“Se si cerca con vera attenzione la soluzione d’un problema di geometria, e se, dopo un’ora, non si sia fatto alcun progresso, tuttavia si è avanzati durante ogni minuto di quest’ora in un’altra dimensione più misteriosa. Senza sentirlo né saperlo, questo sforzo sterile in apparenza e senza frutti ha illuminato di più l’anima. Il frutto si ritroverà un giorno più tardi, nella preghiera. Si ritroverà certamente per sovrappiù in un dominio qualsiasi dell’intelligenza, forse del tutto estraneo alla matematica… Un racconto eschimese spiega così l’origine della luce: il corvo, che nella notte eterna non poteva trovare nutrimento, desiderò la luce e la terra si rischiarò. Se vi è un vero desiderio, se l’oggetto del desiderio è veramente la luce, il desiderio della luce produrrà la luce”.
Quale migliore introduzione al 2015, dichiarato Anno internazionale della luce dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e inaugurato ufficialmente lo scorso 19 gennaio a Parigi presso la sede dell’Unesco?
A regalarci questo frammento di saggezza, tratto dal saggio Attesa di Dio, è Simone Weil, scrittrice francese e filosofa tra le più interessanti del Novecento. Più che per il suo pensiero – non organizzato in un vero e proprio sistema filosofico, ma non per questo privo di coesione e coerenza – la Weil è ricordata per il suo carattere combattivo e per alcuni eventi della sua vita, strettamente legati alle vicende politiche degli anni compresi fra le due guerre mondiali. Dopo gli studi all’École Normale Supérieure, abbandonò l’insegnamento di filosofia nei licei per vivere personalmente la dura esperienza del lavoro manuale come operaia negli stabilimenti Renault e per partecipare poi alla Guerra civile di Spagna schierandosi contro il generale Franco. Al ritorno in Francia, attraverso l’amicizia di un padre domenicano, maturò la sua crisi religiosa, che non la portò tuttavia a rinunciare alla sua fede originaria, l’ebraismo, e ad approdare al cristianesimo. Per questo André Gide l’ha definita “la santa degli esclusi”: nonostante la sua profonda sintonia con la figura di Cristo e con il simbolo della croce, il suo cristianesimo è stato giudicato inaccettabile perché troppo personale. Significativo anche il giudizio che su di lei ha dato una sua grande ammiratrice quale fu Elsa Morante: “intelligenza della santità”, da intendersi come intelligenza del mondo che può venire solo da una santità risolta soprattutto in capacità di capire. Le persecuzioni naziste contro gli ebrei francesi la spinsero poi ad emigrare con la famiglia negli Stati Uniti. Si trasferì infine in Inghilterra, dove militò con altri esuli nella Resistenza francese, guidata dal generale De Gaulle. Ma a causa della tubercolosi, che l’aveva già colpita in precedenza, si spense nell’estate del 1943, a soli 34 anni.
La riflessione sopra riportata testimonia, a vari livelli, la profondità del suo pensiero: pur nella sua brevità, tocca infatti molti dei temi intellettuali, morali e religiosi di cui è sostanziata la sua opera. E ci consegna, tra le righe, quel messaggio che la Weil cercò di trasmettere anche con l’esemplarità della sua vicenda biografica, impegnandosi, fino all’ultimo, a lottare ovunque, con i disoccupati e gli operai in Francia o con i repubblicani in Spagna, nei quartieri poveri a New York o nella Londra bombardata della Seconda guerra mondiale: l’infelice è chi non vede nessuna luce nella sua vita, nessun senso nella sofferenza, nessuno scopo nell’affaccendarsi dell’umanità.
Filomena Giannotti
“Se si cerca con vera attenzione la soluzione d’un problema di geometria, e se, dopo un’ora, non si sia fatto alcun progresso, tuttavia si è avanzati durante ogni minuto di quest’ora in un’altra dimensione più misteriosa. Senza sentirlo né saperlo, questo sforzo sterile in apparenza e senza frutti ha illuminato di più l’anima. Il frutto si ritroverà un giorno più tardi, nella preghiera. Si ritroverà certamente per sovrappiù in un dominio qualsiasi dell’intelligenza, forse del tutto estraneo alla matematica… Un racconto eschimese spiega così l’origine della luce: il corvo, che nella notte eterna non poteva trovare nutrimento, desiderò la luce e la terra si rischiarò. Se vi è un vero desiderio, se l’oggetto del desiderio è veramente la luce, il desiderio della luce produrrà la luce”.
Quale migliore introduzione al 2015, dichiarato Anno internazionale della luce dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e inaugurato ufficialmente lo scorso 19 gennaio a Parigi presso la sede dell’Unesco?
