La moneta come mezzo di scambio non ha solamente segnato una più pratica alternativa al baratto ma ha significato molto di più. Il suo “potere magico” si esprime attraverso la facilitazione degli scambi commerciali e finanziari che, nel moltiplicare i “passaggi di mano”, producono un effetto altrettanto moltiplicativo sulla produzione economica di una nazione (PIL).
Quanto detto si può cogliere da un semplice e brevissimo esempio. Immaginiamo un Paese in cui vi siano soltanto un artigiano, un contadino e un muratore e dove l’artigiano possiede inizialmente tutta la moneta in circolazione: una sola banconota da 10 euro! L’artigiano spende i 10 euro per acquistare del cibo dal contadino, il quale a sua volta li spende per far costruire una stalla dal muratore. Infine il muratore spende i 10 euro per acquistare gli attrezzi da lavoro prodotti dall'artigiano, cosicché il ciclo degli scambi si chiude.
Notiamo che, in questa semplice economia, sono bastati 10 euro di moneta per ottenere una produzione complessiva di 30 euro (PIL = cibo acquistato dall'artigiano + stalla acquistata dal contadino + attrezzi acquistati dal muratore). E ciò ci fa intuire che quanta più moneta è in circolazione (si pensi nel caso di una banconota da 200 euro) e quanto più questa circoli velocemente (con un numero di scambi superiore) tanto più avremmo migliori risultati economici in termini di produzione interna.
Ma una controindicazione a questo ciclo virtuoso sta nel fatto che, in un’economia crescente, l’aumento della spesa produce spontaneamente anche un aumento dei prezzi (inflazione endogena) che poi si ripercuote negativamente spiazzando in parte la crescita stessa.
Con tutte le sue diverse sfumature, peculiarità e controindicazioni, la crescita economica rimane comunque un obiettivo principale di ogni nazione.
A questo punto, appare opportuno rispolverare il ruolo dello Stato e delle Banche Centrali. Se il quadro di un’economia si potesse rappresentare davvero con un dipinto artistico, lo Stato e le Banche Centrali potrebbero avere un duplice ruolo: quello del pittore che attivamente contribuisce a dipingere o quello del solo corniciaio che fissa la cornice, e l’adatta, a seconda di come i vari artisti spennellano e colorano. Insomma, Stato e Banche Centrali possono contribuire a dipingere l’economia o solo ad incorniciarla definendo quell’insieme di regole entro cui gli artisti (imprenditori e famiglie) possono esprimere le loro potenzialità di sviluppo.
Quest’ultimo approccio, quello del corniciaio monetarista, è proprio l’approccio più in voga nelle attuali economie mondiali. La cornice è rappresentata dai tassi di interesse con cui le Banche Centrali modulano la base monetaria in circolazione e quindi l’indebitamento di imprese e famiglie: un alto livello dei tassi di interesse significa meno indebitamento, meno moneta in circolazione, meno spesa, quindi meno inflazione. Proprio questa è l’attuale ricetta delle Banche Centrali che puntano a controllare il livello generale dei prezzi affinché questi, insieme ai tassi di interesse, non aumentino troppo ripercuotendosi poi negativamente sull’economia stessa.
Ma non sempre i tassi di interesse riescono ad imbrigliare appieno l’inflazione. Questa, infatti, può dipendere sia da fattori endogeni legati ad una vivace domanda interna (e non sembra questo l’attuale caso mondiale ed europeo) sia da fattori esogeni come le pressioni sui prezzi delle scarse risorse energetiche che si propagano a loro volta a livello generale (inflazione da costi).
