Non sta scritto da nessuna parte, nei testi sacri, che i preti non possono essere sposati. Poiché in questi giorni si fa un gran parlare, spesso a sproposito e senza cognizione di causa, di matrimonio di preti, proviamo a dare un contributo che, ci auguriamo, aiuti a fare chiarezza.
La chiesa cattolica dà grande rilevanza a due doni o carismi: il celibato (cioè la scelta di non sposarsi) e il sacerdozio (o più propriamente il ministero ordinato in quanto il sacerdozio appartiene a tutti i battezzati proprio in forza del battesimo). Nei primi secoli dell’era cristiana non necessariamente erano l’uno il presupposto dell’altro, cioè avevamo celibi che non guidavano comunità e ministri ordinati tranquillamente sposati.
Solo in epoca piuttosto tardiva arriva la determinazione della chiesa che esige da chi vuole accedere agli ordini sacri la necessità del celibato. Le motivazioni sono molteplici: da quella ascetica di donazione totale a quella sessuofobica che imprigionerà per secoli la chiesa; dalla svalutazione del matrimonio, sopportato come rimedio della concupiscenza a quello della salvaguardia della proprietà ecclesiastica; da quella antropologica di povertà radicale a quella sociologica di status particolare, fino alla identificazione con Cristo, maschio e celibe.
La prima lettera a Timoteo, attribuita a S. Paolo, dice: “Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta” (3,2); la traduzione ecumenica invece: “Un pastore deve essere un uomo buono, fedele alla propria moglie”. Comunque si consoliderà nelle chiese orientali, sia ortodosse che cattoliche, che il ministero ordinato è l’ultimo stadio che ratifica la situazione in cui ci si trova al momento dell’ordinazione per cui chi è sposato, in caso di vedovanza, non può risposarsi e chi è celibe dovrà rimanervi per sempre.
Premesso che il celibato ha un grande valore di segno che non si vuole né offuscare né sopprimere, oggi l’interrogativo non è se i preti possono sposarsi: contro il loro matrimonio depone e la dubbia traduzione e interpretazione della Bibbia e la prassi secolare della chiesa e la loro scelta consapevole di impegnarsi nel celibato per tutta la vita, ma: perché uomini sposati non possono accedere al ministero ordinato, come avviene dal Concilio Vaticano II per il riscoperto ministero diaconale.
Se è l’eucaristia che fa la chiesa, cosa è più importante: assicurare a tutte le comunità la frazione della Parola e del Pane domenicale o condizionarla al reperimento di celibi impegnati nel ministero? Molte comunità africane spesso non hanno l’eucaristia domenicale perché non ci sono preti in quanto il celibato non appartiene alla loro cultura. Le chiese cattoliche di rito orientale hanno anche i ministri ordinati sposati. Oltre duecento pastori della chiesa anglicana sono passati a fare i ministri di culto cattolico conservando la famiglia. E dunque i tempi sono maturi per ordinare al ministero uomini felicemente sposati.
Una ottusa miopia, di cui si è affetti, può far ritardare ulteriormente la decisione, ma non potrà impedirla. E si badi bene che questa impellenza non è determinata dal bisogno di rimpinguare gli scarni ranghi, ma dal rispondere allo Spirito che chiama al ministero sia celibi che coniugati.
Altro problema, molto serio, è quello dei preti e vescovi che hanno dovuto abbandonare il ministero a causa della successiva scelta di condividere la loro vita con una donna. È vero che sono venuti meno a una scelta celibataria che li impegnava per sempre, ma una chiesa che predica il perdono, la comprensione, l’accompagnamento delle persone può abbandonarli al loro destino cancellando quanto hanno fatto e dato fino a quel momento, il loro bagaglio di sapere e di competenza? Non si tratta di far finta di niente o di coprirli, ma neppure di chiudere loro le porte in faccia! Qualunque istituzione ci penserebbe bene prima di rinunciare a professionalità lungamente cullate e su cui si era investito. E la chiesa, che per giunta è madre, può continuare a privarsi con sdegnata sufficienza di chi pure ha ricevuto un ministero per tutta la vita?
