Siamo un po’ affetti da uno strabismo culturale che ci pone nella condizione, forse involontaria, di subire una particolare precomprensione nascosta e taciuta sulle parole che usiamo, mentre di esse e dei significati di cui si sono arricchite, nella lunga tradizione semantica, spesso dimentichiamo la complessità o ne assumiamo solo una parte, chiudendoci in un uso riduttivo che risulta più ideologico e pre-concettuale e comunque senza più gli orizzonti complessi che essa contiene.
“Laico” è una di quelle parole che risultano come la famosa araba fenice del Metastasio: “che vi sia ognun lo dice, cosa sia nessun lo sa”.
Alla parola laico, come ad altre, accade la sorte di essere usata, ripetuta, proclamata più per definizione negativa: “non, senza…” che non per affermazione positiva, espositiva, esplicitante gli orizzonti comprensivi che essa contiene. Nella cultura occidentale “definire” o “definizione” significa racchiudere in un confine, per cui un’idea è qualcosa e non è altre, ma soprattutto contiene il bisogno implicito di dire cosa è una idea, un significato, una realtà, in modo che il suo “definirsi” la distingua da altre.
Laico viene dalla parola greca “laòs” – popolo; quindi un laico è, semanticamente, uno del popolo, potremmo dire un popolare o un popolano. Ma qui nascono i problemi.
Il popolo è il soggetto significativo in cui ognuno è posto dall’inizio: richiamiamo l’attacco solenne della dichiarazione fondativa dell’ONU; “noi popoli delle nazioni unite …” o ripensiamo alla evocazione grandiosa delle dichiarazioni moderne dei diritti umani, scaturita dalle rivoluzioni americana del 1776 e francese del 1789, in cui il popolo è proclamato “sovrano”. Da qui il sistema politico fondato sul “popolo sovrano” viene chiamato “democrazia” andando a ripescare un’antica piccola esperienza di alcune città greche del V – IV secolo a.C.
Purtroppo del popolo non si è avuta sempre la stessa visione alta, come proclamato. Anzi ancor oggi si ha di esso, troppo spesso, una visione squalificante, dispregiativa, nonostante il concetto di popolo sia il primo che definisca la nostra appartenenza, non scelta, ma accaduta con la nostra nascita: si nasce in un popolo, da persone di un popolo o al massimo da persone appartenenti a due popoli, nazionalità, di cui se ne assume, senza scelta, il nome e la cittadinanza (cittadino italiano, tedesco… o con doppia nazionalità e cittadinanza).
La definizione di popolo (laòs) comprende una serie di parametri: un gruppo umano che risiede in uno stesso territorio, che parla una stessa lingua, che ha la stessa visione della vita, a volte espressa nella stessa religione, negli stessi costumi, usanze, leggi, che ha un tipo di governo, ecc… La definizione di popolo caratterizza, per accumulo di aspetti significativi e riconoscibili. Il sentirsi di un popolo è la prima radice inconsapevole che ci caratterizza e che portiamo perennemente con noi, dentro di noi, che ci lega ad un luogo fisico (la terra su cui siamo nati) e ad un gruppo umano in cui siamo venuti alla luce e di cui abbiamo imparato la lingua, le tradizioni, le regole, i gusti alimentari, il modo di vestire e tante altre cose.
Il popolo visto nella quantità può essere detto una massa di persone, visto nelle sue pecularità può essere identificato per delle caratteristiche, visto nella sua organizzazione interna può essere suddiviso in parti o strati sociali con diversi ruoli e competenze, con diversi doveri e possibilità, visto nei suoi membri è composto dalla esperienza soggettiva di ogni persona nella sua originale e irripetibile libertà e capacità di realizzare l’esistenza.
Strabismo
Lo strabismo accumulato nei secoli per cui chi è in alto nella scala sociale conta di più, ci porta a guardarci e a interpretarci, tutti, non per l’appartenenza fondativa, originaria, ma per l’appartenenza parziale, ovvero, a quale fetta di potere possiamo prender parte, dimentichi del potere primo che abbiamo della nostra personale libertà responsabile e della regalità della coscienza che ci fa “capaci” di esprimerci e di operare in sintonia con il nostro patrimonio personale più profondo che è il cuore e in sintonia costruttiva con gli altri membri del popolo a cui apparteniamo e con gli altri membri dei popoli a cui non apparteniamo ma che costituiscono con noi l’umanità unica del mondo oggi villaggio globale.
