L’europa al crocevia
20 Settembre 2017
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L’europa al crocevia

Il passaggio di consegne tra il vecchio ed il nuovo anno rappresenterà, a livello economico, senza dubbio una fase chiave per il futuro dell’Unione Europea. Sarà la vera prova del nove per il gigante dai piedi d’argilla, che dovrà cercare di camminare sulle proprie gambe, finalmente, senza il sostegno della Banca Centrale, senza cioè quella decisiva stampella che sorregge ormai da anni la sovrastuttura del Vecchio Continente.

Come già annunciato più volte dal presidente dell’istituto di Francoforte, Mario Draghi, l’ormai famoso programma di stimoli alla crescita, entrato nel lessico comune sotto il nome di quantitative easing (o QE) è ormai al canto del cigno, decretando così anche la fine della politica espansiva. Con questo istituto, Draghi, vero artefice del riuscito programma, aggirando i veti ed i vincoli imposti dalla rigida normativa bancaria europea, è riuscito ad effettuare ciò che non era stato possibile ai suoi predecessori Wim Duisenberg e Jean Claude Trichet, ovvero lo stampaggio di moneta.

Questo è tecnicamente avvenuto attraverso il quantitative easing, che è una delle modalità attraverso cui avviene la creazione di moneta a debito da parte di una banca centrale con operazioni di mercato aperto. Se così non fosse stato, se questo tentativo – osteggiato in primis dall’asse franco-tedesco ma soprattutto dalla Cancelleria di Berlino – non fosse stato esperito, probabilmente oggi gran parte dei paesi periferici dell’Ue, si troverebbe nella medesima situazione della Grecia, costretta a rinegoziazioni continue del debito, anticamere molto spesso di tagli alla spesa sociale, prodromi dell’impoverimento graduale della propria gente. Invece, grazie al sostegno dei debiti degli stati membri, attraverso queste operazioni massicce di acquisto dei titoli emessi dal Tesoro, è stato possibile raffreddare gli spread e permettere che il default, spauracchio paventato spesso e non soltanto per finalità giornalistiche mirate, non divenisse realtà.

Non è poi così lontano quel titolo a caratteri cubitali del Sole 24 ore, “FATE PRESTO”, del 10 novembre 2011, giorni in cui la credibilità perduta del paese Italia ci faceva sprofondare in un abisso in cui il differenziale BTp-Bund arrivò a toccare i 575 punti ed i titoli pubblici biennali rendevano un tasso del 7,25%. Quell’apertura, “rubata” dal maggiore giornale economico nazionale al Mattino di Napoli, che titolò così tre giorni dopo il terremoto del 23 novembre del 1980 che sconvolse l’Irpinia, stava a testimoniare, ieri come allora, la gravità del momento.

In quei drammatici frangenti Draghi, pronunciando il celebre discorso del Whatever it takes, ovvero “Tutto ciò che è necessario” per salvare l’Euro, inaugurò la stagione delle operazioni definitive monetarie, note anche con l’acronimo Omt (Outright monetary transactions). Tuttavia, riuscire a portare a termine questa operazione di allentamento quantitativo, come dicevamo, ha comportato numerosi scontri e veti incrociati tra stati membri. Nonostante, normalmente, una Banca Centrale, degna di tal nome, dovrebbe avere prerogative di questo tipo, le quali vengono esercitate normalmente dagli istituti aventi identica funzione e valore a livello mondiale, vedasi la Federal Reserve per gli Stati Uniti, come anche la Bank of Japan, per finire con la Bank of England. Questo esempio, che vincola le prerogative della Bce e che di fatto evidenzia un potere minore dell’istituto di Francoforte, sta a testimoniare una volta di più, quella divisione insita e mai sopita tra le realtà componenti l’Unione Europea.

Pertanto, un accordo in primis sulla riforma del mandato della Banca Centrale (che avrebbe così quei poteri di cui stiamo trattando), parallelamente all’emissione dei fondamentali Euro Project Bond, darebbe un impulso economico nuovo, poiché tali emissioni obbligazionarie sono direttamente finalizzate alla realizzazione di un progetto, grazie al coinvolgimento di capitali privati nel finanziamento di opere infrastrutturali, soprattutto in una fase storica in cui le tradizionali fonti non sono in grado di assicurare le risorse necessarie. Si pensi a quale tipo di spinta avrebbero avuto le opere infrastrutturali di ogni singolo stato nel migliorare la mobilità, ad esempio, senza intaccare risorse pubbliche. Come anche la creazione di moneta, in maniera perenta e non occasionale, avrebbe creato quell’inflazione ‘buona’, unica possibilità per far ripartire i consumi interni.

Misure semplici, quasi ovvie, usando un minimo di buon senso. Ma, se non sono state applicate, se hanno vinto i particolarismi nazionali oltre ogni logica, se a prevalere ancora una volta sono state le ragioni di una enclave rispetto all’interesse supremo europeo, allora non dobbiamo stupirci se temi enormi quali l’immigrazione e tutto ciò che ne discende acuiscano le distanze, anziché accorciarle. E conseguenza logica sarà la mancata spinta economica, che da sola la Bce non può realizzare, se non con la cessione di una piccola parte di sovranità da parte di ogni componente del gigante dai piedi d’argilla, che di fronte ai rigori invernali potrebbe vacillare come mai finora. ☺

 

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