E se i prezzi crescono in un’economia che non cresce, si deve forse iniziare a parlare di stagflazione? Ed, in una siffatta ipotesi, la canonica politica monetaria degli alti tassi non rischia di trasformarsi in una diabolica strategia monetaria? Forse questo è proprio quello che la Banca Centrale americana (Fed) ha iniziato a paventare e a correggere. Con i recentissimi tagli dei tassi americani, questi sono stati riportati ad un livello più consono con l’indebitamento corrente (che iniziava pure a vacillare!) e soprattutto più idoneo a sostenere una ormai improbabile crescita economica o, al peggio, a contenere i danni di una temibile recessione Usa. In Europa invece si stanno registrando forti fiammate inflazionistiche che complicano notevolmente la vita della BCE: da un lato il desiderio di rialzare ulteriormente i tassi Ue, dall’altro il non poterlo fare per non discostarsi troppo dai tassi americani attualmente in discesa. Se la Fed sembra aver abbandonato l’obiettivo prioritario dell’inflazione, allo stato attuale la BCE sembra ancora integerrima nel voler adottare la solita ricetta.
Non importa che l’economia non cresca anche risentendo del declino americano, non importa che l’incertezza di una crisi finanziaria globale già sospinge spontaneamente i tassi verso l’alto, non importa l’incidenza di alti tassi sulle prospettive di investimento e sull’indebitamento corrente, non importa che l’incidenza di un’inflazione esogena da costi possa far degenerare il sistema in una terribile stagflazione.
Come se non bastasse, all’incertezza economica e finanziaria in atto, si aggiunge ora anche un egoistico scollamento non cooperativo tra le due maggiori Autorità Monetarie del mondo.☺
info@iannielloconsult.com
La moneta come mezzo di scambio non ha solamente segnato una più pratica alternativa al baratto ma ha significato molto di più. Il suo “potere magico” si esprime attraverso la facilitazione degli scambi commerciali e finanziari che, nel moltiplicare i “passaggi di mano”, producono un effetto altrettanto moltiplicativo sulla produzione economica di una nazione (PIL).
Quanto detto si può cogliere da un semplice e brevissimo esempio. Immaginiamo un Paese in cui vi siano soltanto un artigiano, un contadino e un muratore e dove l’artigiano possiede inizialmente tutta la moneta in circolazione: una sola banconota da 10 euro! L’artigiano spende i 10 euro per acquistare del cibo dal contadino, il quale a sua volta li spende per far costruire una stalla dal muratore. Infine il muratore spende i 10 euro per acquistare gli attrezzi da lavoro prodotti dall'artigiano, cosicché il ciclo degli scambi si chiude.
Notiamo che, in questa semplice economia, sono bastati 10 euro di moneta per ottenere una produzione complessiva di 30 euro (PIL = cibo acquistato dall'artigiano + stalla acquistata dal contadino + attrezzi acquistati dal muratore). E ciò ci fa intuire che quanta più moneta è in circolazione (si pensi nel caso di una banconota da 200 euro) e quanto più questa circoli velocemente (con un numero di scambi superiore) tanto più avremmo migliori risultati economici in termini di produzione interna.
Ma una controindicazione a questo ciclo virtuoso sta nel fatto che, in un’economia crescente, l’aumento della spesa produce spontaneamente anche un aumento dei prezzi (inflazione endogena) che poi si ripercuote negativamente spiazzando in parte la crescita stessa.
Con tutte le sue diverse sfumature, peculiarità e controindicazioni, la crescita economica rimane comunque un obiettivo principale di ogni nazione.
A questo punto, appare opportuno rispolverare il ruolo dello Stato e delle Banche Centrali. Se il quadro di un’economia si potesse rappresentare davvero con un dipinto artistico, lo Stato e le Banche Centrali potrebbero avere un duplice ruolo: quello del pittore che attivamente contribuisce a dipingere o quello del solo corniciaio che fissa la cornice, e l’adatta, a seconda di come i vari artisti spennellano e colorano. Insomma, Stato e Banche Centrali possono contribuire a dipingere l’economia o solo ad incorniciarla definendo quell’insieme di regole entro cui gli artisti (imprenditori e famiglie) possono esprimere le loro potenzialità di sviluppo.