Il sentirsi importanti perché parte “eletta” o “potente” del popolo; uomini con o uomini senza, non uomini e basta ci porta a quella visione riduttiva che genera precomprensioni non espresse nell’uso che noi stessi facciamo della parola laico.
Il “popolo di Dio” é il popolo che ha una fede trascendente, una visione della vita che gli deriva da tale fede ed è composto da laici”, cioé i popolani, i popolari; solo alcuni di essi ricevono incarichi particolari di governo (ministri).
Laici insigni
I grandi uomini del popolo di Dio non sono solo uomini eletti al governo, ma la chiesa, popolo di Dio come si autodefinisce, è costituita e animata da sempre da grandi figure che sono semplicemente laici, cioè battezzati, senza incarichi specifici. Ne ricordiamo solo alcuni attraverso i secoli.
Antonio (III secolo): giovane egiziano di vent’anni, credente in Gesù Cristo, che rende la sua vita povera di cose e di potere, tanto da contentarsi dell’indispensabile per sopravvivere in un deserto e che porta nel cuore la libertà di seguire Gesù Cristo. La sua vita “nascosta” diventa via e lo fa fondatore del monachesimo orientale. E’ riconosciuto uomo evangelico e rimane laico per tutta la vita ultracentenaria.
Benedetto (V secolo) giovane di nobile famiglia fatto salire a Roma per addottorarsi nelle università romane, fugge da Roma, abbandona tutto per una vita eremitica, sobria, povera e alimentata da poco cibo e da molta meditazione della Parola di Dio. Scoperto e riconosciuto quale vero testimone di una umanità alta e significativa si ritrova, lui eremita, a fondare il più imponente ordine monastico dell’occidente ed è considerato “padre dell’Europa”: alla sua “regola” per secoli si affideranno innumerevoli persone che vorranno vivere il suo percorso di credenti e di artefici del proprio vivere nella combinazione illuminante del motto “ora et labora”. E’ riconosciuto uomo evangelico e “padre” (abba da cui abate) di una moltitudine di discepoli.
Francesco (XIII secolo): figlio della borghesia nascente, cavaliere e uomo di guerra, abbandona tutto per “madonna povertà” e con la semplice pretesa di vivere il vangelo “sine glossa”, riforma la chiesa del suo tempo immettendo con i suoi discepoli (frati da fratelli) una ventata di vita nuova. E’ laico, la sua chiesa “strutturata” lo costringe a “salire” al grado di diacono altrimenti non avrebbe potuto predicare il vangelo. E’ riconosciuto ancora oggi uomo di pace, artista fondativo con altri della lingua italiana, uomo evangelico.
Giorgio La Pira (XX secolo): professore universitario, siciliano che diventa sindaco di Firenze, viaggiatore per la pace oltre ogni cortina, di ferro e di odio, che il mondo innalza, muore povero e senza poteri. E’ stato laico per tutta la vita e uomo evangelico. ☺
Siamo un po’ affetti da uno strabismo culturale che ci pone nella condizione, forse involontaria, di subire una particolare precomprensione nascosta e taciuta sulle parole che usiamo, mentre di esse e dei significati di cui si sono arricchite, nella lunga tradizione semantica, spesso dimentichiamo la complessità o ne assumiamo solo una parte, chiudendoci in un uso riduttivo che risulta più ideologico e pre-concettuale e comunque senza più gli orizzonti complessi che essa contiene.
“Laico” è una di quelle parole che risultano come la famosa araba fenice del Metastasio: “che vi sia ognun lo dice, cosa sia nessun lo sa”.
Alla parola laico, come ad altre, accade la sorte di essere usata, ripetuta, proclamata più per definizione negativa: “non, senza…” che non per affermazione positiva, espositiva, esplicitante gli orizzonti comprensivi che essa contiene. Nella cultura occidentale “definire” o “definizione” significa racchiudere in un confine, per cui un’idea è qualcosa e non è altre, ma soprattutto contiene il bisogno implicito di dire cosa è una idea, un significato, una realtà, in modo che il suo “definirsi” la distingua da altre.
Laico viene dalla parola greca “laòs” – popolo; quindi un laico è, semanticamente, uno del popolo, potremmo dire un popolare o un popolano. Ma qui nascono i problemi.