A regalarci questo frammento di saggezza, tratto dal saggio Attesa di Dio, è Simone Weil, scrittrice francese e filosofa tra le più interessanti del Novecento. Più che per il suo pensiero – non organizzato in un vero e proprio sistema filosofico, ma non per questo privo di coesione e coerenza – la Weil è ricordata per il suo carattere combattivo e per alcuni eventi della sua vita, strettamente legati alle vicende politiche degli anni compresi fra le due guerre mondiali. Dopo gli studi all’École Normale Supérieure, abbandonò l’insegnamento di filosofia nei licei per vivere personalmente la dura esperienza del lavoro manuale come operaia negli stabilimenti Renault e per partecipare poi alla Guerra civile di Spagna schierandosi contro il generale Franco. Al ritorno in Francia, attraverso l’amicizia di un padre domenicano, maturò la sua crisi religiosa, che non la portò tuttavia a rinunciare alla sua fede originaria, l’ebraismo, e ad approdare al cristianesimo. Per questo André Gide l’ha definita “la santa degli esclusi”: nonostante la sua profonda sintonia con la figura di Cristo e con il simbolo della croce, il suo cristianesimo è stato giudicato inaccettabile perché troppo personale. Significativo anche il giudizio che su di lei ha dato una sua grande ammiratrice quale fu Elsa Morante: “intelligenza della santità”, da intendersi come intelligenza del mondo che può venire solo da una santità risolta soprattutto in capacità di capire. Le persecuzioni naziste contro gli ebrei francesi la spinsero poi ad emigrare con la famiglia negli Stati Uniti. Si trasferì infine in Inghilterra, dove militò con altri esuli nella Resistenza francese, guidata dal generale De Gaulle. Ma a causa della tubercolosi, che l’aveva già colpita in precedenza, si spense nell’estate del 1943, a soli 34 anni.
La riflessione sopra riportata testimonia, a vari livelli, la profondità del suo pensiero: pur nella sua brevità, tocca infatti molti dei temi intellettuali, morali e religiosi di cui è sostanziata la sua opera. E ci consegna, tra le righe, quel messaggio che la Weil cercò di trasmettere anche con l’esemplarità della sua vicenda biografica, impegnandosi, fino all’ultimo, a lottare ovunque, con i disoccupati e gli operai in Francia o con i repubblicani in Spagna, nei quartieri poveri a New York o nella Londra bombardata della Seconda guerra mondiale: l’infelice è chi non vede nessuna luce nella sua vita, nessun senso nella sofferenza, nessuno scopo nell’affaccendarsi dell’umanità.
“Se si cerca con vera attenzione la soluzione d’un problema di geometria, e se, dopo un’ora, non si sia fatto alcun progresso, tuttavia si è avanzati durante ogni minuto di quest’ora in un’altra dimensione più misteriosa.
“Se si cerca con vera attenzione la soluzione d’un problema di geometria, e se, dopo un’ora, non si sia fatto alcun progresso, tuttavia si è avanzati durante ogni minuto di quest’ora in un’altra dimensione più misteriosa. Senza sentirlo né saperlo, questo sforzo sterile in apparenza e senza frutti ha illuminato di più l’anima. Il frutto si ritroverà un giorno più tardi, nella preghiera. Si ritroverà certamente per sovrappiù in un dominio qualsiasi dell’intelligenza, forse del tutto estraneo alla matematica… Un racconto eschimese spiega così l’origine della luce: il corvo, che nella notte eterna non poteva trovare nutrimento, desiderò la luce e la terra si rischiarò. Se vi è un vero desiderio, se l’oggetto del desiderio è veramente la luce, il desiderio della luce produrrà la luce”.
Quale migliore introduzione al 2015, dichiarato Anno internazionale della luce dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e inaugurato ufficialmente lo scorso 19 gennaio a Parigi presso la sede dell’Unesco?
A regalarci questo frammento di saggezza, tratto dal saggio Attesa di Dio, è Simone Weil, scrittrice francese e filosofa tra le più interessanti del Novecento. Più che per il suo pensiero – non organizzato in un vero e proprio sistema filosofico, ma non per questo privo di coesione e coerenza – la Weil è ricordata per il suo carattere combattivo e per alcuni eventi della sua vita, strettamente legati alle vicende politiche degli anni compresi fra le due guerre mondiali. Dopo gli studi all’École Normale Supérieure, abbandonò l’insegnamento di filosofia nei licei per vivere personalmente la dura esperienza del lavoro manuale come operaia negli stabilimenti Renault e per partecipare poi alla Guerra civile di Spagna schierandosi contro il generale Franco. Al ritorno in Francia, attraverso l’amicizia di un padre domenicano, maturò la sua crisi religiosa, che non la portò tuttavia a rinunciare alla sua fede originaria, l’ebraismo, e ad approdare al cristianesimo. Per questo André Gide l’ha definita “la santa degli esclusi”: nonostante la sua profonda sintonia con la figura di Cristo e con il simbolo della croce, il suo cristianesimo è stato giudicato inaccettabile perché troppo personale. Significativo anche il giudizio che su di lei ha dato una sua grande ammiratrice quale fu Elsa Morante: “intelligenza della santità”, da intendersi come intelligenza del mondo che può venire solo da una santità risolta soprattutto in capacità di capire. Le persecuzioni naziste contro gli ebrei francesi la spinsero poi ad emigrare con la famiglia negli Stati Uniti. Si trasferì infine in Inghilterra, dove militò con altri esuli nella Resistenza francese, guidata dal generale De Gaulle. Ma a causa della tubercolosi, che l’aveva già colpita in precedenza, si spense nell’estate del 1943, a soli 34 anni.
La riflessione sopra riportata testimonia, a vari livelli, la profondità del suo pensiero: pur nella sua brevità, tocca infatti molti dei temi intellettuali, morali e religiosi di cui è sostanziata la sua opera. E ci consegna, tra le righe, quel messaggio che la Weil cercò di trasmettere anche con l’esemplarità della sua vicenda biografica, impegnandosi, fino all’ultimo, a lottare ovunque, con i disoccupati e gli operai in Francia o con i repubblicani in Spagna, nei quartieri poveri a New York o nella Londra bombardata della Seconda guerra mondiale: l’infelice è chi non vede nessuna luce nella sua vita, nessun senso nella sofferenza, nessuno scopo nell’affaccendarsi dell’umanità.
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