativi della moderna pedagogia interculturale in Italia, parla di intercultura come “scommessa sul futuro, sia come rischio sia come speranza”: il rischio della sfida, di ogni sfida che la società contemporanea oggi ci lancia, in particolare quella di riuscire a elaborare una risposta positiva, solidale, lungimirante alla straordinaria mobilità umana che oggi caratterizza il pianeta. E la speranza della prospettiva, dell’aspirazione a fare di questa risposta un’opportunità di dialogo e di crescita per la convivenza umana, per la civiltà.

D’altra parte, scegliere l’intercultura come categoria di comprensione del presente, come metodo di indagine e come proposta educativa, significa in sostanza “respingere un modello di società come spazio delle identità separate per costruire insieme una convivenza democratica, lo spazio della comunità plurale”, nel quale non c’è omologazione, relativismo, impoverimento o perdita della propria specifica identità, bensì integrazione, apertura e rispetto per la diversità, disponibilità a (ri)conoscere la dignità del patrimonio culturale dell’altro decentrandosi dal proprio, e arricchendosi.

Un obiettivo certamente ambizioso e impegnativo che, però, la scuola e il mondo dell’educazione non possono evitare di considerare un “imperativo pedagogico”, come afferma Nanni, visto che – si legge nelle recenti Linee Guida ministeriali sull’educazione alla pace – “educare all’intercultura e alla pace significa anche pensare allo sviluppo economico-sociale in termini nuovi. Per lungo tempo si è creduto che il benessere economico fosse la componente essenziale dello sviluppo; oggi si ritiene che debbano essere prese in considerazione non solo le istanze economiche ma tutto il complesso delle esigenze umane ed ambientali”.

Ecco perché da più parti, oggi, si tende finalmente a superare l’equivoco di un’educazione interculturale tesa solo ad agevolare l’accoglienza e l’inserimento di alunni immigrati nelle scuole italiane o dei loro genitori nei contesti lavorativi e sociali di arrivo. L’educazione interculturale non è solo questo, così come non è solo l’insegnamento dell’italiano come L2 agli stranieri presenti nelle nostre classi: essa è educazione alla mondialità a tutto tondo, come educazione alla tolleranza, allo scambio di esperienze, al rispetto di qualunque tipo di diversità, disponibilità a cambiare punto di vista su se stessi e sugli altri e, in quanto tale, dovrebbe gradualmente innervare e ispirare i curricoli di tutte le discipline, diventando la “paideia” che orienta tutto l’agire educativo e che è finalizzata “alla formazione del cittadino del futuro come modello di integrazione nella società plurale”.

Non, insomma, un’educazione fra le altre, magari l’ennesima, ma “l’educazione”, ossia l’antidoto più efficace contro ogni forma di razzismo, se il razzismo – come afferma Tahar Ben Jelloun – non è che una persistente paura della diversità che si manifesta con un’escalation di violenza che va dalla diffidenza personale, al disprezzo collettivo, all’omicidio di matrice xenofoba, alla guerra.

“In conclusione – afferma Nanni – questa visione dell’interculturalità come via ordinaria del fare educazione nel nostro tempo, e dunque come cornice di connessione, punta a realizzare un arricchimento di confini, un’apertura di varchi e di codici culturali, una capacità di saper vivere con gli altri” e, aggiunge Pasquale D’Andretta “[…] di saper vivere, gestire, reggere, agire e valorizzare tutte le differenze che incontriamo sul nostro cammino e di cui siamo portatori noi stessi”.

Tali posizioni collimano d’altronde con la sensibilità che ispira tutta una serie di sollecitazioni nazionali ed internazionali volte a promuovere, negli ultimi tempi e in particolare adesso, l’educazione alla pace nella scuola.

