Salario minimo e orario di lavoro
13 Ottobre 2023
laFonteTV (3191 articles)
Share

Salario minimo e orario di lavoro

Si dibatte sulla povertà da lavoro (si dovrebbe discutere anche sulla povertà di lavoro) e si conviene da parte di molti sulla necessità di farvi fronte garantendo per legge, a chi vive in tale condizione, un salario orario minimo. Va annotato che non ci si deve illudere che basti una legge, che fissa un salario orario minimo, per vincere tale condizione. Diversi sono, infatti, i fattori socio-economici e culturali che vi pesano per cui sarebbe interessante che, accanto, si riflettesse attentamente anche sul lavoro-posto di lavoro che se ne va. Lo segnalava molti anni fa R. Darhendorf.
Sono più di tre milioni le persone che, pur lavorando, vivono in condizioni di povertà relativa. Un salario orario minimo garantito può solo attenuare la pesantezza di una condizione legata al lavoro povero per cui non può da solo garantire una vita dignitosa, come sanciscono l’art. 36 della Costituzione italiana, la Dichiarazione universale dei diritti umani e la Dichiarazione europea dei diritti.
È utile porre attenzione anche sulle ore lavorate. Il salario complessivo di un lavoratore non è, infatti, fissato solo dalla paga oraria, su cui la norma si propone di intervenire. Esso è quantificato anche dal numero di ore lavorate nel corso di un anno. Le differenze, in termini di ore lavorate, danno ragione delle diseguaglianze di reddito tra i lavoratori e dell’andamento delle stesse nel tempo. Tali differenze incidono in misura pesante sulle povertà lavorative. È quanto viene documentato nella “Relazione del Gruppo di lavoro ministeriale sugli interventi e le misure a contrasto delle povertà in Italia del 2021”.
Si coglie meglio il legame intercorrente tra salario minimo e povertà lavorativa se si pone attenzione a tre variabili: il salario complessivo percepito dal lavoratore nel corso dell’ anno, che lo stesso venga a trovarsi o non in condizione di povertà relativa; il salario orario e il numero delle settimane lavorate nel corso dell’anno. I dati proposti recentemente dall’INPS sono utili al riguardo.
Si è fissato un campione di lavoratori dipendenti utilizzando dati Inps-LoSal (2019) e se ne è quantificato il salario complessivo annuale (somma imponibile contributivo di tutti i contratti relativi a ciascun lavoratore) e si è fatto allo stesso modo a proposito delle settimane e delle ore (40 ore) lavorate. Si è, poi, quantificato il salario medio annuale dividendo il salario complessivo per il numero delle ore lavorate. Si è individuata la soglia di povertà lavorativa in riferimento al reddito complessivo annuo e la si è quantificata nel 60% del salario complessivo mediano: 12.700 in linea con quanto indicato dall’ISTAT di recente. È risultato che il 29% di lavoratori è al di sotto di tale soglia e vive in condizioni di povertà relativa.
Ancora, tenuto conto del rapporto tra salario minimo orario e lavoro povero, è risultato che il salario orario, per una larga parte dei lavoratori con reddito sotto la mediana, sia sostanzialmente costante rispetto al salario complessivo guadagnato nel corso dell’anno. Un basso salario orario non sembra accompagnarsi, in media, ad un basso salario complessivo guadagnato durante l’anno. Lavoratori con livelli di reddito annuale diversi tra di loro risultano disporre di salario orario molto simile. Distingue i lavoratori sotto la soglia di povertà relativa dagli altri lavoratori il numero di settimane lavorate durante l’anno. I lavoratori con reddito annuo al di sopra della soglia di povertà sono occupati mediamente 51 settimane annue. Non superano 30 settimane i lavoratori al di sotto di tale soglia. Ciò porta a sostenere che sul lavoro povero incide il tempo (non) lavorato e non l’aumento del salario orario. Risulta anche una stretta connessione tra il numero di settimane lavorative nell’anno e il salario orario medio percepito.
Sono dati, da approfondire ulteriormente, che invitano ad analizzare la povertà relativa utilizzando un approccio multidimensionale. Si può discutere la quantificazione in 9 euro del salario orario, adducendo motivazioni varie; non si può, però, negare la necessità di fissare il salario minimo orario. Ne godrebbero in special modo i lavoratori non difesi dal sindacato. Forse si dovrebbe ragionare, contrattualmente, su limitazioni del lavoro atipico (part-time, contratti a tempo determinato…), e proporre un in-work-benefit per sostenere i redditi bassi e favorire l’emersione del lavoro sommerso, orientare l’industria verso lavori valorizzanti e favorenti le competenze dei lavoratori. Forse si dovrebbe pensare a dar corpo all’art.39 della Costituzione.☺

laFonteTV

laFonteTV