Natale di guerra
20 Dicembre 2022
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Natale di guerra

È difficile ogni anno sottrarsi alla tentazione di scrivere un articolo sul Natale. Nelle sue innumerevoli varianti, rimane in fondo la festività, religiosa e laica, destinata a influenzare di più i nostri comportamenti sociali. Ma altrettanto difficile è sottrarsi al rischio di scivolare in qualcosa che risulti smaccatamente edificante e sdolcinato. Soprattutto considerando che la vigilia di Natale finirà per coincidere quest’anno con il ricorrere dei primi dieci mesi della guerra in Ucraina, iniziata con i raid russi all’alba dello scorso 24 febbraio. Bastino allora qualche spunto di riflessione e qualche suggerimento di lettura.

Il titolo di questo breve articolo si ispira a quello di una poesia di Ada Negri, dalla raccolta Fons amoris. Uscita per Mondadori nel 1946, un anno dopo la sua morte, questa silloge fu composta in piena Seconda guerra mondiale, quando sola e sofferente la poetessa lombarda tendeva a rifugiarsi nella religione e nella preghiera. “Sola fra solitudini di campi/ bianchi di neve” è immaginata anche “la capanna santa:/ macchie di sangue sulla soglia stanno”. E nel silenzio in cui “né campana rintocca, né parola/ vibra nell’aria, né si scrolla ramo,/ né passo entro la neve si sprofonda:/ piange il Bambino”.

Un mondo gelato, come si può immaginare quello che in questi giorni fa da sfondo al conflitto russo-ucraino, riassume gli orrori di tutte le guerre anche in una brevissima e inquietante pagina, intitolata Natale, dai Racconti del drammaturgo e narratore svizzero Friedrich Dürrenmatt (Feltrinelli, 1988). “[…] La neve era come vetro. Faceva freddo. L’aria era morta. Non un movimento, non un suono. L’orizzonte era circolare. Nero il cielo. Morte le stelle. Sepolta ieri la luna. Non sorto il sole. Gridai. Non mi udii. Gridai ancora. Vidi un corpo steso sulla neve. Era Gesù Bambino. […]”.

Agli stessi anni di Fons amoris riporta invece Un Natale del 1945, un intenso racconto di Mario Rigoni Stern (pubblicato in Aspettando l’alba, Einaudi, 2004: dello stesso scrittore si segnala anche Quel Natale nella steppa, Interlinea, 2006). Il protagonista, che condivide molti tratti con l’autore, è un ex militare in Albania, poi partigiano sulle montagne, deportato dai tedeschi all’indomani dell’armistizio del 1943 e rientrato in Italia dopo un lungo giro in Europa orientale. La solitudine in cui vive, in un ricovero di fortuna in montagna, viene interrotta dalla visita, la sera di Natale, del suo ex maestro delle elementari, ritrovato anni dopo con la divisa fascista. Ma la richiesta di scuse del maestro per quello che gli ha fatto, accompagnata dalla proposta di dividere un panettone e una bottiglia di spumante, non può essere accettata. “Guardava il fuoco ed era come rivivere tutto. Le donne e i ragazzi uccisi dai soldati tedeschi, i compagni morti di freddo sulle montagne dell’Albania, gli ebrei di Leopoli. Il Lager”.

E per concludere, dal sesto libro poetico di Eugenio Montale, Quaderno di quattro anni (Mondadori 1977), un’altra manciata di versi particolarmente adatti a questi giorni, nonostante una punta di ironia: “Si risolve ben poco/ con la mitraglia e col nerbo./ L’ipotesi che tutto sia un bisticcio,/ uno scambio di sillabe è la più attendibile./ Non per nulla in principio era il Verbo”.☺

 

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