Quest’ultimo approccio, quello del corniciaio monetarista, è proprio l’approccio più in voga nelle attuali economie mondiali. La cornice è rappresentata dai tassi di interesse con cui le Banche Centrali modulano la base monetaria in circolazione e quindi l’indebitamento di imprese e famiglie: un alto livello dei tassi di interesse significa meno indebitamento, meno moneta in circolazione, meno spesa, quindi meno inflazione. Proprio questa è l’attuale ricetta delle Banche Centrali che puntano a controllare il livello generale dei prezzi affinché questi, insieme ai tassi di interesse, non aumentino troppo ripercuotendosi poi negativamente sull’economia stessa.
Ma non sempre i tassi di interesse riescono ad imbrigliare appieno l’inflazione. Questa, infatti, può dipendere sia da fattori endogeni legati ad una vivace domanda interna (e non sembra questo l’attuale caso mondiale ed europeo) sia da fattori esogeni come le pressioni sui prezzi delle scarse risorse energetiche che si propagano a loro volta a livello generale (inflazione da costi).
E se i prezzi crescono in un’economia che non cresce, si deve forse iniziare a parlare di stagflazione? Ed, in una siffatta ipotesi, la canonica politica monetaria degli alti tassi non rischia di trasformarsi in una diabolica strategia monetaria? Forse questo è proprio quello che la Banca Centrale americana (Fed) ha iniziato a paventare e a correggere. Con i recentissimi tagli dei tassi americani, questi sono stati riportati ad un livello più consono con l’indebitamento corrente (che iniziava pure a vacillare!) e soprattutto più idoneo a sostenere una ormai improbabile crescita economica o, al peggio, a contenere i danni di una temibile recessione Usa. In Europa invece si stanno registrando forti fiammate inflazionistiche che complicano notevolmente la vita della BCE: da un lato il desiderio di rialzare ulteriormente i tassi Ue, dall’altro il non poterlo fare per non discostarsi troppo dai tassi americani attualmente in discesa. Se la Fed sembra aver abbandonato l’obiettivo prioritario dell’inflazione, allo stato attuale la BCE sembra ancora integerrima nel voler adottare la solita ricetta.
Non importa che l’economia non cresca anche risentendo del declino americano, non importa che l’incertezza di una crisi finanziaria globale già sospinge spontaneamente i tassi verso l’alto, non importa l’incidenza di alti tassi sulle prospettive di investimento e sull’indebitamento corrente, non importa che l’incidenza di un’inflazione esogena da costi possa far degenerare il sistema in una terribile stagflazione.
Come se non bastasse, all’incertezza economica e finanziaria in atto, si aggiunge ora anche un egoistico scollamento non cooperativo tra le due maggiori Autorità Monetarie del mondo.☺
La moneta come mezzo di scambio non ha solamente segnato una più pratica alternativa al baratto ma ha significato molto di più. Il suo “potere magico” si esprime attraverso la facilitazione degli scambi commerciali e finanziari che, nel moltiplicare i “passaggi di mano”, producono un effetto altrettanto moltiplicativo sulla produzione economica di una nazione (PIL).
Quanto detto si può cogliere da un semplice e brevissimo esempio. Immaginiamo un Paese in cui vi siano soltanto un artigiano, un contadino e un muratore e dove l’artigiano possiede inizialmente tutta la moneta in circolazione: una sola banconota da 10 euro! L’artigiano spende i 10 euro per acquistare del cibo dal contadino, il quale a sua volta li spende per far costruire una stalla dal muratore. Infine il muratore spende i 10 euro per acquistare gli attrezzi da lavoro prodotti dall'artigiano, cosicché il ciclo degli scambi si chiude.
Notiamo che, in questa semplice economia, sono bastati 10 euro di moneta per ottenere una produzione complessiva di 30 euro (PIL = cibo acquistato dall'artigiano + stalla acquistata dal contadino + attrezzi acquistati dal muratore). E ciò ci fa intuire che quanta più moneta è in circolazione (si pensi nel caso di una banconota da 200 euro) e quanto più questa circoli velocemente (con un numero di scambi superiore) tanto più avremmo migliori risultati economici in termini di produzione interna.