Basti pensare al Programma Nazionale “La pace si fa a scuola”, firmato dal Ministro della Pubblica Istruzione Fioroni il 4 ottobre 2007 in occasione della Giornata Nazionale per la pace, celebrata ad Assisi; o alla risoluzione ONU 53/25 del 10 novembre 1998, con cui il periodo 2000/2010 è stato proclamato “Decennio Internazionale per una cultura di pace e di nonviolenza per i bambini e le bambine del mondo”; allo stesso, imminente 2008, dichiarato dalla Commissione Europea “Anno del dialogo interculturale” e dall’ONU “Anno dei diritti umani”, in quanto vi ricorrerà il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti umani.

Intercultura, pace e diritti umani non sono dunque altro che tre sfaccettature di un’unica medaglia: la difesa e la promozione della dignità della persona umana.

E’ in questa cornice teorica che nasce “Alter…nos”, una goccia nell’oceano, ma che spera di diventare “seme” e di crescere ed irrobustire il poco dissodato terreno nostrano dell’educazione interculturale: un progetto sperimentale di didattica interculturale ludica – destinato ad alcune scuole primarie e secondarie della provincia di Campobasso – finalizzato alla conoscenza di una realtà del Sud del mondo come quella del Guatemala – specchio e simbolo di tante altre – ma anche a favorire un’esperienza di “decentramento da sé” e di decostruzione di stereotipi e pregiudizi.

Il Guatemala. Quello di Rigoberta Menchù e degli “uomini di mais” di Asturias, quello dei desaparecidos e degli antichi maya la cui dignità, la cui millenaria ed inesauribile cultura ha attraversato i secoli – non indenne ma tenacemente viva – ed è arrivata fino a noi nonostante la violenza dei conquistadores prima e  delle multinazionali poi.

La sinergia fra il Gruppo Quetzal onlus, la società terredimezzo srl – che dal 2000 si occupa di progetti didattici finalizzati alla conoscenza del territorio, alla socializzazione culturale e allo sviluppo sostenibile e consapevole –  e l’Università degli Studi del Molise (in particolare tramite il Centro Colozza e il Centro di Cultura), ha mirato proprio a favorire un intreccio di competenze capaci di portare avanti nella scuola una proposta interculturale valida e, si spera, efficace.

Alla finalità squisitamente didattica – ossia la conoscenza degli squilibri fra Nord e Sud del mondo e di una cultura “altra” attraverso un gioco-laboratorio che ha portato gli studenti ad un’esperienza di immedesimazione negli aspetti economici, religiosi, culturali, antropologici del Guatemala -, sarà abbinato anche un momento di solidarietà concreta, in cui i ragazzi saranno chiamati ad una forma di risparmio personale e solidale per contribuire – in forma assolutamente libera – alla costruzione di un’ “opera-segno” , sostenendo in questo modo l’attività del Gruppo Quetzal che, fondato dal pediatra Gianni Iannone di Bari, da diversi anni opera sia in Gautemala che in Honduras nel campo della sanità, dell’istruzione e delle adozioni a distanza.

Il progetto, che è stato presentato venerdì 14 dicembre presso la Facoltà di Agraria dell’Università del Molise, e che quest’anno si presenta in forma sperimentale – rivolgendosi per scelta ad un ristretto numero di classi-pilota -, potrebbe riproporsi in forma ampliata a partire dall’anno prossimo, prevedendo il coinvolgimento di un maggior numero di scuole e di quella fetta dell’associazionismo locale impegnato sui temi dell’intercultura, dei diritti umani, dell’economia etica e della nonviolenza.

Buttarla lì non costa niente, in chiusura: perché non iniziare a sognare anche per il Molise, finalmente, un Centro di Educazione Interculturale sul modello di quei tanti che oggi in Italia esistono e operano?

Fra gli auguri per il 2008, permettiamoci anche questo. Impegnativo e faticoso, come tutte le mete più ambite. Entusiasmante e sanamente folle, come tutti i propositi che ci accompagnano mentre salutiamo l’anno vecchio e accogliamo il nuovo.☺

gadelis@libero.it

 

eoc

eoc