
libri: “Sudari (Elegia per Gaza)” di Paola Caridi
“‘Il sudario è ciò che si trova: una coperta sporca, un pezzo di tenda, una kefiah insanguinata. Il corpo di un bambino viene deposto in un sacchetto di plastica, e il bianco del ritorno è sporco di cemento, di fumo, di silenzio colpevole’ scrive Nabil Bey Salameh”.
Attraverso questa sua Elegia per Gaza [Su- dari, Feltrinelli editore] Paola Caridi testimonia, con attenzione e chiarezza, il dramma che si sta verificando – nell’inerzia delle istituzioni mondiali – nella piccola striscia di terra. Dichiara l’autrice: “I sudari si sono fatti strada nei miei occhi come negli occhi di tutti. … [E] i fotografi palestinesi di Gaza avevano trasformato i sudari nel simbolo del genocidio. Fragile e potente. Da allora, ho deciso che era necessario, per me, scriverne”.
Le immagini cui Paola Caridi fa riferimento sono drammatiche e ad esse – purtroppo – ci stiamo ‘abituando’: mostrano persone (bambini soprattutto) cadute in questa assurda ed atroce ‘guerra’, le cui salme vengono avvolte in teli dal colore bianco. “Tutto meno che un segnale di resa. … Nulla c’è di resa nella scelta del bianco nella sua declinazione islamica: è il segno del lutto, o meglio, il colore del lutto in quanto fortemente consigliato dal profeta Mohammed, che considerava gli abiti di colore bianco i migliori da indossare. E anche i migliori per avvolgere le salme dei defunti”.
Com’è noto “nell’Islam la sepoltura deve avvenire presto, idealmente entro ventiquatt’ore. È una forma di rispetto, un’accettazione del decreto divino: trattenere chi è già in viaggio è negargli il passaggio”. Nell’inferno di Gaza non è possibile seguire le prescrizioni rituali islamiche: le salme vengono avvolte nei sudari, ormai non più candidi teli ma ciò che si riesce a trovare – come ricordava, all’inizio, Nabil Bey Salameh – sacchi di plastica, coperte, vecchie tende! E le tombe non sono altro che buche scavate nella nuda terra dove la salma viene calata con lentezza e solenne rispetto. Ma tutto questo non trova più luogo e tempo nella Striscia. “A Gaza il sudario è poesia in guerra, rito tra i crateri, luce in mezzo al buio degli uomini”.
Nella sua ‘orazione civile’ – come qualcuno l’ha definita – Paola Caridi ribadisce l’atteggiamento colpevole del mondo occidentale, soprattutto, che “si dimentica completamente di Gaza. Di Gaza e del genocidio dei palestinesi. Anzi, per dirla meglio, ci si dimentica di Gaza e si continua a omettere la parola che si considera proibita. La parola, anzi, negata e a un tempo proibita. Genocidio”. Questa presa di posizione sottrae quanto avviene nella Striscia al diritto internazionale e le violenze e le azioni di guerra possono continuare indisturbate.
Molto suggestivo, ma nel rispetto consapevole della gravità della situazione, è il riferimento che l’autrice fa al Grande Cretto che Alberto Burri ha ideato e realizzato sulle rovine di Gibellina (Sicilia, terremoto del 1968): non potendo raggiungere Gaza “ci sono luoghi, santuari dov’è possibile almeno pensare a Gaza e al suo genocidio, nel silenzio”. Ed è proprio il Cretto che offre questa possibilità: “un sudario di cemento poggiato come un telo – come un sudario, appunto – sul pendio che declina verso la valle del Belice”.
Sudari non è un componimento consolatorio! È una denuncia forte che, accanto alle immagini disperate di una terra distrutta e vilipesa, pone la fiducia in ciò che, non le istituzioni, bensì la società civile può fare. La forza della parola che sussurra, che non tace, che vuole raggiungere le coscienze di quanti/e si sentono parte dell’umanità. “Questo libro […] è per me […] parola pubblica, intervento pubblico, sulla scia di una lunga tradizione che andrebbe, credo, più navigata, soprattutto in un tempo come questo, che ci ha cambiati e ha trasformato le nostre parole”. (D.C.)