Narcisi
7 Giugno 2014 Share

Narcisi

Il corrispettivo di Narciso ha ora un nome inglese: si chiama selfie [pronuncia: selfi].

Conosciamo tutti il mito del giovinetto, invano inseguito dalle ninfe, perdutosi nella contemplazione della sua immagine. Al posto dello specchio d’acqua il display del cellulare.

La grande diffusione di telefoni superaccessoriati ha superato quello che una volta, nella fotografia, si chiamava “autoscatto” e si è riavvicinato all’originario mito: lo schermo fissa e immortala quell’ immagine che nel mito svaniva per l’abbraccio di Narciso.

Selfie, neologismo anglofono, ha origine dal sostantivo self che indica la singola persona, l’individuo, il singolo; il termine, raramente utilizzato in assoluto, è ampiamente usato come suffisso con funzione riflessiva (“me stesso”, “se stesso”) oppure prefisso, in  locuzioni note anche nell’italiano quali “self-service”: in pratica corrispettivo dell’italiano “auto” in vocaboli come, ad esempio, “autocontrollo”, in inglese appunto “self-control”!

Ormai il selfie è “moda”. Non c’è  situazione, evento oppure semplicemente persona o gruppo che non vengano fissati all’istante. Questo “autoscatto”, eseguito con uno smartphone, non è però confinato nel cassetto, nascosto all’occhio indiscreto di estranei. È, invece,  proposto  o addirittura imposto all’ attenzione degli altri. Rappresentazione più curata e attenta, condivisione dell’immagine: sono questi gli elementi innovativi di questa tendenza.

Metafora ambigua il selfie, di cui sono piene le pagine web, le serate e le chiacchierate tra amici, i momenti  pubblici o privati della vita di ognuno: “quella volta c’ero anch’io – sembrano dire – e mi sento parte di una storia che, come me, accomuna tanti altri!”.

In un’epoca smarrita e disgregata, esso sembra incarnare un esasperato individualismo, un ripiegamento su se stessi, amaramente consapevoli di mancanza di legami. Contare su di sé perché non si può contare sugli altri: disfattismo sociale, crisi della contemporaneità, una falla nella gigantesca macchina della non “comunicazione” odierna?

Quale il senso di tale fenomeno? In che modo leggerlo anche all’indomani di consultazioni elettorali che, al di là del clamore e della esagerazione della propaganda, dicono la sfiducia e lo scontento, mal intercettati come siamo, anzi trascurati e abbandonati a noi stessi, come un autoscatto dimenticato nel cassetto della memoria, di cui si è persa la chiave.☺

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