L’architettura nel fascismo
13 Maggio 2016
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L’architettura nel fascismo

Negli anni ‘20 e ‘30 c’è stato un tentativo interessantissimo di conciliare la tradizione romana con un’architettura che ricercasse insistentemente una rappresentazione ufficiale del regime e decantasse con sufficiente retorica la “gloria raggiunta”. Sono numerose le tracce architettoniche lasciate in Italia dal regime fascista. Mussolini volle la progettazione di aree urbane, nuovi edifici e nuove città come Littoria (ora Latina), Pomezia, Sabaudia ed Aprilia. Molte opere servivano alla mera propaganda fascista, altre sono considerate ancor oggi dei veri e propri capolavori artistici.

Forme archetipe nell’architettura

Le costruzioni fasciste erano caratterizzate da un impatto freddo alla vista ma monumentale, utilizzo di materiali quali il marmo, facciate con lastre piane, ripetizione di forme geometriche come il cubo e il cilindro, il contrasto dei bianchi e dei neri e l’assenza di decorazioni. In altre parole in tutto il paese vi fu un frenetico attivismo architettonico e la corsa a disseminare l’Italia di simboli di pietra ad uso del regime e della costruzione dell’uomo nuovo fascista. Dalla metà degli anni Trenta nuovi e imponenti palazzi pubblici, accanto ai monumenti antichi e gloriosi, costituiscono lo scenario per il più ambizioso progetto politico e antropologico: la creazione dell’uomo nuovo fascista, stirpe rinnovata di italiani guerrieri e costruttori.

Identità di una nazione

L’architettura diviene simbolo dell’ identità della nazione, efficace dispositivo capace di suggestionare le masse, inculcare i miti, modellare il carattere delle generazioni. Nata per durare, l’architettura mussoliniana si propone di tramandare ai posteri i valori della civiltà fascista allo scopo di ipotecare la costruzione dell’identità nazionale per le epoche che verranno. Compresa la nostra. Nel corso degli anni Trenta un instancabile Mussolini percorre in lungo e in largo l’Italia inaugurando centinaia di opere architettoniche. È un attivismo progettuale che assegna un ruolo privilegiato alla città di Roma, dove non c’è opera importante di cui il duce non abbia visitato il cantiere o esaminato il progetto, ma che dissemina tutto il paese di una miriade di simboli di pietra, icone del patto politico da lui stretto con il suo popolo. L’esito più imponente è l’E42, la nuova città alle porte di Roma: straordinaria impresa non solo architettonica che mobilita l’intera nazione e che nella sua trama di archi e colonne interagisce con i miti del fascismo e della sua romanità. Sarà quello il modello per l’ultima stagione di interventi edilizi che il fascismo progetterà per la capitale e per altre città italiane.

La scultura nel periodo fascista

Nelle sculture fasciste era rappresentata l’identità del passato e del presente. Mussolini incoraggiava la costruzione di queste sculture che erano un buon modo di propaganda: offriva dei posti numerosi agli artisti per mostrare la potenza del paese. È con la grande scultura pubblica, che l’arte del regime si misurava con i modelli delle statue antiche. Nei nudi maschi degli atleti romani, si trovava un repertorio tipologico adatto alle esigenze formali della scultura monumentale, alla difesa dalla loro civilizzazione prendendo in considerazione la forza fisica, come valore spirituale: il Foro Italico costituisce un vero e proprio museo all’aperto della scultura italiana durante il ventennio.☺

 

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