Liberazione attraverso il sapere
22 Marzo 2023
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Liberazione attraverso il sapere

“Siamo stanchi di piangere i nostri coetanei… serve il coraggio di mettere in discussione l’intero sistema merito-centrico e competitivo…”. Sono le parole pronunciate dalla presidente degli studenti dell’Università di Padova, Emma Ruzzon, in occasione dell’inaugurazione dell’ ottocentunesimo anno accademico dell’ateneo veneto; davanti alla rettrice Daniela Mappelli e alla ministra Anna Maria Bernini, la studentessa ha ricordato i recenti suicidi di giovani che in qualche modo si sono sentiti incapaci nello studio ed ha evidenziato le contraddizioni di una narrazione mediatica, dunque culturale, che celebra le eccellenze straordinarie come paradigmi ai quali ordinariamente doversi attenere; infine, la voce vagamente tremante, ma chiara, ha proseguito spiegando perché avesse appoggiato una corona d’alloro al leggio prima di pronunciare il discorso: “La corona d’alloro non deve significare l’eccellenza, la competizione sfrenata. Deve essere simbolo del completamento di un percorso che è di liberazione attraverso il sapere”.

“Liberazione attraverso il sapere”: a me sono parse parole bellissime, le uniche parole di peso politico che io abbia sentito pronunciare da mesi a questa a parte, perché, comunque la si pensi (e naturalmente, come sempre accade nel nostro Paese, ne è nata una querelle fumosa), sono parole incisive e concrete, eppure sorrette da una visione ideale, direi anzi poetica della vita comunitaria e politica. Esattamente quel che manca in Italia ad un’opposizione evanescente e ad un governo che si nutre di retorica dell’ordine e del merito svuotata di ogni sostanza di verità e umanità.

Il risultato delle ultime elezioni regionali in Lazio e Lombardia è per me sconfortante, ma non sbalorditivo: l’Italia è un paese invecchiato, in cui votano poche persone, non troppo giovani, e momentaneamente quelle poche persone si sentono rappresentate nel modo che sappiamo: va così ora e non andrà così sempre. Intanto: se si restituisse spazio alla voce dei giovani, dei tanti giovani che non votano proprio? Se si ascoltassero i loro problemi e se si chiedesse loro cosa vorrebbero, anzi cosa farebbero per la politica? Se li si educasse al senso critico e alla ricerca della verità e alla solidarietà, invece che essere complici silenti di una cultura mediatica che gioca al ribasso anche in termini di rappresentazione delle relazioni umane? Se, invece che biasimarli con tanto di lagnanze e compianto di un passato mitico quando tutto era e andava meglio, si desse loro il concreto esempio di alternative possibili, dalla politica, al lavoro, al modo di concepire il senso della vita?

Si grida allo scandalo sui giovani, come più fa comodo: fiumi di parole sul volgarissimo gesto del cantante sanremese che prende a pedate i fiori, ovvio; a seguire, prolissa e vaporosa polemica da salotto sulla rilevanza politica più o meno spostata a destra o a sinistra dell’intera kermesse; infine, non un controcanto, non una riflessione seria sullo spettacolo di Sanremo in quanto tale, sull’opportunità di sostenerne ad  oltranza i costi esosi, stante la sua totale irrilevanza culturale.

Ma dei giovani ecologisti che imbrattano di vernice le pareti del Senato e bucano le ruote dei Suv potremmo mai accontentarci di dire che sono vandali, vandali e basta? Eppure è stato detto. Dei giovani come Emma, che davanti ad un pubblico “impegnativo” si è incaricata di affrontare questioni che il più di noi avrebbe paura ad accennare in una riunione di condominio, potremmo dire che cercano giustificazioni d’ufficio ai loro sbagli e vita facile? Eppure è stato detto.

Tutti i mesi dell’anno hanno una loro valigetta di poesie e filastrocche e proverbi in dedica, forse perché noi uomini ci arrabbiamo con la vita, ma poi, per fortuna, il più delle volte ci piace viverla e osservarne i dettagli e ricordarla e trasmetterne immagini ed emozioni, a partire dal calendario dei mesi, con la sua cornice di notazioni sul paesaggio e sui colori, sugli umori del tempo.

Per Marzo “pazzerello” sono state scritte molte poesie; una in particolare mi piace, sarà perché resa tanto espressiva dall’uso del dialetto napoletano; è di Salvatore di Giacomo e recita così:

Marzo: nu poco chiove
e n’ato ppoco stracqua:
torna a chiovere, schiove,
ride ’o sole cu ll’acqua.

Mo nu cielo celeste,
mo n’aria cupa e nera:
mo d’ ’o vierno ’e tempeste,
mo n’aria ’e primmavera.

N’auciello freddigliuso
aspetta ch’esce ’o sole:
ncopp’ ’o tturreno nfuso
suspirano ’e vviole…

Catarì!… Che buo’ cchiù?
Ntiénneme, core mio!
Marzo, tu ’o ssaie, si’ tu,
e st’auciello songo io.

A tutti i giovani uccellini che in Italia tentano di farsi sentire, far strada e farsi strada, perché questo marzo irascibile e bizzarro ascolti infine la loro voce, la loro dichiarazione d’amore per la vita.

A presto.☺

 

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