
La poesia civile di Enzo Bacca: “che sia d’alba”
Che sia d’alba e non di cera o specchio
quel che abbaglia sotto grondaia.
E sorgerà un sole nuovo tra i paradigmi da declinare.
Caldo sulle bianche case dei pescatori
sulle kefieh, sui caftani, sui veli, sulle nudità.
Sui campanili, sulle croci. Dentro ogni voce.
Tra i cartoni spremuti sottoportico
(luce all’ombra umida dei nullatettosenz’anima).
Perché mai quella ruota accesa dovrà solo
lustrare in eterno i solai dell’imperatore?
Ho deterso il mio grattacielo di paglia-
fetido di sterco. Eppure quella sfera gialla
ruggicava di vetro in vetro fin dentro i calidari.
Dapprima non bastano mai varechina e pialla
e la mia scala ha pioli logori per l’ascensione.
-Tutti in fila per una mano di vernice fresca -.
A volte il sole sconfina – oltre – i suoi bagliori,
per “sua altezza di luce” un’altra sacralità.
(Sentitevi camminare dentro un’alba d’aria sana
anche se l’aria che tira è grigio-cenere).
Intanto le api continuano sul sentiero di Dio,
mietono miele senza usare la falce.
Si posa sui pollini ancora incontaminati
l’alito della speranza. Il suono della speranza.
Per i tempi che verranno, per i figli che verranno-
“il sole vestirà d’arancio il blu, ancora”.
C’è sempre un sole da qualche parte che illumina
nei tratti lunghi d’attesa. Nel continuo
accordare la vita col diapason dell’Amore.