L’importanza del pentateuco
Qual è la parte più importante del Pentateuco? Se si dovesse chiedere a un Padre della Chiesa o a un teologo medievale, direbbe immediatamente: Gen 1-3, dove troviamo il racconto della creazione e del peccato originale. Tutto ciò che viene dopo non è altro che l’annuncio della restaurazione promessa da Dio, un annuncio che attraverserà tutte le epoche storiche fino alla venuta di Cristo, che ne rappresenta il compimento. Nella tradizione cristiana ci sono tante opere che parlano della creazione e del peccato, ma molto poche che riguardano le vicende del popolo nel deserto, racconti che sono spesso visti solo come una profezia dell’Evento per eccellenza che è la morte di Gesù sulla croce, che ha realizzato la salvezza, cioè la riconciliazione dell’umanità con Dio.
Ma questo modo di leggere la prima parte della bibbia ebraica non è quello originale: quando gli ebrei hanno creato una cesura tra i primi cinque libri e il seguito della storia, è perché in essi hanno visto non solo la loro origine, ma la loro identità perenne a cui sempre avrebbero dovuto richiamarsi in tutti i tempi successivi, come ci insegnano i profeti e i saggi d’Israele. In che consiste questa identità? Partiamo dal cuore materiale e ideale della Torah: il libro del Levitico che, agli occhi di un cristiano, abituato alle invettive di Paolo contro la Legge, è visto forse come il libro più inutile e noioso perché parla di cose, le regole del culto, che di per sé sono state abrogate con la venuta di Cristo e che, per essere “salvate” sono state interpretate allegoricamente da maestri geniali come Origene. Ebbene, proprio quel libro insegna come realizzare lo scopo per cui esiste il popolo d’Israele. In quelle pagine spesso ricorre un ritornello/esortazione: “Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo”. Non si tratta di un invito ad essere brave persone, ma a ricordare di essere diversi da tutti gli altri popoli, messi da parte. Come mai questa separazione? Tutto parte dalla concezione che avevano gli antichi riguardo alla o alle divinità che non potevano avere a che fare con il mondo ordinario, profano (in latino la parola significa: ciò che è davanti o di fronte al luogo sacro), ma dovevano essere protette in una zona sacra, “sterilizzata”, santificata, appunto. Per accedere a questa zona, bisognava fare dei riti di purificazione per non incombere nella maledizione della divinità stessa. Il corretto rapporto con lo spazio sacro avrebbe garantito la prosperità e la vita nello spazio profano dove, ogni volta che ci fosse stata qualche forma di impurità, bisognava ricorrere a una serie di riti e sacrifici per ristabilire l’ordine. Quello che nelle religioni cosiddette politeiste era legato a tanti luoghi quanti erano gli dei o le manifestazioni del dio di turno, nella religione ebraica era connesso a un solo luogo, il tempio di Gerusalemme, la cui santità era in funzione non solo del popolo d’ Israele ma di tutta l’umanità in quanto la corretta esecuzione dei riti e dei sacrifici, fatti nei tempi giusti, seguendo scrupolosamente le ore del giorno e il calendario annuale, avrebbe garantito il permanere dell’ordine cosmico. La funzione del popolo, quindi, era concepita come salvifica per tutto il mondo, a condizione di mantenersi puro da ogni contaminazione “profana”. Da qui la concezione che il Luogo Santo (il Tempio), all’interno del quale era collocato il Santo dei Santi, punto geometrico di contatto tra Dio e il cosmo, dovesse essere contenuto in una città santa (Gerusalemme) a sua volta circondata da una Terra Santa (Israele) dove abitavano i sacerdoti (santi per nascita) che erano nutriti dal lavoro degli altri israeliti che erano quindi chiamati ad essere santi per non contaminare la terra, i sacerdoti e il Tempio. La Torah racconta, in questa prospettiva, la nascita di questa realtà santa, messa a parte rispetto a tutti gli altri popoli, per permettere a Dio di prendere dimora sulla terra, abitando in un luogo reso sterile dall’accurato adempimento di tutti i riti e i sacrifici minuziosamente spiegati nella parte centrale della Torah stessa.
Letto in questa prospettiva, lo svolgimento della narrazione è il seguente: all’interno dell’umanità creata e “ricreata” dopo il diluvio, Dio sceglie un uomo che è impuro in quanto politeista in origine (Abramo) e lo rende puro chiamandolo ad uscire dalla terra impura, dandogli un segno distintivo (la circoncisione). Da questo uomo nasce una discendenza che, dopo una lunga permanenza in Egitto, è chiamata ad andare verso la terra che Dio ha scelto per mettere la sua dimora. Nel deserto il popolo viene purificato dall’idolatria e riceve le istruzioni per permettere a Dio di abitare in mezzo a loro con la costruzione della Dimora, che per molto tempo è una tenda e che solo dopo la stabilizzazione del potere politico, con Davide e Salomone, diventerà un tempio/edificio dove eseguire tutti quei riti insegnati nel deserto. Il libro dell’Esodo, quindi, racconta l’ allontanamento dal luogo impuro per eccellenza, l’Egitto, dove si adorano divinità antropomorfe e zoomorfe; di seguito si narra la permanenza sul Sinai che va da Esodo 19 a Numeri 10, dove il popolo stringe un patto con Dio scegliendolo come unico Dio e si impegna ad osservare i suoi comandi che riguardano non solo il culto ma anche l’etica, il compimento del bene verso il prossimo. Il popolo costruisce la Dimora dove Dio deve abitare e riceve le istruzioni (il Levitico) per far sì che Dio possa abitare in mezzo al popolo, che diventa una sorta di barriera contro il mondo profano degli idolatri. Una volta arrivati nella terra (lo racconta Giosuè) il popolo deve “steriliz- zarla” cacciando tutti gli idolatri (drammatica profezia, purtroppo, di quanto accade ancora ai nostri giorni in quella terra ormai poco santa).
Ha ancora senso questo racconto per i cristiani? Gli antichi avevano evitato il problema saltando direttamente dal peccato alla venuta di Cristo. Il vangelo, tuttavia, insegna che la terra da conquistare si chiama regno di Dio e, per abitarvi, non si devono fare riti e sacrifici, bensì essere come Dio santi in una prospettiva nuova: la differenza del Dio di Gesù, rispetto al mondo ed anche ad ogni sistema religioso, consiste nell’essere misericordioso e amorevole verso tutti, buoni e cattivi, giusti e ingiusti. È questa la santità che Gesù ha incarnato, non abitando in un luogo sterile e sicuro, ma mangiando con i peccatori e morendo per loro.☺