Per sevizio e per amore
22 Giugno 2019
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Per sevizio e per amore

Quando queste righe appariranno su la fonte la giostra elettorale sarà già finita, e si potrà leggerle con maggiore distacco; le scrivo invece mentre sono totalmente assorbita da una ridda di pensieri, preoccupazioni, risate, delusioni, studio, fatica. Ma voglio condividere con gli amici del “mio” giornale un’esperienza per me totalmente nuova e del tutto inaspettata.

E partiamo allora, come ormai consuetudine da parecchi mesi, dall’ etimologia della parola candidatura: viene dal termine  latino candidatum, (candido, imbiancato): perché il prescelto per una carica politica doveva mostrarsi in pubblico con una toga bianchissima, cosparsa di una sostanza gessosa che lo faceva apparire, appunto, imbiancato.

Evidente dunque il valore simbolico di quella stoffa splendente: chi aspirasse a rappresentare il popolo romano doveva essere senza macchia. Oggi sarebbe troppo facile fare dell’ironia sulle qualità morali che il nostro mondo moderno ritiene sufficienti per la politica… E del resto la storia romana ci insegna che anche allora di gesso dovettero presto essere costretti ad usarne molto, per imbiancare le toghe di certi personaggi…

La parola “imbiancato”, d’altronde, a credenti e non, chiama immediatamente alla mente i famosi sepolcri sui quali Gesù fu così duro, rendendoli per sempre simbolo di falsità morale irredimibile; mantenuta del resto anche nel nostro parlare giornaliero. Cosa diciamo, in fondo, ogni volta che parliamo di come abbiamo imbiancato casa? Il significato reale è sempre quello di aver coperto sporcizia e macchie sui muri, no?

Candidarsi da sempre dunque ha significato in qualche modo volersi distinguere: ma certo non per protagonismo o per dichiarare una propria superiorità, nel mio caso. La mia storia è infatti da 24 anni quella di una combattente dal basso; di una cittadina che per amore dei diritti, dei beni comuni e della giustizia civile ha cercato di raddrizzare almeno qualche stortura e difendere ciò che deve essere di tutti, altrimenti non è. Con le inevitabili inadeguatezze, ma con disponibilità assoluta. Stare nei movimenti, ragionare in modo collettivo, costruire nel confronto e accettare vedute differenti è stata, ed è, per me una infinita scuola di vita, che mi ha cambiata profondamente.

Ci si chiederà allora cosa mi ha portata a rischiare una strada nuova, esponendomi così a tutti i retro pensieri e le meschinità che subito si rovesciano su chi “si mette in politica”; già, perché tutti ci ripetiamo sempre che è necessario rinnovare, ci vogliono facce nuove non compromesse, le istituzioni si cambiano da dentro, bisogna avere il coraggio di scendere in campo, e altre banalità. Quando poi qualcuno questo coraggio, tra difficoltà ed esitazioni, lo trova, si scatena invece il tiro al bersaglio: chissà cosa vuole ottenere, è una persona divisiva, allora era vero che mirava al potere, non rappresenta un’alleanza vasta, e via sparlando.

Io posso solo dire che negli ultimi cinque anni la mia città, quella che amo perché vi ho cresciuto i miei figli e cercato di educare i miei alunni ad essere cittadini degni, quella che ho sempre cercato di difendere e far crescere, è divenuta così spenta e priva di speranza, così sotto attacco e privata dei suoi beni comuni, da farmi decidere di provare ad assumere un ruolo diverso, a parlare con una voce più forte.

Non si tratta, ovviamente, solo dell’ultimo periodo, né di una sola amministrazione: ma la recente deriva privatistica e sfacciatamente legata al profitto, resa evidente nella negazione del referendum sul tunnel, mi indigna e mi spaventa. Ecco perché sono qui, con 24 meravigliosi compagni di viaggio: per servizio e per amore. Del luogo che vivo, delle tante persone con le quali ho camminato da sempre, delle lotte di posti lontani che ho imparato a sentire mie; delle voci che in questi anni mi hanno fatto domande, contestata, contraddetta, sostenuta, ringraziata; delle bandiere e degli striscioni che ho portato lungo tante strade, di tutto quello che studiando e ascoltando ho imparato sui temi più disparati. E anche delle sconfitte, che insegnano la resilienza e ti fanno capire come cambiare strategia e come costruire progetti solidi.

Per tutto questo credo di poter proporre la rivoluzione gentile di cui parlo negli incontri pubblici; e credo di poter rappresentare, con umiltà e senza alcun protagonismo, il variegato popolo in cammino che è il mio. Quello dell’urbanistica condivisa, della democrazia partecipata, dello sviluppo davvero sostenibile, del territorio difeso, dell’acqua, sanità e scuola pubbliche, dell’ inclusione e dell’antirazzismo, dell’ antifascismo e della trasparenza.

Quando leggerete queste righe sarà tutto finito: per questo posso scrivere senza temere che il mio articolo vi sembri uno spot elettorale. Non sarebbe proprio nel mio stile; comunque andrà, io continuerò a camminare domandando, come nella Sierra Lacandona i rivoluzionari messicani. Con una esperienza in più ad insegnarmi a non arrendermi. Mai.☺

 

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