Vorrei il buio, un buio mite. Rosso.
I rumori della vita giungono presto
tra l’alba e l’ora dopo. Nel brizzo degli orinali.
E quel maledetto bulldozer gratta la strada
alle sei quando il rumore più mosso
è il russare della moka sul fuoco.
Anche il cucchiaino sullo zucchero residuo
mi dà senso del din don da messa cantata.
E qui non ci sono urogalli nei cortili
col chicchirichì cartavetro a sbiancare il nero.
Né campane di primo paternostro.
Dell’ombra in salotto salverei la copia morta-
piatto, vaso e fiori di Van Gogh.
Il porpora- rumore buono per cavalcare l’ottovolante.
C’è un orto tra buio e aurora dove piantare idee.
In quel buio risorto che china il capo
sull’ombelico dell’alba – il mio angolo franco -.
Agli occhi ancora salvi di sogno
alla bocca impastata d’amaro
salverei il pane appena cotto
– i versi sfornati a fatica –
al fioco d’una lampada votiva.