Il popolo è il soggetto significativo in cui ognuno è posto dall’inizio: richiamiamo l’attacco solenne della dichiarazione fondativa dell’ONU; “noi popoli delle nazioni unite …” o ripensiamo alla evocazione grandiosa delle dichiarazioni moderne dei diritti umani, scaturita dalle rivoluzioni americana del 1776 e francese del 1789, in cui il popolo è proclamato “sovrano”. Da qui il sistema politico fondato sul “popolo sovrano” viene chiamato “democrazia” andando a ripescare un’antica piccola esperienza di alcune città greche del V – IV secolo a.C.
Purtroppo del popolo non si è avuta sempre la stessa visione alta, come proclamato. Anzi ancor oggi si ha di esso, troppo spesso, una visione squalificante, dispregiativa, nonostante il concetto di popolo sia il primo che definisca la nostra appartenenza, non scelta, ma accaduta con la nostra nascita: si nasce in un popolo, da persone di un popolo o al massimo da persone appartenenti a due popoli, nazionalità, di cui se ne assume, senza scelta, il nome e la cittadinanza (cittadino italiano, tedesco… o con doppia nazionalità e cittadinanza).
La definizione di popolo (laòs) comprende una serie di parametri: un gruppo umano che risiede in uno stesso territorio, che parla una stessa lingua, che ha la stessa visione della vita, a volte espressa nella stessa religione, negli stessi costumi, usanze, leggi, che ha un tipo di governo, ecc… La definizione di popolo caratterizza, per accumulo di aspetti significativi e riconoscibili. Il sentirsi di un popolo è la prima radice inconsapevole che ci caratterizza e che portiamo perennemente con noi, dentro di noi, che ci lega ad un luogo fisico (la terra su cui siamo nati) e ad un gruppo umano in cui siamo venuti alla luce e di cui abbiamo imparato la lingua, le tradizioni, le regole, i gusti alimentari, il modo di vestire e tante altre cose.
Il popolo visto nella quantità può essere detto una massa di persone, visto nelle sue pecularità può essere identificato per delle caratteristiche, visto nella sua organizzazione interna può essere suddiviso in parti o strati sociali con diversi ruoli e competenze, con diversi doveri e possibilità, visto nei suoi membri è composto dalla esperienza soggettiva di ogni persona nella sua originale e irripetibile libertà e capacità di realizzare l’esistenza.
Strabismo
Lo strabismo accumulato nei secoli per cui chi è in alto nella scala sociale conta di più, ci porta a guardarci e a interpretarci, tutti, non per l’appartenenza fondativa, originaria, ma per l’appartenenza parziale, ovvero, a quale fetta di potere possiamo prender parte, dimentichi del potere primo che abbiamo della nostra personale libertà responsabile e della regalità della coscienza che ci fa “capaci” di esprimerci e di operare in sintonia con il nostro patrimonio personale più profondo che è il cuore e in sintonia costruttiva con gli altri membri del popolo a cui apparteniamo e con gli altri membri dei popoli a cui non apparteniamo ma che costituiscono con noi l’umanità unica del mondo oggi villaggio globale.
Il sentirsi importanti perché parte “eletta” o “potente” del popolo; uomini con o uomini senza, non uomini e basta ci porta a quella visione riduttiva che genera precomprensioni non espresse nell’uso che noi stessi facciamo della parola laico.
Il “popolo di Dio” é il popolo che ha una fede trascendente, una visione della vita che gli deriva da tale fede ed è composto da laici”, cioé i popolani, i popolari; solo alcuni di essi ricevono incarichi particolari di governo (ministri).
Laici insigni
I grandi uomini del popolo di Dio non sono solo uomini eletti al governo, ma la chiesa, popolo di Dio come si autodefinisce, è costituita e animata da sempre da grandi figure che sono semplicemente laici, cioè battezzati, senza incarichi specifici. Ne ricordiamo solo alcuni attraverso i secoli.
Antonio (III secolo): giovane egiziano di vent’anni, credente in Gesù Cristo, che rende la sua vita povera di cose e di potere, tanto da contentarsi dell’indispensabile per sopravvivere in un deserto e che porta nel cuore la libertà di seguire Gesù Cristo. La sua vita “nascosta” diventa via e lo fa fondatore del monachesimo orientale. E’ riconosciuto uomo evangelico e rimane laico per tutta la vita ultracentenaria.
