L’incertezza
13 Maggio 2020
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L’incertezza

“Il coronavirus non è qualcosa di cui ci libereremo facilmente” ha detto recentemente il primario infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano. “È poco più di una normale influenza” aveva rassicurato qualche giorno prima il presidente della regione Lombardia citando fonti mediche dello stesso ospedale. Doveva pensarla così anche un chirurgo dell’ ospedale S. Timoteo di Termoli, risultato positivo al tampone dopo essere rientrato in reparto reduce da una settimana bianca sulle Alpi. Intanto il segretario nazionale del Partito Democratico partecipava ad un aperitivo anti-panico a Milano e il segretario federale della Lega chiedeva al governo nazionale di riaprire fabbriche, negozi, musei, gallerie, palestre, discoteche, centri commerciali nelle zone rosse di Vo’ Euganeo e Codogno. Pochi giorni più tardi, il primo annunciava sui social la propria positività al coronavirus e l’inizio della quarantena domiciliare e il secondo chiedeva alle istituzioni comunitarie di estendere la zona rossa a tutta l’Unione Europea.
Nel frattempo il cittadino, preso tra l’incudine e il martello, è confuso: alla sosta di rito al bar per una birra o un caffè con gli amici segue quella al supermercato per riempire il carrello di generi di prima necessità. Sarà pure poco più di una febbriciattola ma sempre meglio premunirsi, non si può mai sapere. D’altra parte, ormai la televisione trasmette quotidianamente bollettini e immagini allarmanti da ogni angolo del pianeta.
A circa venti giorni dalla scoperta del primo focolaio italiano le statistiche sul numero di contagiati, ricoverati, guariti e deceduti nel paese incominciano a consolidarsi. Cosa ci dicono i dati ufficiali? Che i contagi si concentrano tra gli anziani come se questo virus prima di entrare controllasse la carta d’identità del futuro ospite. Il sospetto che i contagiati siano molti di più è stato già avanzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma quanti di più? Almeno il doppio dei numeri diffusi ogni sera dalla Protezione Civile se si applica lo stesso tasso di diffusione osservato tra gli anziani anche alle altre fasce d’età. L’altra metà sarebbe passata inosservata senza lasciare traccia nelle statistiche ufficiali, trattandosi perlopiù di casi lievi che si sono risolti senza complicazioni. Se, da un lato, questo spiegherebbe la preoccupante accelerazione nella diffusione del contagio di inizio marzo, dall’altro, ridimensionerebbe anche la supposta letalità del coronavirus. Se. Il punto è che nessuno lo sa con certezza, navighiamo a vista e avere l’umiltà di riconoscerlo sarebbe già un buon antidoto contro lo spauracchio di scenari apocalittici o il miraggio di un rapido ritorno alla normalità. Perché alle certezze di chi predice che un italiano su due si ammalerà nei prossimi mesi o di chi dispensa ottimismo sostenendo che tutto andrà bene, l’incertezza è di gran lunga più affidabile e, paradossalmente, anche più rassicurante.☺

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