Occorre metter su un patto di cittadinanza che osa andare oltre un presente che di giorno in giorno accelera il processo di soffocamento della speranza di futuro.
Leggo su Avvenire del primo novembre: “In un recente convegno sulla condizione delle autonomie locali organizzato a Campobasso uno dei relatori ha lanciato un grido d’allarme che non ha trovato eco sui grandi media: entro il 2016 (cioè tra sette anni, non ad una distanza di tempo siderale) 1650 comuni della penisola potrebbero trasformarsi in altrettanti centri fantasma, paesi morti e spettrali, luoghi senza vita perché tutti i residenti se ne sono andati o sono deceduti”. A seguire, l’articolista traccia prospettive di morte dei comuni ”polvere” che investono diversi territori del nostro paese e che lasciano poche speranze di sopravvivenza al Molise che, tra tutte le regioni d’Italia, presenta l’indice più allarmante circa le presenze e le nascite e il record negativo di un 97% dei comuni sotto la soglia dei diecimila.
Guarda caso di questa questione si era occupata la Caritas di Trivento che, sotto la guida intelligente e intraprendente di don Alberto Conti, aveva promosso una intensa azione di coscientizzazione sul problema dello spopolamento delle zone interne. Al punto che in un documento stampato nel maggio 1993 riportava schede statistiche sulla popolazione residente nei centri della diocesi, distribuiti nelle province di Campobasso, Isernia e Chieti, con dati che a partire dal 1871 percorrevano tappe che sfociavano nel 1990. La stessa indagine venne ulteriormente aggiornata periodicamente fino al 2003. L’esito finale conduceva ad una conclusione segnata da amaro realismo che portava a ipotizzare la scomparsa di molti comuni entro il 2040. Evidentemente l’accentuazione dei processi di denatalità e di emigrazione hanno accentuato in maniera imprevedibile il vortice di desertificazione.
Torniamo al patto da cui siamo partiti per rifarci a realtà consimili che si vanno adoperando per far fronte al bisogno di sopravivenza di questi territori.
Esempi significativi
Vicino a noi, in Basilicata, è stato avviato un Patto per lo Sviluppo che raccoglie attori sociali diversi fra loro: operatori turistici, operatori del legno, artigiani, agricoltori, enti locali e associazioni senza fini di lucro. L’ENI mette a disposizione risorse economiche provenienti dalla produzione, il proprio capitale di conoscenze, la propria rete di relazioni, le capacità di grande impresa per rafforzare un percorso di sviluppo sostenibile ed autonomo. Si affianca alla sua azione la valorizzazione di identità diverse e plurali: dalle filiere produttive alle tradizioni locali. Una condizione indispensabile prevista nel patto punta a dare spazio e iniziativa all’attività dei residenti in quei luoghi.
In una situazione di svuotamento del territorio di intelligenze e di intraprendenza occorre in primis fornire opportunità di crescita alle risorse umane per rafforzarne il radicamento sul territorio. Andare oltre la logica di sovvenzionare l’impresa che atterra sul territorio per sfruttarne le opportunità per poi dileguarsi di fronte a problemi che subentrano, creando disoccupazione e fuga delle energie e dei talenti, oltre che sfruttamento di risorse attinte dai bilanci dello stato e delle istituzioni. La desertificazione di risorse ed energie è anche frutto di carenza di iniziativa e di valorizzazione delle risorse umane radicate sul territorio.
Un nodo strategico è quello che riguarda la coesione fra gli enti locali, a partire dai comuni. Su questa pista si sono posti due comuni della Basilicata: Calvello (2.060 abitanti) e Abriola (1.691). Sindaci che escono fuori dal municipio per confrontarsi con i cittadini e con le realtà profit e non profit presenti sul territorio. E, attraverso una concertazione sistematica, si tracciano le strategie che delineano i piani di zona. Assemblee aperte in piazza, sussidiate con il contributo di esperti in materia che sostengono una logica di concertazione che agevola la lettura dei bisogni condivisi e la scoperta delle risorse disseminate sul territorio. È in questo cammino che la legge 328 trova la sua concreta applicazione.
In Molise, e non solo, essa è rimasta una carta scritta e archiviata. Quello della Basilicata è un cammino avviato nel luglio scorso, che presenta tutte le condizioni per proseguire e potrà costituire un modello di riferimento per la stesura di un Patto di Sviluppo che può trovare applicazione anche in terra di Molise.