Benedetto (V secolo) giovane di nobile famiglia fatto salire a Roma per addottorarsi nelle università romane, fugge da Roma, abbandona tutto per una vita eremitica, sobria, povera e alimentata da poco cibo e da molta meditazione della Parola di Dio. Scoperto e riconosciuto quale vero testimone di una umanità alta e significativa si ritrova, lui eremita, a fondare il più imponente ordine monastico dell’occidente ed è considerato “padre dell’Europa”: alla sua “regola” per secoli si affideranno innumerevoli persone che vorranno vivere il suo percorso di credenti e di artefici del proprio vivere nella combinazione illuminante del motto “ora et labora”. E’ riconosciuto uomo evangelico e “padre” (abba da cui abate) di una moltitudine di discepoli.
Francesco (XIII secolo): figlio della borghesia nascente, cavaliere e uomo di guerra, abbandona tutto per “madonna povertà” e con la semplice pretesa di vivere il vangelo “sine glossa”, riforma la chiesa del suo tempo immettendo con i suoi discepoli (frati da fratelli) una ventata di vita nuova. E’ laico, la sua chiesa “strutturata” lo costringe a “salire” al grado di diacono altrimenti non avrebbe potuto predicare il vangelo. E’ riconosciuto ancora oggi uomo di pace, artista fondativo con altri della lingua italiana, uomo evangelico.
Giorgio La Pira (XX secolo): professore universitario, siciliano che diventa sindaco di Firenze, viaggiatore per la pace oltre ogni cortina, di ferro e di odio, che il mondo innalza, muore povero e senza poteri. E’ stato laico per tutta la vita e uomo evangelico. ☺
Siamo un po’ affetti da uno strabismo culturale che ci pone nella condizione, forse involontaria, di subire una particolare precomprensione nascosta e taciuta sulle parole che usiamo, mentre di esse e dei significati di cui si sono arricchite, nella lunga tradizione semantica, spesso dimentichiamo la complessità o ne assumiamo solo una parte, chiudendoci in un uso riduttivo che risulta più ideologico e pre-concettuale e comunque senza più gli orizzonti complessi che essa contiene.
“Laico” è una di quelle parole che risultano come la famosa araba fenice del Metastasio: “che vi sia ognun lo dice, cosa sia nessun lo sa”.
Alla parola laico, come ad altre, accade la sorte di essere usata, ripetuta, proclamata più per definizione negativa: “non, senza…” che non per affermazione positiva, espositiva, esplicitante gli orizzonti comprensivi che essa contiene. Nella cultura occidentale “definire” o “definizione” significa racchiudere in un confine, per cui un’idea è qualcosa e non è altre, ma soprattutto contiene il bisogno implicito di dire cosa è una idea, un significato, una realtà, in modo che il suo “definirsi” la distingua da altre.
Laico viene dalla parola greca “laòs” – popolo; quindi un laico è, semanticamente, uno del popolo, potremmo dire un popolare o un popolano. Ma qui nascono i problemi.
Il popolo è il soggetto significativo in cui ognuno è posto dall’inizio: richiamiamo l’attacco solenne della dichiarazione fondativa dell’ONU; “noi popoli delle nazioni unite …” o ripensiamo alla evocazione grandiosa delle dichiarazioni moderne dei diritti umani, scaturita dalle rivoluzioni americana del 1776 e francese del 1789, in cui il popolo è proclamato “sovrano”. Da qui il sistema politico fondato sul “popolo sovrano” viene chiamato “democrazia” andando a ripescare un’antica piccola esperienza di alcune città greche del V – IV secolo a.C.
Purtroppo del popolo non si è avuta sempre la stessa visione alta, come proclamato. Anzi ancor oggi si ha di esso, troppo spesso, una visione squalificante, dispregiativa, nonostante il concetto di popolo sia il primo che definisca la nostra appartenenza, non scelta, ma accaduta con la nostra nascita: si nasce in un popolo, da persone di un popolo o al massimo da persone appartenenti a due popoli, nazionalità, di cui se ne assume, senza scelta, il nome e la cittadinanza (cittadino italiano, tedesco… o con doppia nazionalità e cittadinanza).
La definizione di popolo (laòs) comprende una serie di parametri: un gruppo umano che risiede in uno stesso territorio, che parla una stessa lingua, che ha la stessa visione della vita, a volte espressa nella stessa religione, negli stessi costumi, usanze, leggi, che ha un tipo di governo, ecc… La definizione di popolo caratterizza, per accumulo di aspetti significativi e riconoscibili. Il sentirsi di un popolo è la prima radice inconsapevole che ci caratterizza e che portiamo perennemente con noi, dentro di noi, che ci lega ad un luogo fisico (la terra su cui siamo nati) e ad un gruppo umano in cui siamo venuti alla luce e di cui abbiamo imparato la lingua, le tradizioni, le regole, i gusti alimentari, il modo di vestire e tante altre cose.
