l’assassinio di pio la torre    di Franco Novelli
27 Marzo 2012 Share

l’assassinio di pio la torre di Franco Novelli

 

Nell’agosto del 1981, su insistenti sollecitazioni atlantiche e statunitensi, il governo italiano, presieduto da Giovanni Spadolini, decide l’installazione di una base aereo-missilistica a Comiso, in provincia di Ragusa, per i missili Cruise a testata nucleare, intelligenti, leggeri e smontabili. Il governo italiano non informa il Parlamento ed in gran segreto dà il via a questa operazione, che porterà con sé acri polemiche e gravosi strascichi. La motivazione di tale decisione governativa è di tipo ideologico e riguarda la difesa dell’Europa occidentale dal pericolo comunista rappresentato dal Patto di Varsavia, egemonizzato dalla ex Unione Sovietica, i cui SS20 sono per l’appunto l’origine di tale manovra militare. Ma c’è anche un’altra ragione che sospinge il governo italiano alla costruzione della base missilistica a Comiso, il convincimento, cioè, che tale opera potesse comportare un contributo concreto all’economia locale e siciliana in generale, con i dollari a stelle e strisce, con un benessere economico prospettico e con una riserva ampia di posti di lavoro per i soliti disoccupati e disgraziati del Sud d’Italia. La reazione dell’intellighentjia siciliana, dei partiti della sinistra riformista e di quella extraparlamentare,  della società civile – tra gli altri lo scienziato cattolico Carlo Zichichi, le mogli di due magistrati assassinati, Rita Costa e Giovanna Terranova, Leonardo Sciascia, Danilo Dolci ed altri – è decisa ed immediata. Giovanni Spadolini, presidente del Consiglio, viene denunciato alla commissione parlamentare inquirente per non aver convocato l’allora presidente della regione Sicilia, il democristiano Mario D’Acquisto. In brevissimo tempo l’opposizione all’installazione degli euromissili a Comiso si allarga in tutta Italia; il movimento pacifista riprende fiato e capacità organizzativo/contestatrice e in Sicilia comincia ad avvalersi del contributo operativo e militante di un sindacalista della CGIL e di un uomo politico molto noto in regione, in parte in Italia, deputato del PCI per tre legislature – 1972-1976-1979 -, Pio La Torre, comunista impegnato su più fronti, come quello della pace, del rifiuto della guerra, di una politica efficace per il lavoro e della lotta alla mafia. All’indoma- ni della liberazione a Padova del generale statunitense James Lee Dozier, sequestrato dalle BR e comandante della NATO nell’Europa meridionale, il presidente Spadolini riceve da uno sconosciuto (a lui, naturalmente!) segretario del PCI siciliano, Pio La Torre, una lettera privata nella quale gli viene prospettato un quadro inquietante  della Sicilia: “Caro Presidente, la produzione di droga, la sua diffusione nel paese e la sua esportazione, la tendenza della mafia a internazionalizzarsi come potenza finanziaria, l’estendersi della spinta ad inserirsi direttamente nelle istituzioni e nella pubblica amministrazione, questi sono i principali elementi nuovi che fanno della mafia un pericolo di gravità straordinaria”.

Pio La Torre, dunque, dimostra di aver pienamente recepito il magistrale contributo analitico che è stato alla base delle indagini di Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, ucciso il 21 luglio 1979 da Leoluca Bagarella – e del giudice Cesare Terranova, capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, ucciso la mattina del 25 settembre 1979 insieme al suo autista, l’agente Lenin Mancuso.

Forte di questi profondi convincimenti, Pio La Torre presenta nel 1980, dunque due anni prima della sua uccisione, una proposta di legge, rivoluzionaria nella sua essenziale semplicità: la mafia va riconosciuta come un’associazione a delinquere e i beni dei mafiosi vanno confiscati. Il testo della legge – nota successivamente come legge Pio La Torre – riempie appena una paginetta e accanto alla sua firma non ne appare neppure una del suo ex partito. Gli furono immediatamente vicini e solidali solo poche persone e fra queste il giornalista Alfonso Madeo, due giovani sostituti procuratori di Palermo – Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – e alcuni intellettuali siciliani fra i quali spiccava Leonardo Sciascia. Spadolini promette di dare ascolto e appoggio alla proposta legislativa di Pio La Torre; ma le vicende precipitano e la morte con la sua falce anticipa, secondo lo spirito incomprensibile delle Moire, la ragionevolezza dignitosa delle proposte articolate dal segretario comunista.

Infatti, alle 09.20 del 30 aprile 1982, “le cosche mafiose  diedero un altro saggio di barbarie (…) I killer seguirono Pio La Torre  e Tommaso Di Salvo – suo autista – diretti alla sede regionale del PCI. Aspettarono che la 132 si trovasse al centro di una stradina stretta, in un punto scelto con cura perché poco frequentata, e diedero l’assalto. Una motocicletta costrinse Di Salvo a frenare. Partirono le prime raffiche tutte per La Torre. Di Salvo fece in tempo ad estrarre la pistola ma i colpi andarono a vuoto (…) La Torre e Di Salvo ancora con gli occhi spalancati come di chi ha avuto poco tempo per morire. Niente testimoni. Niente tracce. Niente informazioni anonime ma attendibili. La solita rivendicazione terroristica (…)”.

Centomila persone parteciparono ai funerali.

Ma perché è stato ucciso Pio La Torre e con lui il suo fedele autista Tommaso Di Salvo? Sicuramente per la sua opposizione all’installazione della base missilistica di Comiso, considerata l’espressione di una politica non democratica e bellicistica del governo italiano, ma anche per il forte contrasto che La Torre ha saputo esprimere e concretare contro la mafia e la sua capacità indiscutibile, purtroppo, di inserirsi nei gangli vivi delle amministrazioni pubbliche.

Dunque, la scelta “pacifista” e l’impegno civile di antagonismo rigoroso contro tutte le mafie sono alla base della morte violenta di un uomo che ha saputo indicare alla collettività nazionale una strada percorribile,  a condizione che ciascuno di noi sia dotato di quel normale senso di rispetto delle norme costituzionali che ci rendono cittadini coerenti e convinti della possibilità di realizzare concretamente – tra le altre cose – la pace, il benessere materiale, inteso come distribuzione equa delle risorse e delle ricchezze, una visione differente della società fondata sul dialogo di civile deferenza verso le regole della democrazia.

Oggi tutto questo non ci è consentito di dimenticarlo. ☺

bar.novelli@micso.net

 

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