L’informazione sul web
1 Maggio 2017
La Fonte (351 articles)
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L’informazione sul web

Secondo l’annuale classifica di Reporters sans frontières, la libertà d’informazione in Italia sarebbe addirittura peggiorata negli ultimi dodici mesi. Abbiamo infatti perso quattro posizioni, scivolando al settantasettesimo posto (su 180 Paesi), in virtù dell’aumentato numero di giornalisti sotto scorta – secondo La Repubblica sarebbero tra i 30 e i 50 i giornalisti sotto protezione della polizia – e delle vicissitudini giudiziarie di Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, processati in Vaticano per due libri sugli scandali della Chiesa. Nella penisola, in sostanza, la libertà di stampa sarebbe meno garantita che in Paesi liberticidi ed oggettivamente più pericolosi del nostro, per i giornalisti e non solo. Ma è veramente così? Se è pacifico che non ci distinguiamo per meriti giornalistici, al contrario degli scandinavi, da sempre in testa alla classifica di Rsf, c’è tuttavia da considerare la metodologia utilizzata dall’Ong francese. Gran parte del punteggio, infatti, viene calcolata sulla scorta di questionari somministrati agli stessi giornalisti e che fanno leva sulla loro percezione di libertà. Va da sé che un giornalista italiano abbia una scala di valori circa la libertà di stampa parecchio diversa da quella di un collega operante in un’area storicamente liberticida.
Il problema allora qual è? Abbiamo più volte accennato in queste pagine all’assenza dei cosiddetti “editori puri” nel belpaese, ovvero di quegli imprenditori che traggono profitto dalla qualità dei propri giornali, tv, blog, più che dai finanziamenti pubblici, dalle regalie degli amici, dalle vicissitudini delle aree politiche di riferimento. Ciò che manca è ancora una volta il tanto decantato mercato libero dell’editoria, da un lato, e la schiena dritta dei giornalisti dall’altro. Perché l’auto-censura è la scure che si abbatte sulle inchieste giornalistiche più spesso della censura tout-court. Che a sua volta si è evoluta nel tempo a suon di querele (come a dire, si fa leva sulla disponibilità economica dell’editore e sulla sua tenacia nel difendere i propri redattori). C’è forse una soluzione? Ancora una volta, gioia e dolore dei nostri tempi, torna con prepotenza la necessità di una riflessione sul web.
Viviamo in un’epoca che ci abbaglia con l’illusione della massima libertà possibile, del libero arbitrio, attraverso internet. Ma è davvero così? Un italiano su due accede ad internet per cercare conferme o approfondimenti delle notizie apprese dalla tv. Diciamo, per semplificare, che l’altro italiano cerca informazioni direttamente sul web. Ma come? Nella migliore delle ipotesi, è un lettore esperto, formatosi sui giornali cartacei, e cerca le notizie direttamente sui canali che ritiene autorevoli (l’edizione online dei giornali che un tempo comprava in edicola). Nella peggiore, si ritrova letteralmente sommerso da una miriade di fonti, difficili da verificare, che gli dicono tutto ed il suo contrario. Fake, balle spaziali, cattivi esempi, messaggi palesemente razzisti, violenti, falsi o volutamente manipolati. La cosa grave è che gli utenti più a rischio in questa selezione delle fonti sono proprio quelli che più abitualmente si muovono e s’informano su internet: i millenials. Detti anche nativi-digitali, i ragazzi tra i 14 e i 20 anni, costituiscono una buona fetta dello share del cyberspazio. E sono loro, inconsapevolmente, a decidere cosa “va” e cosa “non va” sul web. Una libertà ed un “potere” di cui non si può disporre senza la giusta educazione. Sarà il vero “libero arbitrio”? I giovani in quella fascia d’età non riconoscono, anzi ripudiano, le istituzioni nella loro interezza, comprese quelle mediatiche e sono cresciuti con l’occhio abituato al bello, ad un linguaggio più simile al marketing che all’informazione. Un teenager di oggi “accende” youtube più che il tubo catodico, dando maggiore credito ad uno youtuber coetaneo che ad un giornalista rispettato. A torto o a ragione, questi millenials avranno guardato, con buona probabilità, l’ultimo video di “Bellofigo” o “Favij” ed ignorato i vari programmi di approfondimento che girano in tv.
La scommessa, per godere davvero del libero arbitrio, sarebbe quella di iniziare a fare informazione di qualità anche via youtube. Eppure, se si cercano esempi di giornalismo sul canale di Google, si fa presto ad accorgersi che le inchieste dei giovani giornalisti di “Corto Circuito”, che hanno denunciato gli interessi mafiosi in Emilia Romagna, tirano molto meno (troppo meno) dei video blog comici, dei tutorial più disparati, via via fino alle “scorregge” di Frank Matano. Perché? Se nell’editoria tradizionale, per sopravvivere, c’è bisogno di un editore (magari a trovarne uno “puro”!), su Youtube un canale tv finanziariamente sostenibile ha bisogno di numeri che anche in tv sarebbero considerati di tutto rispetto: occorrono milioni di visualizzazioni. Ed è molto improbabile che la chiave di ricerca “mafia”, ad esempio, venga digitata più spesso di “scorregge” (ahimè, è vero) o che un canale di giovani reporter indipendenti sia seguito quanto quello di un comico o di una fashion blogger.
Al netto del nostro filosofeggiare su potenzialità e limiti del web, la risposta alla domanda che ci poniamo è una: sta tutto nelle mani dei giovani. Vessati da modelli sbagliati, disincantati, stanchi della vecchia politica, della vecchia informazione, dei “vecchi” che li tengono ai margini della società, questi giovani sono ancora la nostra risorsa e dipenderà soprattutto da loro se, tra qualche anno, sguazzeremo ancora nel fondo della classifica di Reporters sans frontières o se il web ci salverà davvero. È tutta questione di libero arbitrio.

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