Il popolo visto nella quantità può essere detto una massa di persone, visto nelle sue pecularità può essere identificato per delle caratteristiche, visto nella sua organizzazione interna può essere suddiviso in parti o strati sociali con diversi ruoli e competenze, con diversi doveri e possibilità, visto nei suoi membri è composto dalla esperienza soggettiva di ogni persona nella sua originale e irripetibile libertà e capacità di realizzare l’esistenza.
Strabismo
Lo strabismo accumulato nei secoli per cui chi è in alto nella scala sociale conta di più, ci porta a guardarci e a interpretarci, tutti, non per l’appartenenza fondativa, originaria, ma per l’appartenenza parziale, ovvero, a quale fetta di potere possiamo prender parte, dimentichi del potere primo che abbiamo della nostra personale libertà responsabile e della regalità della coscienza che ci fa “capaci” di esprimerci e di operare in sintonia con il nostro patrimonio personale più profondo che è il cuore e in sintonia costruttiva con gli altri membri del popolo a cui apparteniamo e con gli altri membri dei popoli a cui non apparteniamo ma che costituiscono con noi l’umanità unica del mondo oggi villaggio globale.
Il sentirsi importanti perché parte “eletta” o “potente” del popolo; uomini con o uomini senza, non uomini e basta ci porta a quella visione riduttiva che genera precomprensioni non espresse nell’uso che noi stessi facciamo della parola laico.
Il “popolo di Dio” é il popolo che ha una fede trascendente, una visione della vita che gli deriva da tale fede ed è composto da laici”, cioé i popolani, i popolari; solo alcuni di essi ricevono incarichi particolari di governo (ministri).
Laici insigni
I grandi uomini del popolo di Dio non sono solo uomini eletti al governo, ma la chiesa, popolo di Dio come si autodefinisce, è costituita e animata da sempre da grandi figure che sono semplicemente laici, cioè battezzati, senza incarichi specifici. Ne ricordiamo solo alcuni attraverso i secoli.
Antonio (III secolo): giovane egiziano di vent’anni, credente in Gesù Cristo, che rende la sua vita povera di cose e di potere, tanto da contentarsi dell’indispensabile per sopravvivere in un deserto e che porta nel cuore la libertà di seguire Gesù Cristo. La sua vita “nascosta” diventa via e lo fa fondatore del monachesimo orientale. E’ riconosciuto uomo evangelico e rimane laico per tutta la vita ultracentenaria.
Benedetto (V secolo) giovane di nobile famiglia fatto salire a Roma per addottorarsi nelle università romane, fugge da Roma, abbandona tutto per una vita eremitica, sobria, povera e alimentata da poco cibo e da molta meditazione della Parola di Dio. Scoperto e riconosciuto quale vero testimone di una umanità alta e significativa si ritrova, lui eremita, a fondare il più imponente ordine monastico dell’occidente ed è considerato “padre dell’Europa”: alla sua “regola” per secoli si affideranno innumerevoli persone che vorranno vivere il suo percorso di credenti e di artefici del proprio vivere nella combinazione illuminante del motto “ora et labora”. E’ riconosciuto uomo evangelico e “padre” (abba da cui abate) di una moltitudine di discepoli.
Francesco (XIII secolo): figlio della borghesia nascente, cavaliere e uomo di guerra, abbandona tutto per “madonna povertà” e con la semplice pretesa di vivere il vangelo “sine glossa”, riforma la chiesa del suo tempo immettendo con i suoi discepoli (frati da fratelli) una ventata di vita nuova. E’ laico, la sua chiesa “strutturata” lo costringe a “salire” al grado di diacono altrimenti non avrebbe potuto predicare il vangelo. E’ riconosciuto ancora oggi uomo di pace, artista fondativo con altri della lingua italiana, uomo evangelico.
Giorgio La Pira (XX secolo): professore universitario, siciliano che diventa sindaco di Firenze, viaggiatore per la pace oltre ogni cortina, di ferro e di odio, che il mondo innalza, muore povero e senza poteri. E’ stato laico per tutta la vita e uomo evangelico. ☺
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