le piante di pasqua
19 Aprile 2010 Share

le piante di pasqua

 

Albero di giuda. È una pianta originaria dei paesi del Mediterraneo orientale che si è poi diffusa sulle coste dell’Europa meridionale.

In Aprile interi quartieri, viali e giardini, in particolare a Roma, si colorano di fiori rosa porpora grazie alle ampie chiome, ancora prive delle minuscole foglie, dei tanti alberi di Giuda. La fama di quest’albero è legata all’episodio dell’impiccagione dell’apostolo traditore: si associano i tronchi contorti a quel drammatico gesto mentre il colore dei fiori rappresenterebbe la vergogna e la perfidia di Giuda. In realtà il nome della pianta, che tutto può evocare tranne immagini tristi o tragiche, sembra derivare da “albero della Giudea”, perché molto comune in quel territorio di Israele.

Altri alberi, si racconta, pare siano stati “prescelti” dal suicida:

la rosa canina, i cui frutti, in Germania, sono chiamati Judasbeeren, cioè “bacche di Giuda”;

il fico selvatico, che sarebbe il discendente dell’albero cui si impiccò l’apostolo e che da quel momento non riesce a portare a maturazione i suoi frutti;

il carrubo selvatico, che i siciliani chiamano avrulu di Giuda;

il pioppo tremulo, che è legato a Giuda perché in Russia si afferma che le sue foglie continuano a muoversi da quando l’apostolo traditore vi si impiccò;

la tamerice (vruca), cui si sarebbe impiccato Giuda secondo una tradizione siciliana. Questa pianta da allora si sarebbe trasformata da arbusto maestoso in un arboscello misero, deforme, nemmeno capace di alimentare un focherello come ricorda un proverbio: sei come il legno della vruca, che non dona né cenere né fuoco. L’anima di Giuda girerebbe eternamente inquieta intorno a questa tamerice vedendo il suo corpo sospeso, invisibile però agli altri uomini;

spino di Giuda, a cui certamente l’apostolo non poté impiccarsi perché la pianta, originaria dell’America Settentrionale, fu introdotta in Europa e nel Mediterraneo soltanto nel XVII secolo;

vischio: narra una leggenda medievale che originariamente il vischio era una pianta normale. Quando Gesù doveva essere crocifisso, tutti gli altri alberi per salvarlo caddero in mille pezzi mentre il vischio rimase intero, unico in tutta la Palestina: sicché i suoi rami vennero utilizzati per la Croce. Ma da quel momento fu maledetto dal Signore e costretto a crescere rachitico e senza radici;

leccio: secondo una leggenda delle isole ioniche, molto simile alla precedente, gli alberi, dopo la condanna a morte di Cristo, si riunirono in assemblea impegnandosi a non offrire il legno per la Croce. Quando i carnefici cominciarono a colpire con le asce il primo tronco di un boschetto, il legno si spezzò in mille schegge, e così avvenne per tutti gli altri. Soltanto il leccio restò integro, offrendo il legno per la Passione di Cristo: per questo motivo i Greci temevano di contaminare l’ascia e di sconsacrare il focolare toccando l’albero maledetto, simbolo vegetale di Giuda. Tuttavia il beato Egidio, nei “Detti” riferisce che Cristo predilige il leccio perché fu l’unico albero a capire che doveva sacrificarsi, come il Salvatore, per contribuire alla Redenzione.

Olivo

L’olivo si trova già citato nel libro della Genesi (7, 11-12): “… e la colomba tornò a lui sul far della sera; ed ecco, essa aveva una foglia di ulivo, che aveva strappata con il suo becco; così Noè comprese che le acque erano scemate sopra la terra…”.

Anche Gesù amava  spesso riposarsi, pregare e cercare rifugio proprio dentro gli oliveti che crescevano nei pressi di Gerusalemme (Mt. 24, 3). Un grande albero di olivo ha visto Gesù in una sofferta preghiera la notte stessa del suo arresto. Gli oliveti vicino a Gerusalemme erano infatti un luogo che preferiva, forse per la tranquillità e la pulizia del sottochioma. La loro corteccia rugosa ed il loro tronco cavo hanno protetto il Messia fino a quando le torce e le grida dei soldati non hanno rotto la sua preghiera, anche grazie al terribile tradimento di Giuda.