È giunto il tempo in cui vengano aperti spazi adeguati, visto che nella vigna del Signore c’è posto per tutti, perché nessuno sia mortificato o escluso. Ne va della credibilità stessa della nostra amata chiesa. ☺
Non sta scritto da nessuna parte, nei testi sacri, che i preti non possono essere sposati. Poiché in questi giorni si fa un gran parlare, spesso a sproposito e senza cognizione di causa, di matrimonio di preti, proviamo a dare un contributo che, ci auguriamo, aiuti a fare chiarezza.
La chiesa cattolica dà grande rilevanza a due doni o carismi: il celibato (cioè la scelta di non sposarsi) e il sacerdozio (o più propriamente il ministero ordinato in quanto il sacerdozio appartiene a tutti i battezzati proprio in forza del battesimo). Nei primi secoli dell’era cristiana non necessariamente erano l’uno il presupposto dell’altro, cioè avevamo celibi che non guidavano comunità e ministri ordinati tranquillamente sposati.
Solo in epoca piuttosto tardiva arriva la determinazione della chiesa che esige da chi vuole accedere agli ordini sacri la necessità del celibato. Le motivazioni sono molteplici: da quella ascetica di donazione totale a quella sessuofobica che imprigionerà per secoli la chiesa; dalla svalutazione del matrimonio, sopportato come rimedio della concupiscenza a quello della salvaguardia della proprietà ecclesiastica; da quella antropologica di povertà radicale a quella sociologica di status particolare, fino alla identificazione con Cristo, maschio e celibe.
La prima lettera a Timoteo, attribuita a S. Paolo, dice: “Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta” (3,2); la traduzione ecumenica invece: “Un pastore deve essere un uomo buono, fedele alla propria moglie”. Comunque si consoliderà nelle chiese orientali, sia ortodosse che cattoliche, che il ministero ordinato è l’ultimo stadio che ratifica la situazione in cui ci si trova al momento dell’ordinazione per cui chi è sposato, in caso di vedovanza, non può risposarsi e chi è celibe dovrà rimanervi per sempre.
Premesso che il celibato ha un grande valore di segno che non si vuole né offuscare né sopprimere, oggi l’interrogativo non è se i preti possono sposarsi: contro il loro matrimonio depone e la dubbia traduzione e interpretazione della Bibbia e la prassi secolare della chiesa e la loro scelta consapevole di impegnarsi nel celibato per tutta la vita, ma: perché uomini sposati non possono accedere al ministero ordinato, come avviene dal Concilio Vaticano II per il riscoperto ministero diaconale.
Se è l’eucaristia che fa la chiesa, cosa è più importante: assicurare a tutte le comunità la frazione della Parola e del Pane domenicale o condizionarla al reperimento di celibi impegnati nel ministero? Molte comunità africane spesso non hanno l’eucaristia domenicale perché non ci sono preti in quanto il celibato non appartiene alla loro cultura. Le chiese cattoliche di rito orientale hanno anche i ministri ordinati sposati. Oltre duecento pastori della chiesa anglicana sono passati a fare i ministri di culto cattolico conservando la famiglia. E dunque i tempi sono maturi per ordinare al ministero uomini felicemente sposati.
Una ottusa miopia, di cui si è affetti, può far ritardare ulteriormente la decisione, ma non potrà impedirla. E si badi bene che questa impellenza non è determinata dal bisogno di rimpinguare gli scarni ranghi, ma dal rispondere allo Spirito che chiama al ministero sia celibi che coniugati.
Altro problema, molto serio, è quello dei preti e vescovi che hanno dovuto abbandonare il ministero a causa della successiva scelta di condividere la loro vita con una donna. È vero che sono venuti meno a una scelta celibataria che li impegnava per sempre, ma una chiesa che predica il perdono, la comprensione, l’accompagnamento delle persone può abbandonarli al loro destino cancellando quanto hanno fatto e dato fino a quel momento, il loro bagaglio di sapere e di competenza? Non si tratta di far finta di niente o di coprirli, ma neppure di chiudere loro le porte in faccia! Qualunque istituzione ci penserebbe bene prima di rinunciare a professionalità lungamente cullate e su cui si era investito. E la chiesa, che per giunta è madre, può continuare a privarsi con sdegnata sufficienza di chi pure ha ricevuto un ministero per tutta la vita?
