Pietro Canonica scultore
Nato a Torino nel 1869, e morto a Roma nel 1959, Pietro Canonica, giovanissimo, entra all’Accademia Albertina di Torino dove segue l’insegnamento dello scultore Tabacchi. Appena sedi- cenne, apre uno studio per proprio conto e si dedica a viaggi di studio, a Roma e a Firenze, per conoscere i maestri del Rinascimento. Intanto partecipa ad alcune tra le principali esposizioni italiane. Già affermato, è chiamato a Roma come membro della Commissione per il Monumento a Vittorio Emanuele II di cui esegue un bozzetto; nel 1908 realizza la grande statua del Tirreno oggi ai piedi della gradinata. E anche in altri soggetti di natura allegorica, come Pudore e Veglia dell’Anima, pone l’accento sul dato espressivo dei volti e dei gesti, esibendo un particolare virtuosismo tecnico.
Canonica unisce al talento di scultore accademico un vivo interesse per la conservazione del patrimonio artistico nazionale. Nel 1909 è chiamato a far parte del Consiglio Superiore delle Belle Arti, è nominato Senatore del Regno per alti meriti artistici. In questo ruolo interverrà di frequente con proposte legislative a difesa della tutela del patrimonio artistico.
Nel 1910 ottiene la cattedra di scultura all’Accademia di Belle Arti di Venezia e quindi la cattedra di Roma dove si trasferisce definitivamente nel 1922 su invito di Corrado Ricci. Nel 1926 si impegna a lasciare le sue opere al comune di Roma e ottiene di abitare nella Fortezzuola di Villa Borghese che restaura e che diventerà la sede del Museo a lui intitolato.
Bellezza plastica
La duttile terracotta costituisce il modello preparatorio per la scultura de L’abisso esposta da Pietro Canonica alla Biennale di Venezia del 1907 poi donata nel 1922, insieme ad un cospicuo numero di opere d’arte italiana contemporanea al Museo dell’Arte Italiana di Lima.
Originariamente modella sculture quale ornamento per il basamento del monumento funebre (mai realizzato) al musicista brasiliano Carlos Gomez Guarany. Nel 1905 il gruppo scultoreo, come ricorda il Basile, “conge- gnato con arte già appariva nettamente da quell’abbozzo dove la figura virile usciva da un blocco ancora informe, come Adamo dalla creta”, assumendo così nel suo farsi “tale bellezza plastica che Canonica non volle più destinarlo alla patria del musicista” brasiliano.
Canonica “talvolta vuol giungere al patetico e al tragico e gli mancano le ali, perché altra è la sua indole”… questo il giudizio sferzante e ingiusto espresso da Ugo Ojetti nel 1912 sulla seconda versione de L’abisso, a testimonianza dell’alterna e non storicizzata fortuna critica goduta dallo scultore, sui cui meriti artistici e la loro corretta valutazione si è abbattuta per decenni la censura futurista…“quei tempi di trivialità artistica e letteraria, mista di saponeria dannunziana e preraffaellita” (giudizio di Soffici 1929).
Oltre che eccellente e perito modellatore, in grado di raggiungere vette elevate di pittoricismo e delicatezza espressiva, Canonica è stato l’esponente di maggior spicco della stagione simbolista in Italia. Parallelamente alla scultura “impressionistica” la sua materia plastica si sottopone ad una “sublimazione lirica delle forme” il cui fine ultimo è “studiare” – sono parole dello scultore stesso – “il vero nella forma più pura, concentrando in essa il massimo del sentimento”.
Tormento e passione
Quest’opera, eseguita nel primo decennio del secolo, presenta un modellato elegante e un po’ barocco nell’insistente drappeggio che avviluppa i corpi dei due amanti avvinghiati nell’abbraccio. Potrebbero essere Paolo e Francesca, la coppia di amanti per antonomasia, condannati al fuoco eterno. La disperazione è assente nei due volti trasfigurati dalla passione. Il loro amplesso è privo di tormento: il volto di lei chino sull’“abisso” si appoggia con fiducia all’amante che la avvolge in un delicato abbraccio.
Una forma pura e conchiusa quindi, decantata degli accidenti descrittivi e narrativi per aprire la strada al manifestarsi simbolico del sentimento e dei contenuti. ☺
