Piazza Tienanmen
7 Giugno 2014 Share

Piazza Tienanmen

Ho ancora davanti agli occhi viva e amara l’immagine del carro armato che in Piazza Tienanmen, il 4 giugno 1989, con i suoi cingolati cercava di investire un giovane studente universitario pechinese, poi divenuto famoso in tutto il mondo per questo atto di imperturbabile coraggio. Questo giovane era parte integrante di quel movimento studentesco, ma anche operaio, che con strumenti democratici, quali le assemblee pubbliche, aveva osato con lucida determinazione criticare la politica governativa del partito unico, che si confondeva con lo stato, nonché la corruzione dilagante in seno alla classe dirigente, politica e partitica, cinese, che in quegli anni stava portando avanti il processo di modernizzazione del paese voluto con testarda tenacia da Deng Xiao Ping.

Quel giovane è divenuto il simbolo, per una parte cospicua della gioventù cinese e dell’intellighentjia di quel paese, del rifiuto del processo di modernizzazione dell’economia e delle strutture statuali che riusciva ad esprimere soltanto una politica sorda alle istanze di un vero cambiamento democratico che il ceto contadino, i giovani, gli intellettuali, ma anche la borghesia progressista delle ZES (zone economiche speciali) chiedevano. Queste rivendicazioni riguardavano una vera democrazia in cui in Parlamento fosse presente una opposizione il cui ruolo fosse di controllo democratico sul governo e sulla maggioranza che lo sorregge; quindi, tali necessità significavano anche la messa al bando della politica del “partito unico” che si confondeva con lo stato. Il 4 giugno, dunque, è una giornata simbolo della lotta per la democrazia partecipata, e le sofferenze del popolo cinese di quegli anni devono poter essere conosciute dalle nuove generazioni, che devono, proprio perché diverse da quelle degli anni Ottanta/Novanta del secolo scorso, essere educate al valore concettuale e al significato civile della Memoria.

Per questa ragione nei giorni scorsi ho voluto rituffarmi in questo clima politico e leggere (tra i tanti su questo argomento) un libro di Yang Yi, Un mattino oltre il tempo, del 2008, che racconta vicende collegate ai fatti di Piazza Tienanmen del 4 giugno 1989.  Un mattino oltre il tempo è un romanzo di formazione, di scoperta di nuovi orizzonti culturali – all’università statale di Qinhu – che due ragazzi di campagna, Zhiqiang e Haoyuan, visceralmente desiderano conoscere: la musica occidentale e quella giapponese è molto amata, come profondamente vagheggiato è lo studio della cultura occidentale e della lingua inglese nella prospettiva di un radicale cambio di vita in Occidente -. I due giovani studenti hanno come insegnante il professore Gan, che ama la cultura occidentale, parla bene la lingua inglese e fa conoscere ai suoi giovani allievi la figura del più grande intellettuale cinese del XX secolo, Lu Xun, sotto un’altra luce, che non è quella del poeta e dello scrittore che l’entourage comunista pechinese utilizza ai fini propagandistici. La frequentazione e l’amicizia con il professore Gan danno agli studenti dell’università di Qinhu la possibilità di leggere e interpretare con maggiore attenzione la realtà sociale del paese tenuto sotto rigido controllo ideologico dal partito unico. Le discussioni collettive, gli approfondimenti  anche individuali toccano il nocciolo della vita del paese: la democrazia che non esiste e un Parlamento nazionale che veda al suo interno una forza che governi e un’altra che rappresenti effettivamente l’opposizione.

Infatti, la democrazia di un paese è consentire che ci sia una libera e reale opposizione. Di qui, la partecipazione degli studenti dell’università di Qinhu al dibattito generale della nazione, che sfocerà successivamente a Pechino nelle manifestazioni in Piazza Tienanmen, fulcro di una rinascita civile subito repressa nel sangue prima e nelle carceri poi. Le domande che i giovani universitari cinesi si ponevano – può una nazione essere comunista e democratica nello stesso tempo? – sono quelle che noi tutti ci siamo posti e ci poniamo continuamente anche oggi: una nazione può essere capitalistica e democratica ad un tempo? In tale contesto che ruolo ha la cultura, che ruolo hanno gli intellettuali nella formazione civile e politica di un popolo? Consiste effettivamente la democrazia nella pluralità delle decisioni e nella trasparenza delle informazioni?  Quando si è alla presenza di un partito unico che gestisce la vita di un’intera nazione, ci si può porre la domanda se tale presenza è una obbligata necessità o è l’espressione reale di una linea politica oppressiva e antidemocratica? I giovani studenti universitari ascoltano dal prof. Gan che la Cina ha bisogno di un partito di opposizione che svolga effettivamente una reale funzione di controllo. Di qui, la rilettura della produzione di Lu Xun, rappresentato come un intellettuale che educa ai valori autenticamente popolari e democratici, quali la libertà, l’eguaglianza sociale, la giustizia. Ma il 4 giugno ’89 a Tienanmen c’è la dura e feroce repressione dei carri armati: da una parte c’è l’ala moderatamente progressista del partito comunista, che fa capo al segretario generale del PCC, Zhao Zhyiang, disposta ad ascoltare le istanze di profonde riforme avanzate dal movimento di protesta; dall’altra, consistente e punitiva si fa l’azione dell’ala riformista denghiana – Deng Xiao Ping, l’erede di Mao Zedong, – che non appare per niente disposta a sacrificare le riforme – la modernizzazione dell’economia cinese fondata sui parametri delle dottrine capitalistico-occidentali – e per questo coopta la linea della repressione che costerà la vita in quei giorni a centinaia (e forse migliaia) di giovani studenti, lavoratori, cittadini, donne. Alle libertà, individuali e collettive, si è preferita la linea della prospettica giustizia sociale…

Alla luce di questi avvenimenti drammatici e dolorosi, l’ala denghista e riformatrice del Pcc, retta successivamente dall’erede di Deng, Zhao Zemin, s’impone attraverso il controllo sul partito comunista, sulla burocrazia statale e sul paese reale, grazie all’appoggio incondizionato dell’esercito popolare rivoluzionario e delle forze sociali delle zone costiere del paese, quelle fortemente industrializzate, avviando il processo di modernizzazione della nazione, il cui obiettivo principale era di migliorare le condizioni di vita della popolazione, riducendo i livelli pericolosamente sociali della povertà. Deng Xiao Ping l’ha fatto scegliendo la “via comunista al capitalismo” e i suoi successori l’hanno ratificata entrando a far parte, nel novembre del 2001, della Organizzazione per il Commercio Internazionale, meglio nota come WTO. L’intenzione e la progettualità denghiane sono state quelle di dare continuità alla fase rivoluzionaria e maoista del 1949, l’anno della nascita della Repubblica Popolare Cinese, inserendo la nazione e l’economia del paese sulla scia delle dottrine capitalistiche e finanziarie dell’Occidente. Sotto gli occhi di tutti è la situazione attuale della Cina, paese egemone, che incute timori e fobie al mondo capitalistico occidentale.☺

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