Oltre le disabilità
2 Gennaio 2014 Share

Oltre le disabilità

L’imbarbarimento culturale in cui siamo precipitati produce veri e propri mostri dialettici. Non sappiamo più neanche offenderci decentemente l’un l’altro! Nel marzo dello scorso anno, in occasione delle scorse elezioni regionali in Lombardia, il candidato alla presidenza per la lista Monti, Gabriele Albertini, si rivolse al candidato avversario Maroni, assente ad un contraddittorio a causa di un malore stagionale, augurandogli “di superare ampiamente e molto velocemente l’influenza perché vogliamo una competizione reale e non con disabili”, equiparando disabilità e malattia. Nel marzo dello scorso anno, Marco Travaglio, in un post del suo blog tenuto sul sito de Il fatto Quotidiano apostrofò una parte dei suoi lettori  con un “cari cerebrolesi”. Senza contare quel simpaticone di  Beppe Grillo che quotidianamente definisce “psicona -no” (quando basterebbe solo “piccolo uomo”) il sig. Berlusconi, e l’ex premier Monti che in un impeto di ottimismo definì gli italiani “elettori intelligenti e non minorati”. Tutte offese bipartisan e trasversali, esempi di un frasario che fa parte ormai del nostro quotidiano, accomunate dall’ignoranza e  dal cattivo gusto di associare il mondo delle diverse abilità a qualcosa di spregiativo.

In realtà, l’universo dei normodotati è capace di comportamenti per i quali verrebbe da chiedersi quale sia la densità abitativa dei neuroni che albergano in un normo-cervello e per i quali potrebbe serenamente autocitarsi anche per spargere offese… penso ai pigri che parcheggiano occupando i posti riservati ai disabili per non fare 10 metri a piedi, ai bulletti che prendono in giro i compagni più deboli a scuola, ai titolari e agli operatori di quelle residenze sanitarie per disabili ed anziani ridotte a ghetto per i loro ospiti.

Sono atteggiamenti che in realtà dimostrano la nostra incapacità – quando non si tratta addirittura di ignoranza – di saperci rapportare con chi è solo apparentemente “diverso” da noi.  Eppure occorre guardare oltre. Occorre avere la consapevolezza che la disabilità non è una malattia ma una condizione dell’esistenza, al pari del colore dei capelli e degli occhi, e che è solo un tratto che contraddistingue una persona e come tale potrà permearla, ma mai esaurirla.

Soltanto in quest’ottica ha senso parlare di inclusione, mettendo al centro la persona umana, con i suoi pregi, i suoi difetti, la sua storia e talvolta anche con i suoi limiti fisici ed intellettivi. In realtà è qualcosa che sappiamo già fare. Basta guardare i bambini molto piccoli, che tra di loro si rapportano senza badare a chi sono, come sono e cosa hanno, attenti soltanto a scoprire e a importare conoscenza l’uno dall’atro con le parole, con i gesti, con i fatti.

Pertanto, per stare accanto ad una persona con disabilità intellettiva, ad esempio, non ci si chiede di essere più di quello che siamo, ma di essere meno di quello che siamo. Di lasciare a casa i nostri consueti modi di comunicare, per lasciar parlare gli occhi, le mani, i gesti. Nella peggiore delle ipotesi si otterrà indietro un sorriso, nella migliore si imparerà a conoscere un altro uomo o un’altra donna.

Soltanto in quest’ottica, guardando oltre, si comprenderà che è necessario abbattere qualsiasi barriera architettonica per consentire alle persone che hanno limiti fisici di girare autonomamente per le strade, di accedere ai posti di lavoro, di andare al cinema ed in discoteca.

La conoscenza genera comprensione, e la comprensione genera rispetto e talvolta anche amore, in un circolo che stavolta è davvero molto poco vizioso!

Ognuno di noi, nel suo piccolo, può contribuire a porre in essere questa rivoluzione culturale, cominciando col misurare le parole, per poi porre in essere piccoli gesti, piccoli comportamenti, a cui inevitabilmente seguiranno politiche d’ inclusione e di partecipazione.

Lo scopo è quello di realizzare l’uguaglianza sostanziale prevista dall’art. 3 della nostra Costituzione, troppo spesso dimenticato e che in questo periodo di crisi necessita di un rinnovato impulso fattivo. Soltanto una società in cui ogni membro è in grado di partecipare a pieno alla vita civile è in grado di produrre felicità e ricchezza.☺

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