La violenza invisibile
7 Dicembre 2024
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La violenza invisibile

C’è una violenza sulle donne che viene universalmente condannata ed è quella che si vede, fatta di lividi, ferite e morte, amplificata dai telegiornali e dai programmi di cronaca. Su questa violenza fisica c’è universalità di intenti e d’interventi, così come c’è uniformità di condanna. Ovviamente una condanna sempre relativa, perché basta spostare qualche tessera del puzzle (ad esempio: la donna è ubriaca, la donna è vestita in modo provocante, la donna è una prostituta), che il quadro può inevitabilmente cambiare in maniera sensibile.
Ce n’è pure un’altra, che è meno visibile e più diffusa, che si consuma a porte chiuse, nell’intimità delle case, che produce danni difficilmente riscontrabili e quantificabili, sulla quale invece non c’è universalità di vedute, fino ad essere – in situazioni estreme – addirittura accettata socialmente. Basti pensare alle parole del Ministro dell’istruzione Valditara che lo scorso 18 novembre, in occasione della presentazione della Fondazione Cecchettin, ha dichiarato che il patriarcato, come sistema sociale, è scomparso nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia e che gran parte delle violenze sessuali sono legate all’immigrazione illegale.
Queste frasi ignorano sia il contenuto della Convenzione di Istanbul, ratificata in Italia da oltre 10 anni, sia anni di ricerche sociologiche che individuano la causa della violenza di genere nell’asimmetria di potere tra uomo e donna, che è tuttora insita nei nostri sistemi sociali, in maniera più o meno pregnante. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha pienamente recepito questo dato, che quindi non può essere ritenuto – come sostiene il Ministro – meramente ideologico. Non a caso nella sentenza del 15.09.2023, n. 37978, scritta dalla giudice Paola Di Nicola Travaglini, è dato leggere che “il disegno discriminatorio che guida gli autori dei reati di violenza contro le donne è costituito dal deliberato intento di possesso, dominazione e controllo della libertà femminile per impedirla” e che “la violenza avviene sempre e solo su un piano inclinato a favore dell’autore e gli esiti sono sempre unidirezionati a vantaggio di questi”.
La violenza quindi nasce da uno squilibrio di poteri tra uomo e donna, avallato dal sistema patriarcale che se pure morto dal punto di vista giuridico con la riforma del diritto di famiglia, non lo è invece sul piano culturale.
Vi è poi un retropensiero che attribuisce alle vittime la “colpa” di subire le molestie, ed è quel pensiero che ci fa ritenere che le donne siano stupide perché non scappano al primo schiaffo, al primo insulto, al primo divieto. Chi pensa questo dimentica un dato fondamentale, ossia che la violenza domestica si consuma all’interno di una relazione affettiva, in cui chi la subisce prova un profondo affetto per chi la compie e questo rende la vittima maggiormente vulnerabile.
Il contrasto alla violenza è soprattutto una battaglia di uguaglianza e non discriminazione, che non può che assumere una dimensione universale e collettiva. Non può essere delegata solo ai centri antiviolenza, che pure svolgono un ruolo fondamentale, alle forze dell’ordine, alla magistratura, ma deve essere un compito della società tutta. Se però alla radice non si comprendono (o quel che è peggio si negano o si minimizzano) le cause, difficilmente si potrà intervenire efficacemente.
Soprattutto occorre una presa di coscienza da parte della società intera perché rifiuti e combatta gli schemi della violenza non solo quando sono ben codificabili, ma anche quando apparentemente meno devastanti. ☺

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