Non è utopia anche perché recupera esperienze storiche di grande portata che hanno trovato applicazione in passato al nord Italia, con la testimonianza di due notevoli figure votate alla missione di comunità: Adriano Olivetti in Piemonte e Danilo Dolci in Sicilia. E non furono solo sogni utopici in quanto favorirono un radicamento del cittadino sul proprio territorio e svilupparono una economia che costituì una alternativa al mercato dello sfruttamento dell’uomo e del territorio, finalizzato all’accumulo di capitale che finiva con l’espropriare la comunità a beneficio di pochi eletti.
Occorre aggiungere che i loro nomi e la loro testimonianza restano legati al processo di crescita del senso civico e dei valori della solidarietà sociale e della promozione da parte dei cittadini di un modello autentico di democrazia partecipata, che sollecita individui e gruppi a farsi carico dell’interesse comune, anche attraverso la cultura e il gesto concreto della donazione.
A conclusione della fase di avvio del Piano di Sviluppo in Basilicata sono state individuate quattro filiere : turismo, energia, artigianato del legno, servizi sociali.
I comuni interessati sono tra quelli che negli ultimi tempi hanno subito l’effetto emigrazione e l’accelerazione del processo di svuotamento del territorio che ha raggiunto indici del 30% della popolazione.
Al Patto di Sviluppo hanno aderito oltre alla Fondazione Mattei dell’ENI, anche tre istituti bancari: Banca di Credito Cooperativo, Laurenzana e Unicredit.
È questa una esperienza che può essere trapiantata in Molise attraverso una Fondazione di Comunità al cui disegno di promozione si vanno raccogliendo le prime adesioni. Per dirla con Barack Obama “occorre alimentare la speranza con l’audacia dell’azione”. ☺
Occorre metter su un patto di cittadinanza che osa andare oltre un presente che di giorno in giorno accelera il processo di soffocamento della speranza di futuro.
Leggo su Avvenire del primo novembre: “In un recente convegno sulla condizione delle autonomie locali organizzato a Campobasso uno dei relatori ha lanciato un grido d’allarme che non ha trovato eco sui grandi media: entro il 2016 (cioè tra sette anni, non ad una distanza di tempo siderale) 1650 comuni della penisola potrebbero trasformarsi in altrettanti centri fantasma, paesi morti e spettrali, luoghi senza vita perché tutti i residenti se ne sono andati o sono deceduti”. A seguire, l’articolista traccia prospettive di morte dei comuni ”polvere” che investono diversi territori del nostro paese e che lasciano poche speranze di sopravvivenza al Molise che, tra tutte le regioni d’Italia, presenta l’indice più allarmante circa le presenze e le nascite e il record negativo di un 97% dei comuni sotto la soglia dei diecimila.
Guarda caso di questa questione si era occupata la Caritas di Trivento che, sotto la guida intelligente e intraprendente di don Alberto Conti, aveva promosso una intensa azione di coscientizzazione sul problema dello spopolamento delle zone interne. Al punto che in un documento stampato nel maggio 1993 riportava schede statistiche sulla popolazione residente nei centri della diocesi, distribuiti nelle province di Campobasso, Isernia e Chieti, con dati che a partire dal 1871 percorrevano tappe che sfociavano nel 1990. La stessa indagine venne ulteriormente aggiornata periodicamente fino al 2003. L’esito finale conduceva ad una conclusione segnata da amaro realismo che portava a ipotizzare la scomparsa di molti comuni entro il 2040. Evidentemente l’accentuazione dei processi di denatalità e di emigrazione hanno accentuato in maniera imprevedibile il vortice di desertificazione.
Torniamo al patto da cui siamo partiti per rifarci a realtà consimili che si vanno adoperando per far fronte al bisogno di sopravivenza di questi territori.
Esempi significativi
Vicino a noi, in Basilicata, è stato avviato un Patto per lo Sviluppo che raccoglie attori sociali diversi fra loro: operatori turistici, operatori del legno, artigiani, agricoltori, enti locali e associazioni senza fini di lucro. L’ENI mette a disposizione risorse economiche provenienti dalla produzione, il proprio capitale di conoscenze, la propria rete di relazioni, le capacità di grande impresa per rafforzare un percorso di sviluppo sostenibile ed autonomo. Si affianca alla sua azione la valorizzazione di identità diverse e plurali: dalle filiere produttive alle tradizioni locali. Una condizione indispensabile prevista nel patto punta a dare spazio e iniziativa all’attività dei residenti in quei luoghi.
