letizia e grazia    di Franco Pollutri
30 Marzo 2013 Share

letizia e grazia di Franco Pollutri

 

Ho raccontato spesso ai miei figli gli incontri significativi della mia esperienza da giovane. Uno di questi è "l'incontro" con il Vescovo che celebrò la mia cresima nel 1968 e, dopo, anche il mio matrimonio. Quando studiavo e condividevo quell'altra esperienza con i Salesiani, Lui mi veniva a trovare, con curiosità e stupore della comunità nella quale vivevo. Coinvolto dall'esperienza religiosa, sempre presente nelle "crisi adolescenziali", fu lui che, quando avevo in animo di partire "missionario" nelle Terre del Fuoco, mi fece riflettere sulla necessità di avere "onesti cittadini, buoni cristiani e coerenti testimoni" nelle nostre terre. Molti anni fa era venuto a Termoli, ma chissà perché, per una strana ritrosia a far conoscere le mie frequentazioni, non andai a salutarlo, tanto lui sapeva che io sono di Vasto.

L'anno scorso decisi di andare in pensione, meglio è dire che ho deciso di lasciare il mondo della scuola, disturbato oltre modo delle sue contraddizioni e l'ho fatto. La prima cosa che ho pensato da auto-licenziato è stato: "devo andare da don Loris!". Come tutti i programmi, spesso se ne differisce la realizzazione o il compimento, ma ero determinato. Il 31 Gennaio, festività di quell'altra figura preziosamente significativa nella mia formazione ed esperienza esistenziale, Don Bosco, ho preparato il mio zaino – bottiglie di vino, ventricina e formaggi; avvisato amici e parenti; stabilito le mete e sono partito, tuffandomi in quell'area di sogno appartenente ai miei ricordi. Non ho avvisato don Loris.

Il 3 Febbraio, con un sole che faceva risaltare i suoi monti innevati, parto per Sotto il Monte Giovanni XXIII. Mi dirigo con emozione verso la residenza dell'arcivescovo don Loris Capovilla, segretario particolare di Sua Santità Giovanni XXIII ed oggi custode e testimone della sua vita. Sbaglio ingresso, mi lascio rapire dalla pace che regna in una minuscola cappella, poi disinvoltamente chiedo ad una suora ed al pro-nipote di Papa Giovanni: "È possibile salutare l'Arcivescovo?" E il pro-nipote: "Lei ha un appuntamento?" "beh, no. Se possibile, vorrei salutarlo" "Mi dispiace, ma l'Arcivescovo non sta molto bene e comunque senza appuntamento non è possibile". Insisto: "è possibile solo avvisarlo che io sono qui?". Lo sguardo sorpreso dei due è della serie: "questo infedele forse non ha capito!" ma, alla mia insistenza i due mi invitano a scrivere il mio nome su di un foglietto e mi pregano di attendere. Qualche minuto di attesa – ero tranquillo e sicuro che avrei incontrato il "mio vescovo"- la porta si riapre ed il pro-nipote mi dice: "venga, venga l'Arcivescovo la sta aspettando, ma mi raccomando pochi minuti che sua eccellenza non sta molto bene".

Francesco! "mi ha riconosciuto!". Mi ha sempre chiamato così, poche persone lo hanno fatto e lo fanno. Un abbraccio lungo trent'anni e senza pudore, ho lasciato che i miei occhi brillassero di gocce di rugiada. Una stanza studio, modesta nell'arredo, con un grande tavolo con lettere da spedire e scritti sul Papa Buono; il "mio arcivescovo", minuto, con i suoi 97 anni, raccolto dentro una poltrona che sembrava regalata da qualche rigattiere che non era riuscito a venderla e con una coperta sulle gambe, di quelle grigio-marrone militare, forse un ricordo di quando è stato cappellano militare. Come stai, Francesco? Ha voluto sapere tutto dei miei figli, di cosa stessi facendo, di cosa pensassi del momento storico attuale e "cor ad cor"  quelle stupende riflessioni intercalate, che mi hanno fatto pensare, un attimo, solo un attimo "ma, mi trovo in un collettivo di Tupumaros?" no, no. Semplicemente di fronte ad un grande testimone e profeta: no, non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a capirlo meglio e a comprendere i molti errori fatti. Si, anche la Chiesa ha le Sue grandi responsabilità, abbiamo dato credito a molti che hanno reso la casa di Dio un mercato e resi mercanti anche uomini di Dio, molte cose le serbo per me, non è opportuno riferirle. Ho deciso di non andar mai oltre la semplice e schietta documentazione, memore di estreme parole dette a me, a me solo, da Papa Giovanni il 31 maggio 1963, dopo aver ricevuto il Santo Viatico: Non ci siamo soffermati a raccattare i sassi che, da una parte e dall'altra della strada, ci venivano gettati addosso per rilanciarli; abbiamo pregato, obbedito, lavorato, sofferto; abbiamo perdonato e amato. Se uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso (ahi! ..non lo sapevo, ma è una citazione di S. Paolo dalla lettera ai Galati 6,3).. ecco sì, troppa approssimazione ed ignoranza hanno lasciato spazio ad opportunisti senza scrupolo, si è dato credito a venditori di Speranza senza futuro, ma la Speranza ha il suo seme nella ragione, …e il Suo ricordo degli abruzzesi per i quali si sente "olim pater semper amicus (un tempo padre, adesso e sempre amico)". Sono rimasto a chiacchierare con Lui per oltre mezz'ora.

E poi, alzatosi dalla sua poltrona: "vieni qui, fatti benedire, figlio mio, per te ed i tuoi cari"; "Don Loris ho delle bottiglie di vino", "allora, va, va a prenderle! ti preparo qualcosa da portarti".

Oh, sì, mi porto la tua serena testimonianza profetica che è necessario amare l'ineffabile dono della vita (Letizia) ed aprirsi alla Verità ed alla Grazia senza remore e senza limiti (Grazia), consapevoli delle nostre ed altrui contraddizioni, certi comunque che è difficile nel qui ed ora testimoniare e condividere certe posizioni profetiche, perché, si sa, i profeti camminano con un passo troppo lungo e spesso non si riesce a tener loro dietro. Grazie mio vecchio "amico e Padre".☺

polsmile@tin.it

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