Nella Domenica delle Palme, che commemora l’ingresso del Signore a Gerusalemme, spesso la palma viene sostituita da rami di olivo, sebbene essi non siano esplicitamente nominati nel racconto evangelico: quei rami alludono alla riconciliazione fra il Signore e gli uomini di cui la Pasqua è l’evento storico. Alla Domenica delle Palme si possono ricondurre altre due consuetudini legate alla pianta dell’olivo: quella di piantare in un punto del terreno seminato (di solito un campo di grano) un ramoscello di olivo appena benedetto per propiziare un buon raccolto e quella di appenderlo nelle case, a capo del letto, come augurio di pace e di serenità per tutta la famiglia.

Altri impieghi sacri della pianta dell’olivo e dei suoi frutti, profondamente radicati nella civiltà contadina e nella credenza popolare, sono quelle connesse ad un altro rito legato alla Pasqua: nel rito del Mercoledì delle Ceneri, che apre la Quaresima, la cenere imposta sulla testa dei fedeli è ottenuta dai ramoscelli di olivo benedetti nella Domenica delle Palme dell’anno precedente. Il rito dell’imposizione delle ceneri è un antico modo per indicare che una persona era pentita dei propri peccati; è il segno del pentimento e infatti il sacerdote in quell’occasione dice così: “Convertitevi e credete al Vangelo”. Anticamente la concimazione del terreno con la cenere era una pratica molto comune; la cenere in testa è un concime di conversione.

Palma. Nel Vangelo di Giovanni (12, 12-13) questo albero appare nell’episodio della Domenica delle Palme, quando il Cristo entra in Gerusalemme: “La gran folla che era venuta per la festa, avendo udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese rami di palma e uscì incontro nel nome del Signore, il re d’Israele”.

In Sicilia, nella Domenica delle Palme, era usanza appendere agli alberi fronde di palme benedette e spargere nei campi la polvere spazzata quello stesso giorno nelle chiese.

Ma alla palma è legata una più ricca simbologia, che esula dal suo valore propriamente religioso. La verticalità del tronco e l’armonia delle foglie disposte a raggiera evocano  ad esempio il simbolo della bellezza e dell’armonia. Nell’area mediterranea il migliore complimento a una donna consisteva nel paragonarla a una palma. Ulisse nell’Odissea, (VI 160-163), stupito dell’apparizione di Nausicaa, esclamava:

Perché con i miei occhi mai vidi un tal mortale,

né uomo né donna: stupore m’invade guardandoti.

Vidi una volta a Delo, accanto all’altare di Apollo,

levarsi così un giovane germoglio di palma.

La palma è anche simbolo della fecondità per gli innumerevoli cibi e bevande che offrono le varie specie: datteri, noci di cocco, olio o burro dei palmisti, vino che si ottiene dal succo che cola dalle infiorescenze recise, ed ancora l’albume corneo del seme che serve per la produzione dell’avorio vegetale. Le foglie di una specie mediterranea, la palma di San Pietro, si usano per fabbricare corde e scope.

In greco, inoltre, venne chiamata phoênix, come il leggendario uccello che viveva 1461 anni e moriva bruciandosi nel suo nido per poi rinascere dalle sue ceneri. E in quanto simbolo dell’immortalità, della vittoria e della gloria, i Romani e i Greci usavano offrirne ai vincitori un ramo dell’albero, cosicché ancora oggi nel linguaggio comune si dice “ottenere o conseguire la palma della vittoria”.

Issopo. I testi sacri citano spesso l’issopo, un’erbacea sempreverde: la partecipazione alla Passione del Cristo ha reso infatti quest’erba “sacra”. Intinto nel sangue dell’agnello sacrificato, l’issopo sarà il ramoscello in cima al quale verrà infisa la spugna imbevuta di aceto porta a Gesù morente.

Il nome del genere deriva dal latino hyssopum = erba santa, perché usata nei riti ecclesiastici di riconsacrazione e di purificazione dei popoli dell’Antico Testamento: “Aspergimi con l’issopo e sarò mondato…”, recita la Bibbia (Salmo 50, 9).

 

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