È giunto il tempo in cui vengano aperti spazi adeguati, visto che nella vigna del Signore c’è posto per tutti, perché nessuno sia mortificato o escluso. Ne va della credibilità stessa della nostra amata chiesa. ☺
Non sta scritto da nessuna parte, nei testi sacri, che i preti non possono essere sposati. Poiché in questi giorni si fa un gran parlare, spesso a sproposito e senza cognizione di causa, di matrimonio di preti, proviamo a dare un contributo che, ci auguriamo, aiuti a fare chiarezza.
La chiesa cattolica dà grande rilevanza a due doni o carismi: il celibato (cioè la scelta di non sposarsi) e il sacerdozio (o più propriamente il ministero ordinato in quanto il sacerdozio appartiene a tutti i battezzati proprio in forza del battesimo). Nei primi secoli dell’era cristiana non necessariamente erano l’uno il presupposto dell’altro, cioè avevamo celibi che non guidavano comunità e ministri ordinati tranquillamente sposati.
Solo in epoca piuttosto tardiva arriva la determinazione della chiesa che esige da chi vuole accedere agli ordini sacri la necessità del celibato. Le motivazioni sono molteplici: da quella ascetica di donazione totale a quella sessuofobica che imprigionerà per secoli la chiesa; dalla svalutazione del matrimonio, sopportato come rimedio della concupiscenza a quello della salvaguardia della proprietà ecclesiastica; da quella antropologica di povertà radicale a quella sociologica di status particolare, fino alla identificazione con Cristo, maschio e celibe.
La prima lettera a Timoteo, attribuita a S. Paolo, dice: “Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta” (3,2); la traduzione ecumenica invece: “Un pastore deve essere un uomo buono, fedele alla propria moglie”. Comunque si consoliderà nelle chiese orientali, sia ortodosse che cattoliche, che il ministero ordinato è l’ultimo stadio che ratifica la situazione in cui ci si trova al momento dell’ordinazione per cui chi è sposato, in caso di vedovanza, non può risposarsi e chi è celibe dovrà rimanervi per sempre.
Premesso che il celibato ha un grande valore di segno che non si vuole né offuscare né sopprimere, oggi l’interrogativo non è se i preti possono sposarsi: contro il loro matrimonio depone e la dubbia traduzione e interpretazione della Bibbia e la prassi secolare della chiesa e la loro scelta consapevole di impegnarsi nel celibato per tutta la vita, ma: perché uomini sposati non possono accedere al ministero ordinato, come avviene dal Concilio Vaticano II per il riscoperto ministero diaconale.
Se è l’eucaristia che fa la chiesa, cosa è più importante: assicurare a tutte le comunità la frazione della Parola e del Pane domenicale o condizionarla al reperimento di celibi impegnati nel ministero? Molte comunità africane spesso non hanno l’eucaristia domenicale perché non ci sono preti in quanto il celibato non appartiene alla loro cultura. Le chiese cattoliche di rito orientale hanno anche i ministri ordinati sposati. Oltre duecento pastori della chiesa anglicana sono passati a fare i ministri di culto cattolico conservando la famiglia. E dunque i tempi sono maturi per ordinare al ministero uomini felicemente sposati.
Una ottusa miopia, di cui si è affetti, può far ritardare ulteriormente la decisione, ma non potrà impedirla. E si badi bene che questa impellenza non è determinata dal bisogno di rimpinguare gli scarni ranghi, ma dal rispondere allo Spirito che chiama al ministero sia celibi che coniugati.
Altro problema, molto serio, è quello dei preti e vescovi che hanno dovuto abbandonare il ministero a causa della successiva scelta di condividere la loro vita con una donna. È vero che sono venuti meno a una scelta celibataria che li impegnava per sempre, ma una chiesa che predica il perdono, la comprensione, l’accompagnamento delle persone può abbandonarli al loro destino cancellando quanto hanno fatto e dato fino a quel momento, il loro bagaglio di sapere e di competenza? Non si tratta di far finta di niente o di coprirli, ma neppure di chiudere loro le porte in faccia! Qualunque istituzione ci penserebbe bene prima di rinunciare a professionalità lungamente cullate e su cui si era investito. E la chiesa, che per giunta è madre, può continuare a privarsi con sdegnata sufficienza di chi pure ha ricevuto un ministero per tutta la vita?
È giunto il tempo in cui vengano aperti spazi adeguati, visto che nella vigna del Signore c’è posto per tutti, perché nessuno sia mortificato o escluso. Ne va della credibilità stessa della nostra amata chiesa. ☺
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