Lo sterminio dei campi continua
7 Marzo 2024
laFonteTV (3191 articles)
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Lo sterminio dei campi continua

Tornare sullo stesso argomento può sembrare ripetitivo (vedi la fonte, luglio 2022), ma lo sterminio dei campi continua senza tregua, in Molise come nel resto d’ Italia. Sono i territori più deboli a pagare il prezzo più alto, quelli meno abitati e più esposti alla speculazione di imprese e individui che hanno trovato nella cosiddetta transizione ecologica nuovi motivi per fare profitti a danno del suolo e del paesaggio, che sono beni comuni e risorsa di valore collettivo. Nessuno li ferma, nemmeno le istituzioni che avrebbero titolo a farlo e che dovrebbero sempre anteporre l’interesse pubblico a quello privato: un “interesse morale e artistico che legittima l’intervento dello Stato” come ebbe a dire Benedetto Croce più di un secolo fa e come stabilito nella Costituzione repubblicana.
Il fotovoltaico e l’eolico, che avrebbero potuto essere una risorsa energetica alternativa se gestiti correttamente e pubblicamente, stanno invece diventando una tragedia territoriale, un affronto alle due principali risorse italiane: il cibo, prodotto dal suolo agricolo, e il paesaggio, frutto dell’incontro fecondo tra natura e uomo, patrimonio riconosciuto del Bel Paese. Il Molise ha già pagato un tributo altissimo, prima per l’impatto paesaggistico delle pale eoliche, ora per la sottrazione di suolo produttivo da parte di impianti fotovoltaici a terra, anche quando questi sono camuffati sotto l’etichetta beffarda di “agrivoltaico”. Ai progettisti manca la conoscenza di come queste risorse energetiche siano state utilizzate nella storia, altrimenti dovrebbero sapere che non possono essere loro, né noi uomini del Duemila, a presentare queste fonti come una innovazione. Siamo semmai nel campo della retroinnovazione, perché l’uomo ha utilizzato per secoli e per millenni, almeno fino all’avvento dei combustibili fossili dopo la rivoluzione industriale, il sole, il vento e l’acqua come motori primi, che si aggiungevano alla fatica umana e animale, la quale si riproduceva grazie al cibo che il suolo consentiva di produrre.
L’impiego dei combustibili fossili come fonti energetiche – prima il carbone e poi il petrolio e il gas – ha una storia limitata: un paio di secoli soltanto, cioè un segmento breve della lunga storia umana sulla terra. Il nostro tempo è accecato, anche in questo caso, da una presunzione scientifica che ci impedisce di guardare lontano, mentre il territorio è lasciato alla mercé degli affaristi e al lamento sterile di chi lo abita. Possibile che nessuno ascolti il grido d’allarme e che si continui a distruggere suolo e paesaggio?
Intanto gli ettari di suolo cancellati dalla furia speculativa aumentano di migliaio in migliaio. In Molise all’inizio del 2024 erano in fase istruttoria progetti di pannelli solari per oltre 5.000 ettari, ai quali si aggiungono richieste di autorizzazione per ben 350 torri eoliche di altezza sempre maggiore e sempre più impattanti. Sono progetti in buona parte assurdi, prodotti col copia-incolla, irriguardosi verso il territorio su cui pensano di installarsi e talvolta perfino offensivi, come quando nelle discutibili valutazioni di impatto ambientale si arriva a scrivere che tale impatto non ci sarebbe o sarebbe trascurabile perché l’area è poco abitata. Si trascura palesemente e ignorantemente il fatto che proprio i territori poco abitati stanno diventando sempre più preziosi, rispetto a un modello di sviluppo che ha favorito la concentrazione e la polarizzazione.
Si moltiplicano gli appelli contro lo scempio energetico del territorio, a partire da associazioni come Italia Nostra e da iniziative locali che per fortuna si stanno organizzando sul territorio. Ma sono appelli e iniziative che non riescono a trovare una sponda politica, né a fare breccia nelle istituzioni. La Regione Molise, tra le più colpite d’Italia dalla speculazione energetica, non riesce nemmeno a portare a termine l’ individuazione delle cosiddette “aree idonee”, mente gli scienziati e gli intellettuali nella migliore delle ipotesi si disinteressano di questi argomenti e nella peggiore assecondano il potere, economico o politico che sia, magari con progetti ben finanziati. In Molise, e in particolare nel Basso Molise, si sono lodevolmente mossi Slow Food e AIAB (agricoltura biologica) e anche le tradizionali associazioni di categoria CIA e Coldiretti, mentre altre organizzazioni anche del mondo produttivo e ambientalista non sembrano interessate a una posizione netta ed esplicita che blocchi il consumo di suolo fermando l’invasione di torri e pannelli. Non c’è zona del Molise che non sia a rischio, perfino laddove il paesaggio è stato riconosciuto come pregiato e inserito nel Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici, come nella zona di Melanico a Santa Croce di Magliano. Per dire quanto si tratti di progettisti e imprenditori senza scrupoli e ignoranti, basti dire che in uno di questi progetti riguardanti proprio le belle colline ondulate di Santa Croce hanno scritto che Melanico si trova in “agro de L’Aquila”, mentre tutti sanno che siamo in provincia di Campobasso. Ma niente, nessuno fa caso alla qualità dei progetti, che non di rado vengono autorizzati anche in presenza di pareri contrari da parte di enti competenti quali soprintendenze, servizi agricoli regionali o comuni.
Una volta realizzati, questi impianti non solo sottraggono terre all’uso agricolo e alla produzione di cibo, non solo romperebbero la trama territoriale violentando il paesaggio che sta alla base della possibile economia turistica della regione, ma determinerebbero anche duraturi danni ambientali ed economici, disperdendo il capitale fondiario in transazioni speculative che porterebbero la ricchezza lontano dal Molise, impoverendo la società locale.
Per questi motivi è necessario e urgente resistere all’invasione del fotovoltaico. Basterebbe rispettare le vocazioni dei territori e stabilire norme (che in parte già ci sarebbero) per escludere l’installazione a terra dei pannelli fotovoltaici, salvo casi specifici come cave, discariche e aree simili già interdette all’uso agricolo, dovendosi invece privilegiare l’uso delle coperture degli edifici e dei capannoni, delle aree industriali, dei parcheggi e infrastrutture varie. Perché le istituzioni non corrono ai ripari di fronte a questa aggressione? Non resta che la mobilitazione delle comunità locali, dell’opinione pubblica e della cosiddetta società civile, contro le degenerazioni di questa “civiltà” distruttiva.☺

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