Palestinesi e israeliani
13 Marzo 2024
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Palestinesi e israeliani

Uno stato comune a entrambi i popoli
Ricordare la cieca complicità dei Paesi europei e degli USA nell’intera impresa sionista e motivare l’inanità della proposta “due popoli due Stati”, sostenuta dalla diplomazia internazionale come unica soluzione possibile per un futuro di pace; unica soluzione possibile significa che ogni altra proposta viene d’emblée respinta.
Stando così le cose, è doveroso capire cosa effettivamente s’intenda per Stato palestinese, quali sarebbero i suoi confini e, soprattutto, come se ne configurerebbe la sovranità. Ebbene, poiché è escluso che lo Stato d’Israele rinunci sia alle colonie in Cisgiordania sia alle annessioni di gran parte di quel territorio, ai palestinesi rimarrebbe circa il 17% della Palestina storica; Gaza sarebbe collegata al resto dello stato palestinese da un tunnel di proprietà israeliana e sarebbero presenti 700.000 coloni in insediamenti intercomunicanti, con strade a loro riservate e cavalcavia sempre di proprietà israeliana; quindi a tutti gli effetti lo Stato palestinese non sarebbe uno Stato sovrano bensì un non-Stato, per giunta totalmente dipendente dallo Stato d’Israele per la fornitura di energia elettrica, telefonia mobile, aeroporto e altri servizi essenziali; la capitale non sarebbe Gerusalemme est, bensì un sobborgo di questa chiamato Abu Dis.
Tuttavia una seconda proposta esiste: costituire un unico Stato per i due popoli, quello palestinese e quello israeliano. Anche qui bocche cucite da parte della diplomazia internazionale che la ignora, e dai media ufficiali che non ne parlano. Si distingue radicalmente dalla soluzione “due popoli due Stati” in quanto parte dalla constatazione della realtà di fatto, ovvero che oggi l’intero territorio della Palestina storica è governato da un’unica autorità, il governo israeliano. Con la Legge fondamentale del 2018, lo Stato d’Israele riconosce e impone alle popolazioni ivi residenti regimi politici diversi: pieni diritti di cittadinanza agli ebrei, financo ai coloni insediati nei territori occupati, ma diritti di gran lunga minori ai palestinesi d’ Israele (chiamati arabi d’Israele, cristiani, drusi, beduini, circassi, sì da confondere la loro comune identità nazionale), apartheid per i palestinesi della Cisgiordania, ghettizzazione di Gaza, limbo infinito per i profughi il cui diritto al ritorno sulla loro terra è da sempre negato. Tale proposta dovrebbe essere accompagnata da una road map che abroghi le 60 leggi israeliane discriminatorie secondo il comitato dell’Onu, e che, secondo i giuristi e Amnesty, costituiscono un sistema di apartheid.
La differenza fra le due proposte salta agli occhi: quella dei “due popoli due Stati” garantisce a Israele, in cambio della sua funzione di difesa degli interessi occidentali nel Medio Oriente, la possibilità – già citata – di portare a compimento il Progetto sionista di uno Stato ebraico in Palestina con meno palestinesi possibile; con ogni evidenza è una proposta che parte, non dall’intento di trovare una soluzione duratura di convivenza pacifica fra i due popoli, bensì da una visione verticistica ed eurocentrica della difesa degli equilibri geopolitici della regione. La seconda proposta, quella di “uno Stato due popoli”, è tabù in quanto volta unicamente a una prospettiva pacificatrice; ma anche perché in controtendenza rispetto alla visione geostrategica delle grandi potenze e dei loro alleati: quella di un Israele Stato ebraico forte ed egemone in un Medio Oriente di ex Stati sovrani, anomici e in disgregazione (Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Libia).
Nel 1939, quando la Palestina era sotto mandato britannico e l’immigrazione dei coloni europei accelerava, il governo di Londra pubblicò un Libro Bianco nel quale raccomandava la costituzione di uno Stato unico a maggioranza araba. Trent’anni dopo, nel 1972, durante un incontro fra Lelio Basso e Yasser Arafat cui ebbi il privilegio di partecipare, Arafat spiegò che, secondo il programma dell’OLP, l’unica via d’uscita era la costituzione di uno Stato unico, laico e democratico, per palestinesi e israeliani; e precisò: non per ebrei e arabi dove la parola ebrei serve a inglobare tutti gli ebrei del mondo e la parola arabi serve a negare l’esistenza della nazione palestinese, bensì un unico Stato per il popolo israeliano e quello palestinese, con la garanzia del diritto al ritorno dei profughi; è ciò che altresì raccomanda la relazione sullo Stato d’Israele del marzo 2017 della United Nations Economic and Social Commission for Western Asia.
Non sopravvaluto il crescente, seppur ancora limitato, gradimento che tale proposta suscita nei popoli interessati. Tuttavia, ai palestinesi è sempre più chiaro che è preferibile battersi per i propri diritti all’interno di un unico Stato invece che accettare la resa incondizionata a Israele insita nella soluzione “due popoli due Stati”. Fra gli israeliani la situazione è più complessa. Oltre il 20% della popolazione è composta da palestinesi, oltre il 50% è di provenienza araba e sefardita (fra cui i miei avi) e solo il venti percento e poco più è di origine europea e americana; però quest’ultimo gruppo costituisce l’establishment, sostiene l’equazione fra palestinesi e terroristi, da sempre disprezza tutto ciò che è arabo e il suo vero incubo è la “levantinizzazione” di Euro-Israele data la crescita demografica palestinese, assai superiore a quella israeliana.
Non sottovaluto le obiezioni, gli ostacoli, i ricatti e magari anche il peggio di cui sono capaci i potenti e gli israeliani (lo vediamo oggi con l’assedio di Gaza) alla sola idea di perdere le loro posizioni di forza, ma ciò non ci deve impedire di affermare che l’unica soluzione equa e di respiro è quella di uno Stato comune a entrambi i popoli; non da attuare domani, s’ intende, ma in prospettiva, perché appunto di prospettiva si tratta, cioè di un processo politico lento, volto a svelenire il clima di odio diffuso e porre le basi di una convivenza pacifica. Non un sogno ma “l’utopia che serve a camminare” (Eduardo Galeano) come insegna la storia del Levante che, seppur in filigrana, esiste e parla di accoglienza e di convivenza pacifica fra religioni e popoli: a patto che la si voglia.☺
Tratto da: Adista Documenti n° 40 del 25/11/2023

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