Ma una controindicazione a questo ciclo virtuoso sta nel fatto che, in un’economia crescente, l’aumento della spesa produce spontaneamente anche un aumento dei prezzi (inflazione endogena) che poi si ripercuote negativamente spiazzando in parte la crescita stessa.
Con tutte le sue diverse sfumature, peculiarità e controindicazioni, la crescita economica rimane comunque un obiettivo principale di ogni nazione.
A questo punto, appare opportuno rispolverare il ruolo dello Stato e delle Banche Centrali. Se il quadro di un’economia si potesse rappresentare davvero con un dipinto artistico, lo Stato e le Banche Centrali potrebbero avere un duplice ruolo: quello del pittore che attivamente contribuisce a dipingere o quello del solo corniciaio che fissa la cornice, e l’adatta, a seconda di come i vari artisti spennellano e colorano. Insomma, Stato e Banche Centrali possono contribuire a dipingere l’economia o solo ad incorniciarla definendo quell’insieme di regole entro cui gli artisti (imprenditori e famiglie) possono esprimere le loro potenzialità di sviluppo.
Quest’ultimo approccio, quello del corniciaio monetarista, è proprio l’approccio più in voga nelle attuali economie mondiali. La cornice è rappresentata dai tassi di interesse con cui le Banche Centrali modulano la base monetaria in circolazione e quindi l’indebitamento di imprese e famiglie: un alto livello dei tassi di interesse significa meno indebitamento, meno moneta in circolazione, meno spesa, quindi meno inflazione. Proprio questa è l’attuale ricetta delle Banche Centrali che puntano a controllare il livello generale dei prezzi affinché questi, insieme ai tassi di interesse, non aumentino troppo ripercuotendosi poi negativamente sull’economia stessa.
Ma non sempre i tassi di interesse riescono ad imbrigliare appieno l’inflazione. Questa, infatti, può dipendere sia da fattori endogeni legati ad una vivace domanda interna (e non sembra questo l’attuale caso mondiale ed europeo) sia da fattori esogeni come le pressioni sui prezzi delle scarse risorse energetiche che si propagano a loro volta a livello generale (inflazione da costi).
E se i prezzi crescono in un’economia che non cresce, si deve forse iniziare a parlare di stagflazione? Ed, in una siffatta ipotesi, la canonica politica monetaria degli alti tassi non rischia di trasformarsi in una diabolica strategia monetaria? Forse questo è proprio quello che la Banca Centrale americana (Fed) ha iniziato a paventare e a correggere. Con i recentissimi tagli dei tassi americani, questi sono stati riportati ad un livello più consono con l’indebitamento corrente (che iniziava pure a vacillare!) e soprattutto più idoneo a sostenere una ormai improbabile crescita economica o, al peggio, a contenere i danni di una temibile recessione Usa. In Europa invece si stanno registrando forti fiammate inflazionistiche che complicano notevolmente la vita della BCE: da un lato il desiderio di rialzare ulteriormente i tassi Ue, dall’altro il non poterlo fare per non discostarsi troppo dai tassi americani attualmente in discesa. Se la Fed sembra aver abbandonato l’obiettivo prioritario dell’inflazione, allo stato attuale la BCE sembra ancora integerrima nel voler adottare la solita ricetta.
Non importa che l’economia non cresca anche risentendo del declino americano, non importa che l’incertezza di una crisi finanziaria globale già sospinge spontaneamente i tassi verso l’alto, non importa l’incidenza di alti tassi sulle prospettive di investimento e sull’indebitamento corrente, non importa che l’incidenza di un’inflazione esogena da costi possa far degenerare il sistema in una terribile stagflazione.
Come se non bastasse, all’incertezza economica e finanziaria in atto, si aggiunge ora anche un egoistico scollamento non cooperativo tra le due maggiori Autorità Monetarie del mondo.☺
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