Maschio e femmina
4 Settembre 2015 Share

Maschio e femmina

Il termine gender ha rappresentato il tormentone di inizio estate, generando più di un equivoco e  una valanga di interpretazioni. Tutto scaturito  dal  decreto “La buona scuola”. Proteste, manifestazioni di piazza ed ampia risonanza sugli organi di stampa hanno coniato l’“ideologia gender”.

Quando il significato originario di una parola si perde per diventare bandiera in una vicenda collettiva, è possibile incorrere in valutazioni inesatte. Occorre ricollocare il termine entro la sua storia. L’etimo di gender risale al Medio Inglese (sec. XIV) e deriva dal latino genus (stirpe, famiglia, nazione). Il suo significato è stato per secoli quello di “tipo, specie” e “classe di nomi”. Nell’odierno vocabolario anglosassone il primo significato per gender è quello di sostantivo collettivo ed indica la condizione, maschile o femminile, dell’essere umano; il secondo significato, relativo all’ ambito linguistico-grammaticale, è quello di “genere” dei sostantivi (maschile, femminile e neutro).

Mi chiedo come da qui si possa essere arrivati a strumentalizzare il termine agitando il timore che, in ogni ordine di scuola dello stato italiano, potesse essere introdotta un’educazione alla sessualità secondo la teoria dell’indifferentismo, addirittura capace di annullare anche l’influenza della biologia sullo sviluppo corretto del bambino/a.

Mi sorge allora il dubbio che l’“ideologia gender” sia solo un artifizio polemico per cancellare i traguardi raggiunti dalla moderna psicologia. Con gender si indicherebbero le differenze culturali attese, dalla società, per uomini e donne. Se, ad esempio, in passato le persone tendevano ad avere idee molto ben definite su cosa fosse appropriato ad ognuno dei due sessi, e chiunque si fosse comportato diversamente veniva considerato deviante, oggi si accettano molto di più le diversità ed il genere inteso come un continuum e non distinzione netta di due ambiti: un papà che cambia il pannolino al figlio non stupisce più, anzi diviene pretesto mediatico ad indicare collaborazione in famiglia; lo stesso dicasi per l’uomo che lava i piatti, ecc.

I sociologi distinguono tra i termini “sesso” e “genere”: il primo si riferisce all’identità biologica di essere maschio o femmina, mentre il secondo riguarda le aspettative ed i comportamenti appresi socialmente ed associati ad ognuno dei due sessi. Si discute ancora su quanto l’identità di genere di una persona sia dovuta alla sua costituzione biologica e quanto sia dovuto al contesto sociale ed al modo in cui si viene educati.

E la scuola? Perché trascinarla in questa polemica? Il terrore scatenato dagli oppositori dell’ideologia gender, secondo i quali l’educazione alla vita affettiva e sessuale dei ragazzi sarebbe manipolata e deviata, è immotivato ed anche fuorviante. L’ istituzione scolastica, che tra le sue priorità ha il compito di contribuire alla formazione di una coscienza civile, rivendica il diritto, secondo la legge approvata di recente, di prevenire la violenza di genere e di tutte le discriminazioni (comma 16); nel fare ciò non si sostituisce alla psicologia, bensì si impegna, anche con i pochi mezzi a disposizione, a contrastare nelle giovani generazioni il fenomeno crescente della violenza contro le donne, contro individui deboli ed indifesi, ed a superare ogni forma di discriminazione.

Che tipo di educatori saremmo se non proponessimo il rispetto dell’altro come individuo con una propria ed inviolabile dignità? Ci suggerisce Duccio Demetrio, filosofo dell’educazione presso l’Università di Milano-Bicocca, che l’educazione alla democrazia, alle sue turbolenze, è il migliore dei mondi possibili … Chi ha paura, chi teme la diversità, chi si fa trascinare da idee antidemocratiche siffatte è chiaro che continuerà a sognare di riprodursi all’infinito nei figli o nei propri allievi. Le  famiglie dovrebbero inoltre ricordare che tutte le iniziative che la scuola mette in campo rientrano in un patto di corresponsabilità che i genitori sottoscrivono con l’istituzione, patto al quale possono aderire o tentare di migliorare.

Non diamo solo alla scuola – cui non neghiamo colpe – il compito e la responsabilità dell’educazione. Se è educazione tutto ciò che ci trasforma, ci migliora, ci fa stare meglio, la scuola non ne è l’unica depositaria, né può conseguire il suo obiettivo in completa solitudine. Certamente non deve dimenticare che l’educazione è accogliere la lontananza, la distanza, la differenza di ciascuno dall’altro: senza più alcuna nostalgia per l’inverosimile fondersi delle cose e degli animi fra loro.☺

 

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