rastrellatori
26 Ottobre 2010 Share

rastrellatori

 

Racket è una parola che immediatamente crea inquietudine. Abituati come siamo al linguaggio della cronaca, attraverso i giornali e i media, il vocabolo – anche se angofono – risulta familiare e facilmente riconducibile all’ambito della criminalità organizzata.

Eppure il termine inglese traduce qualcosa di molto innocuo, quali il chiasso o la baldoria, o definisce semplicemente un oggetto: la racchetta da tennis!

La radice etimologica rack, anch’essa sostantivo, ha genericamente il significato di struttura di sostegno quale può essere la rastrelliera di una stalla, da cui gli animali prendono il fieno; il telaio che regge le stoviglie o le bottiglie in cucina; la rete portapacchi su un mezzo di trasporto ed anche la cremagliera di un sistema meccanico.

È nel suo significato meno aulico che racket diventa sinonimo di attività illecita e nociva, e tale significato, com’è noto, ha di gran lunga oscurato gli altri.

Denominiamo infatti, genericamente, racket reati diversi che vanno dalla minaccia all’estorsione, fino a giungere a vere e proprie azioni delittuose.

Quando al gestore di un negozio viene chiesto di pagare periodicamente una determinata somma di denaro in cambio della “protezione” da eventuali incidenti o attentati nei confronti del locale o addirittura della sua persona, l’azione va qualificata come racket, attività disonesta – secondo il dizionario inglese.

Ad azionare questo “ingranag- gio” – per riprendere l’etimo rack – sono le organizzazioni criminali che manifestano esclusivamente la loro sete di potere, controllando i settori di attività ed imponendo le proprie distorte “regole” per potersi arricchire e soprattutto dominare il mercato. Attività illegali non affidate a singoli delinquenti: l’aspetto più inquietante è il carattere di struttura organizzata ed efficiente che la macchina del racket ha ormai assunto, un’intelaiatura cui difficilmente si riesce a sfuggire e che estende sempre più il proprio dominio.

La richiesta di denaro che le organizzazioni del racket impongono è comunemente denominata “pizzo”. Numerosi ed anche impensabili sono i campi in cui questo malcostume continua a manifestarsi: “alcune voci, diciamo così, vox populi, ma abbastanza insistenti, tanto da essere considerate come tipico rumore di sottofondo … Costruttori, geometri, capi cantieri e operai edili, quando sono in camera caritatis raccontano che la camorra esige il pizzo su ogni appartamento in costruzione”: questo esempio, riferito dallo scrittore Antonio Pascale, è uno dei tanti; lo stesso prosegue rivelando anche quale sia la violenza che accompagna questa pratica: “un conoscente, di professione geometra, mi ha raccontato che stava lavorando alla ristrutturazione del suo appartamento, a casa sua, con gli operai in piena attività, quando ecco arrivare un signore con un giubbetto di pelle. Il signore entra e chiede: chi comanda qui? Si fa avanti il mio amico: sono io, perché? In risposta il mio amico si trova puntata una pistola nella pancia: ti devi mettere d’accordo con noi. Mettersi d’accordo significa, appunto, andare dal boss e concordare un prezzo che in questo caso sarebbe stato più basso, visto che l’appartamento non era destinato alla vendita ma all’uso personale”.

Fornire risposte convincenti a tali situazioni non è affatto facile; lanciarsi in giudizi avventati e moralistici non contribuisce a risolvere il problema. Come testimonia ancora Pascale “la pistola nella pancia abbassa il nostro coraggio… Non so infatti come reagirei io…. La seconda riposta: non denuncio perché non vale la pena denunciare e subire delle ovvie ritorsioni… La terza: è inutile denunciare, è una battaglia persa, tanto sono tutti corrotti, anzi, tanto vale evitare qualsiasi intimidazione e mettersi d’accordo”.

A tentare di ostacolare la macchina del racket, d’altro canto, sono sorte associazioni che credono in un’economia libera dalle ingerenze criminali, rispettosa della legge e dei diritti di chi lavora onestamente. Non sono numerose ma rappresentano un segnale incoraggiante di come sia possibile uscire dall’ombra della illegalità per svolgere la propria attività alla luce del sole. Ma la strada è ancora lunga.

È necessario cominciare a capire che la nostra realtà, anche locale, si è modificata; fenomeni come il racket non sono localizzati solamente nelle aree tristemente note in cui le “mafie” sono proliferate. Come ci insegnano le numerose indagini ed i resoconti sia giornalistici che letterari, la criminalità ha ormai varcato i confini regionali.

Prendere consapevolezza di tali modificazioni, vigilare perché non dilaghi alcuna pratica illecita è ciò che spetta a chi crede nel valore della legalità. A noi. ☺

dario.carlone@tiscali.it

 

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