In una situazione di svuotamento del territorio di intelligenze e di intraprendenza occorre in primis fornire opportunità di crescita alle risorse umane per rafforzarne il radicamento sul territorio. Andare oltre la logica di sovvenzionare l’impresa che atterra sul territorio per sfruttarne le opportunità per poi dileguarsi di fronte a problemi che subentrano, creando disoccupazione e fuga delle energie e dei talenti, oltre che sfruttamento di risorse attinte dai bilanci dello stato e delle istituzioni. La desertificazione di risorse ed energie è anche frutto di carenza di iniziativa e di valorizzazione delle risorse umane radicate sul territorio.
Un nodo strategico è quello che riguarda la coesione fra gli enti locali, a partire dai comuni. Su questa pista si sono posti due comuni della Basilicata: Calvello (2.060 abitanti) e Abriola (1.691). Sindaci che escono fuori dal municipio per confrontarsi con i cittadini e con le realtà profit e non profit presenti sul territorio. E, attraverso una concertazione sistematica, si tracciano le strategie che delineano i piani di zona. Assemblee aperte in piazza, sussidiate con il contributo di esperti in materia che sostengono una logica di concertazione che agevola la lettura dei bisogni condivisi e la scoperta delle risorse disseminate sul territorio. È in questo cammino che la legge 328 trova la sua concreta applicazione.
In Molise, e non solo, essa è rimasta una carta scritta e archiviata. Quello della Basilicata è un cammino avviato nel luglio scorso, che presenta tutte le condizioni per proseguire e potrà costituire un modello di riferimento per la stesura di un Patto di Sviluppo che può trovare applicazione anche in terra di Molise.
Non è utopia anche perché recupera esperienze storiche di grande portata che hanno trovato applicazione in passato al nord Italia, con la testimonianza di due notevoli figure votate alla missione di comunità: Adriano Olivetti in Piemonte e Danilo Dolci in Sicilia. E non furono solo sogni utopici in quanto favorirono un radicamento del cittadino sul proprio territorio e svilupparono una economia che costituì una alternativa al mercato dello sfruttamento dell’uomo e del territorio, finalizzato all’accumulo di capitale che finiva con l’espropriare la comunità a beneficio di pochi eletti.
Occorre aggiungere che i loro nomi e la loro testimonianza restano legati al processo di crescita del senso civico e dei valori della solidarietà sociale e della promozione da parte dei cittadini di un modello autentico di democrazia partecipata, che sollecita individui e gruppi a farsi carico dell’interesse comune, anche attraverso la cultura e il gesto concreto della donazione.
A conclusione della fase di avvio del Piano di Sviluppo in Basilicata sono state individuate quattro filiere : turismo, energia, artigianato del legno, servizi sociali.
I comuni interessati sono tra quelli che negli ultimi tempi hanno subito l’effetto emigrazione e l’accelerazione del processo di svuotamento del territorio che ha raggiunto indici del 30% della popolazione.
Al Patto di Sviluppo hanno aderito oltre alla Fondazione Mattei dell’ENI, anche tre istituti bancari: Banca di Credito Cooperativo, Laurenzana e Unicredit.
È questa una esperienza che può essere trapiantata in Molise attraverso una Fondazione di Comunità al cui disegno di promozione si vanno raccogliendo le prime adesioni. Per dirla con Barack Obama “occorre alimentare la speranza con l’audacia dell’azione”. ☺
Occorre metter su un patto di cittadinanza che osa andare oltre un presente che di giorno in giorno accelera il processo di soffocamento della speranza di futuro.
Leggo su Avvenire del primo novembre: “In un recente convegno sulla condizione delle autonomie locali organizzato a Campobasso uno dei relatori ha lanciato un grido d’allarme che non ha trovato eco sui grandi media: entro il 2016 (cioè tra sette anni, non ad una distanza di tempo siderale) 1650 comuni della penisola potrebbero trasformarsi in altrettanti centri fantasma, paesi morti e spettrali, luoghi senza vita perché tutti i residenti se ne sono andati o sono deceduti”. A seguire, l’articolista traccia prospettive di morte dei comuni ”polvere” che investono diversi territori del nostro paese e che lasciano poche speranze di sopravvivenza al Molise che, tra tutte le regioni d’Italia, presenta l’indice più allarmante circa le presenze e le nascite e il record negativo di un 97% dei comuni sotto la soglia dei diecimila.
Guarda caso di questa questione si era occupata la Caritas di Trivento che, sotto la guida intelligente e intraprendente di don Alberto Conti, aveva promosso una intensa azione di coscientizzazione sul problema dello spopolamento delle zone interne. Al punto che in un documento stampato nel maggio 1993 riportava schede statistiche sulla popolazione residente nei centri della diocesi, distribuiti nelle province di Campobasso, Isernia e Chieti, con dati che a partire dal 1871 percorrevano tappe che sfociavano nel 1990. La stessa indagine venne ulteriormente aggiornata periodicamente fino al 2003. L’esito finale conduceva ad una conclusione segnata da amaro realismo che portava a ipotizzare la scomparsa di molti comuni entro il 2040. Evidentemente l’accentuazione dei processi di denatalità e di emigrazione hanno accentuato in maniera imprevedibile il vortice di desertificazione.
