l’ora del racconto
24 Febbraio 2010 Share

l’ora del racconto

In occasione della giornata mondiale della disabilità psichica mi piace portare uno stralcio del progetto di autobiografia con 21 pazienti psichici che inizierò il 28 ottobre presso “la casa degli svizzeri” di Bologna. Mi sembra augurale e migliore di qualsiasi teorizzazione sulle possibilità del benessere nel disagio mentale. Farò seguire notizie di questa certamente interessante esperienza.

La "diversità" è  spesso vista in chiave negativa, come "minaccia" della propria identità e per questo la presenza del "diverso" frequentemente genera sentimenti di paura, ansia, sospetto.

Se si riuscisse invece a percepire la "differenza" non come un limite alla comunicazione, ma come un "valore", una "risorsa", un "diritto", l'incontro con l'altro potrebbe essere in certi casi anche scontro, ma non sarebbe mai discriminazione. E l’incontro diventerebbe scoperta e affermazione della propria identità e, contemporaneamente, valorizzazione delle differenze.

Invece è il pregiudizio, inteso proprio come giudizio superficiale non avallato da fatti, ma da opinioni, il motore che a volte muove un po' le azioni e i comportamenti di tutti noi, condiziona le nostre relazioni sociali, ostacolando le opportunità di contatto, incontro, esplorazione, scoperta, che sono i fondamenti del rapporto con l'altro da sé. Ma il pregiudizio non è innato, ha piuttosto il suo fondamento nelle influenze familiari, ambientali, sociali, e si struttura già dalla prima infanzia. Pertanto se crediamo sia giusto cercare di limitare il più possibile l'insorgere di pregiudizi, è fondamentale intervenire a livello sociale, educativo, familiare per fare della diversità una vera ricchezza, In quest'ottica uno dei compiti di questo laboratorio dovrebbe essere quello di educare alla differenza, all'altro, al diverso, per creare i presupposti di una cultura dell'accoglienza e per impedire l'omogeneizzazione culturale.

E il linguaggio in generale, quello scritto in particolare, diventa molto utile per dar corpo e vita a percorsi che sono sì di autobiografia, ma che entrano direttamente nella terapia del sé.

L’autobiografia come trama

Il racconto autobiografico, non è solo un modo di raccontarsi, di dare spiegazione alle scelte fatte durante la propria vita, ma è un vero e proprio processo di ricostruzione alla luce dell’interpretazione che, nel momento in cui si racconta, si dà di se stessi. Un aspetto importante del raccontarsi risulta essere ciò che Duccio Demetrio definisce “bilocazione cognitiva”; essa consiste nella capacità che si ha, attraverso il racconto, di collocarsi al di fuori di sé, di prendere le distanze da se stessi, permettendo di riscoprirsi attraverso l’immagine di un altro da sé e scoprendo aspetti della propria persona fin allora inimmaginabili. Tutto questo non fa che convalidare la tesi secondo cui il metodo autobiografico si collocherebbe perfettamente all’interno di un processo formativo, poiché, coinvolgendo il soggetto in un processo di crescita personale e professionale, lo aiuta nel ritrovare la propria direzionalità. Il racconto autobiografico è da sempre presente nella storia dell’umanità. In ogni tempo l’uomo ha avvertito il bisogno di fissare la propria esperienza, non solo per sconfiggere la labilità della propria esistenza, ma anche per riflettere sul proprio vissuto, comprenderne il senso ed acquisire nuovo slancio vitale. Scrivere di sé, raccontarsi, non è solo la risposta ad un bisogno, ad una necessità; la narrazione autobiografica, col tempo, è divenuta un vero e proprio strumento di ricerca qualitativa applicabile sia alla sfera sociale sia a quella psico-pedagogica. Questo tipo di procedura non è, come nel caso dell’approccio quantitativo, rigidamente strutturata in fasi, ma rimane aperta, dinamica, in continua costruzione. Ciò deriva dal differente rapporto intercorrente tra teoria e ricerca: mentre con l’analisi quantitativa si ha un’impostazione rigidamente deduttiva, in cui la teoria, le ipotesi, precedono la ricerca, con quella qualitativa non necessariamente si è interessati alla formulazione d’ipotesi teoriche poiché la loro elaborazione procede di pari passo con la ricerca sul campo.

L’obiettivo che s’intende perseguire attraverso l’analisi qualitativa è la comprensione del soggetto, lo studio dei singoli casi, i quali però, non rivestono valore di rappresentatività statistica. Il metodo autobiografico si fonda sull’incitamento al raccontarsi, sulla raccolta e sull’analisi di testi verbali o scritti prodotti dal soggetto che s’intende studiare e che permettono di ricostruire la storia di sé; il racconto che ne scaturisce può compiersi liberamente, oppure può essere indirizzato e diretto dal conduttore su alcuni eventi e vicende particolarmente rilevanti. L’approccio autobiografico permette di analizzare la soggettività di chi racconta, lo stile cognitivo, le strategie di memoria, i modelli relazionali; ciò che interessa è far venir fuori la soggettività, l’identità del soggetto, non è importante sapere se quello che viene raccontato è vero, quanto, piuttosto, riflettere su che cosa il soggetto vuole dire di sé. Ha rilevanza il modo attraverso cui i soggetti interpretano le proprie esperienze, i modi attraverso cui le persone attribuiscono un senso alla loro vita.

Per i tanti autori che hanno scritto poesie, racconti, lettere, sicuramente la scrittura è stata una forma di cura, una medicina dell’anima, capace di liberare dalle tensioni, dalle ansie.

Il pensiero autobiografico, anche quando è rivolto verso un passato doloroso fatto d’errori, d’eventi infelici, è sempre un ripatteggiamento con ciò che si è stati e questa riconciliazione procura un senso di tranquillità, di pace. Demetrio sostiene che quando un soggetto racconta di sé, ricostruisce alla moviola la propria esistenza e si assume la responsabilità di tutto ciò che egli è stato; la capacità di accettarla procura una sensazione di benessere che ha origine nella sua capacità di prendersi in carico. L’autobiografia è un tempo per sé che non ha segreti per sé e, per questo, la si può definire una cura di sé. La funzione curativa dell’autobiografia non è quella di liberare il soggetto dal proprio passato, ma è quella di soddisfare il suo desiderio di cercare, scoprire e comprendere il senso della sua vita e della vita, è un modo per tornare a crescere e vivere più intensamente la propria storia personale nel presente e nel futuro. Nel ricordare la propria storia, i soggetti sperimentano una sensazione di sazietà, che deriva dallo stato di saturazione per aver raggiunto gli strati più profondi del proprio io, e di insaziabilità, che è data dal desiderio di continuare a ricercare se stessi tra i molti io, come se si stesse affrontando un viaggio destinato a non compiersi mai. ☺

 ninive@aliceposta.it

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