
La regina bruna
Il rapporto tra la Vergine Madre di Dio Incoronata, venerata a Foggia, e i transumanti è caratterizzato da una comunanza di intenzioni e di ambienti umani e spirituali nei quali si dipana la loro vicenda terrena. Questa comunanza è espressa attraverso le immagini della negritudine del volto e della corona. La prima accenna al presente terreno, alla condizione umana nella storia, la seconda al divenire e al punto di arrivo della storia.
La Regina bruna
Nigra sum, sed formosa è scritto alla base della Madonna di Tindari. Di Madonne brune in Europa se ne contano quasi mille di cui ottocento in Francia e centoventotto in Italia. La Vergine Madre di Dio Incoronata di Foggia in alcuni “cantari” viene invocata come la Regina bruna. Qualche altro la chiama la zingarella, con probabile riferimento agli occhi giovanili e vivaci che emergono lucidi e penetranti dalla faccia bruna e dall’ammasso di corone, gioielli e ricchi vestiti di alcune immagini devozionali. Un altro probabile riferimento è all’immagine della Vergine nera, assisa sull’albero, senza la corona, i neri capelli divisi in due bande fluenti sulle spalle, che guarda con occhi vivi il popolo devoto.
La sposa del Cantico
Sul colore nero della Vergine sono state condotte tante indagini e fatte tante ipotesi. Una di queste lo fa derivare dal ritratto che di se stessa fa la sposa del Cantico dei cantici: Nigra sum, sed formosa (Cant,1, 4-5). Le due affermazioni sono in diretta relazione con i due termini di paragone espressi nel secondo emistichio del versetto: sicut tabernacula Cedar, sicut pelles Salomonis. Questi termini spigano il colore nero, ma anche l’intensità della bellezza nascosta. La fanciulla ha il colore della pelle alterato dal sole, decoravit me sol.
Il suo viso ora ha il colore delle tende dei beduini del deserto, sicut tabernacula Cedar, innalzate con pelle di capra. E come il viso dei beduini, nomadi, sempre in cerca di pascoli, di oasi, di condizioni adatte alla sopravvivenza, è sfigurato dal cocente sole del deserto, così anche il volto della fanciulla, nelle lunghe giornate di pastora, subisce le offese del sole rovente. Il volto della fanciulla può essere inteso come sgraziato, ma è una bruttezza provvisoria, prodotta dal nomadismo, dal suo vagare nel deserto assolato.
Bellezza
trasfigurata
La bellezza della fanciulla del deserto è altrove: è nel cuore, nei suoi progetti, nel suo entusiasmo, nella gioia dell’attesa dell’incontro con l’amore della sua vita, perciò anche se la sua bellezza è nascosta, è splendida, chiara e gioiosa sicut pelles Salomomonis. La giovane è consapevole che i suoi progetti, in cima ai quali c’è il suo Re che la introdurrà in cellaria sua (Cant. 1, 3), si realizzeranno se saprà essere fedele tra le alterne vicende della vita, a volte buia e penosa. La Sulammita del Cantico è stata interpretata per secoli come l’immagine della Chiesa e ancor più in relazione alla Vergine Maria. L’aspetto fisico della protagonista del Cantico, la negritudine del volto, è riconosciuto come fortemente attinente alla vicenda terrena di Maria.
Il comune stato dell’umanità pellegrinante, può essere esteso alla negritudine: “Cammino sotto il sole, fatiche, vento e tempeste dell’esistenza”.
La grande popolarità devozionale che circonda le madonne nere è spiegabile, forse, in questa direzione. Che i pastori trovassero solidarietà e punti in comune con l’Incoronata di Foggia è da ravvisare nella negritudine del compito difficile di una vita transumante e nell’intimo anelito del riscatto (cfr, Villani P. Mario, La Madonna Incoronata di Foggia e i transumanti, 27, 3, 2014).☺