Torniamo al patto da cui siamo partiti per rifarci a realtà consimili che si vanno adoperando per far fronte al bisogno di sopravivenza di questi territori.
Esempi significativi
Vicino a noi, in Basilicata, è stato avviato un Patto per lo Sviluppo che raccoglie attori sociali diversi fra loro: operatori turistici, operatori del legno, artigiani, agricoltori, enti locali e associazioni senza fini di lucro. L’ENI mette a disposizione risorse economiche provenienti dalla produzione, il proprio capitale di conoscenze, la propria rete di relazioni, le capacità di grande impresa per rafforzare un percorso di sviluppo sostenibile ed autonomo. Si affianca alla sua azione la valorizzazione di identità diverse e plurali: dalle filiere produttive alle tradizioni locali. Una condizione indispensabile prevista nel patto punta a dare spazio e iniziativa all’attività dei residenti in quei luoghi.
In una situazione di svuotamento del territorio di intelligenze e di intraprendenza occorre in primis fornire opportunità di crescita alle risorse umane per rafforzarne il radicamento sul territorio. Andare oltre la logica di sovvenzionare l’impresa che atterra sul territorio per sfruttarne le opportunità per poi dileguarsi di fronte a problemi che subentrano, creando disoccupazione e fuga delle energie e dei talenti, oltre che sfruttamento di risorse attinte dai bilanci dello stato e delle istituzioni. La desertificazione di risorse ed energie è anche frutto di carenza di iniziativa e di valorizzazione delle risorse umane radicate sul territorio.
Un nodo strategico è quello che riguarda la coesione fra gli enti locali, a partire dai comuni. Su questa pista si sono posti due comuni della Basilicata: Calvello (2.060 abitanti) e Abriola (1.691). Sindaci che escono fuori dal municipio per confrontarsi con i cittadini e con le realtà profit e non profit presenti sul territorio. E, attraverso una concertazione sistematica, si tracciano le strategie che delineano i piani di zona. Assemblee aperte in piazza, sussidiate con il contributo di esperti in materia che sostengono una logica di concertazione che agevola la lettura dei bisogni condivisi e la scoperta delle risorse disseminate sul territorio. È in questo cammino che la legge 328 trova la sua concreta applicazione.
In Molise, e non solo, essa è rimasta una carta scritta e archiviata. Quello della Basilicata è un cammino avviato nel luglio scorso, che presenta tutte le condizioni per proseguire e potrà costituire un modello di riferimento per la stesura di un Patto di Sviluppo che può trovare applicazione anche in terra di Molise.
Non è utopia anche perché recupera esperienze storiche di grande portata che hanno trovato applicazione in passato al nord Italia, con la testimonianza di due notevoli figure votate alla missione di comunità: Adriano Olivetti in Piemonte e Danilo Dolci in Sicilia. E non furono solo sogni utopici in quanto favorirono un radicamento del cittadino sul proprio territorio e svilupparono una economia che costituì una alternativa al mercato dello sfruttamento dell’uomo e del territorio, finalizzato all’accumulo di capitale che finiva con l’espropriare la comunità a beneficio di pochi eletti.
Occorre aggiungere che i loro nomi e la loro testimonianza restano legati al processo di crescita del senso civico e dei valori della solidarietà sociale e della promozione da parte dei cittadini di un modello autentico di democrazia partecipata, che sollecita individui e gruppi a farsi carico dell’interesse comune, anche attraverso la cultura e il gesto concreto della donazione.
A conclusione della fase di avvio del Piano di Sviluppo in Basilicata sono state individuate quattro filiere : turismo, energia, artigianato del legno, servizi sociali.
I comuni interessati sono tra quelli che negli ultimi tempi hanno subito l’effetto emigrazione e l’accelerazione del processo di svuotamento del territorio che ha raggiunto indici del 30% della popolazione.
Al Patto di Sviluppo hanno aderito oltre alla Fondazione Mattei dell’ENI, anche tre istituti bancari: Banca di Credito Cooperativo, Laurenzana e Unicredit.
È questa una esperienza che può essere trapiantata in Molise attraverso una Fondazione di Comunità al cui disegno di promozione si vanno raccogliendo le prime adesioni. Per dirla con Barack Obama “occorre alimentare la speranza con l’audacia dell’azione”. ☺
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