non nel mio giardino
30 Aprile 2011 Share

non nel mio giardino

 

Sindrome NIMBY: è questo il nome specifico, di matrice anglosassone, che sembra caratterizzare la risposta dell’opinione pubblica nei confronti degli eventi drammatici che si stanno verificando in Italia, come nel resto del pianeta.

NIMBY è un acronimo, una sigla: l’espressione completa è Not In My Back Yard [pronuncia: not in mai bach iard], una frase che in italiano viene tradotta “Non nel mio cortile (o giardino)”. Il vocabolo “cortile” è espresso in inglese con due termini, Back Yard, attinenti all’architettura tipica delle abitazioni inglesi.

Se Yard traduce “cortile” e l’avverbio Back “dietro” o “retro”, l’intera locuzione si riferisce allo spazio retrostante la casa, quello di servizio, in cui qualcosa viene pur sempre ospitata, nascosta infatti agli occhi indiscreti dei passanti, ai quali, invece, è riservata la vista della parte frontale dell’ edificio.

La Sindrome NIMBY, sorta come protesta contro la progettazione di grandi opere pubbliche di notevole impatto ambientale, o di enormi insediamenti con possibili conseguenze negative per le aree circostanti, sta ad indicare anche l’opposizione all’installazione di impianti per produrre energia o per smaltire i rifiuti. Ma se certamente alcune di queste proteste riscuotono consenso ed approvazione unanimi, non sempre la risposta NIMBY  ha una connotazione positiva.

“Non nel mio giardino” è un’affermazione che risuona perentoria: chi la utilizza vuole quindi significare che non è disposto ad alcun ripensamento, anche se non si oppone a che altri invece si mostrino di parere contrario. È scelta apprezzabile, di fronte allo spettro della fuoriuscita di materiali radioattivi dalla centrale nucleare di Fukushima in Giappone, che ha indotto all’approvazione, da parte del nostro Consiglio regionale, di una risoluzione contraria all’installazione di centrali nucleari in Molise.

Ma tale atteggiamento, si badi bene, non può essere adottato in qualsiasi circostanza, né in maniera acritica: NIMBY è ciò che purtroppo si sente dire oggi, in Italia, anche a proposito dei profughi che stanno raggiungendo il nostro territorio, provenienti dalle regioni del Nord Africa e non solo, e sottoposti a pericoli non indifferenti nel corso delle traversate in mare! NIMBY: perché, si dice, “siamo già in pessime condizioni noi italiani, non siamo in grado di ospitare chi viene da un altro paese”.

Possiamo porre sullo stesso piano la costruzione di una strada o di un termovalorizzatore e la vita di centinaia di uomini e donne cui è negato il diritto di essere “persona” nei paesi sull’altra sponda del Mediterraneo, dai quali noi europei abbiamo da sempre tratto vantaggi e ricchezze? Possiamo considerare inevitabile la morte in mare di bambini indifesi, morte che in nessun modo interroga il nostro essere “cittadini dell’umanità”? Rispondere a queste domande con “Non nel mio giardino” significa curare esclusivamente il proprio egoistico interesse, coltivare un atteggiamento di chiusura, impegnarsi per creare divisioni e conflitti difficilmente sanabili.

NIMBY non è la soluzione per ogni problema che gravita sulla nostra contemporaneità.

Se ci preoccupa la pericolosità di un impianto nucleare, anche se situato all’estremo oriente della Terra, vuol dire che il pianeta è davvero un “villaggio globale” in cui tutto è incredibilmente vicino e presente. Di conseguenza anche le persone che abitano questo “villaggio” non sono altro che nostri simili, con gli stessi nostri diritti, cui non possiamo offrire come risposta “Non nel mio giardino”. ☺

dario.carlone@tiscali.it

 

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