Problemi strategici dell’agricoltura
11 Ottobre 2025
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Problemi strategici dell’agricoltura

Per tre giorni, il 26/27/28 settembre, a Monte Sole sull’Appennino bolognese, Biodisretti italiani ed europei, associazioni ambientaliste, produttori agricoli, organizzazioni sindacali e ricercatori hanno discusso di agricoltura, di zone interne, della migrazione dalle aree rurali e della contraddizione fra la vita delle campagne e quella delle città. È un incontro che ha un doppio significato. È utile a cogliere come e quanto l’agricoltura vada ben oltre i confini di quel che un tempo veniva definito “settore primario”. L’agricoltura incrocia tutte le grandi contraddizioni della nostra epoca dal cambiamento climatico all’alimentazione, dal deperimento delle zone interne alla migrazione verso le città. In secondo luogo si valuteranno i modi utili per superare la frammentazione delle esperienze e delle iniziative nei territori. Queste esperienze sono certo la testimonianza di una ricca vitalità sociale e politica dei territori, ma al pari tempo testimoniano la grande difficoltà di intervenire e cambiare le scelte della politica. Il rischio per ognuno di noi, che pur siamo impegnati sulla frontiera del civismo, delle lotte sociali e ambientali, di finire in una bolla che si muove sopra il mondo reale è molto alto.
La cosiddetta rivoluzione verde, che di verde non ha poi nulla, ha avviato un processo di trasformazione che sta cambiando la natura profonda, la composizione sociale, la cultura del mondo agricolo. Non è stato, né è un processo facile, infatti le resistenze alla industrializzazione anonima, alla disumanizzazione della vita agricola vanno avanti con fatica, se è vero che ancora oggi gran parte della produzione è nelle mani della piccola e media azienda e dell’agricoltura famigliare. Pur tuttavia molto – e in peggio – in questi ultimi decenni è cambiato. Non possiamo rimuovere che inesorabile e silenziosa continua la chiusura delle aziende: dal 1980 ad oggi hanno chiuso più della metà delle aziende agricole da tre milioni a poco più di un milione nel 2020. Fenomeno che investe in primo luogo le zone collinari e di montagna che rappresentano il 60% del territorio nazionale e gran parte del territorio molisano. Secondo i dati ISTAT sugli allevamenti bovini, ogni anno chiudono 200/300 aziende che vengono assorbite in stalle sempre più grandi e industriali. Né possiamo dimenticare l’invecchiamento di chi lavora nelle campagne e l’esodo dei giovani verso le zone urbane. Secondo i dati del rapporto ISMEA – RRN nelle aree rurali negli ultimi 10 anni il numero dei giovani si è ridotto del 44%. In questo modo si disperdono saperi e conoscenze, avanza l’abbandono e la degradazione dei terreni.
Eppure l’agricoltura della quale parliamo ha un immenso valore sociale, economico, culturale ed ambientale. Cura quello straordinario laboratorio della vita che si trova nei primi 50 cm del suolo, lì si realizzano quei miliardi e miliardi di operazioni chimiche che sono a fondamento della vita sul pianeta, lì si regola sapientemente il ciclo dell’acqua.
Trasformare questo laboratorio in una discarica chimica come ha imposto la rivoluzione verde, è un autentico ‘suicidio ambientale’. Rispettare quel laboratorio è anche la via maestra per affrontare la tragedia del cambiamento climatico. Questi primi 50 centimetri di suolo funzionano come una spugna, come un deposito nel quale si concentra il doppio di anidride carbonica che è in atmosfera. Compromettere, manipolare, in- quinare e distruggere questo prezioso miracolo della natura è puro autolesionismo, è un vero delitto.
Se si vuole fermare il cambiamento climatico è im- perativo ‘cambiare’ il sistema di produzione agricola. L’agricoltura è la condizione prima per la produzione di cibo: i contadini di ieri e i produttori agricoli di oggi sono i protagonisti di questo miracolo, se è vero, come è vero, che gran parte della produzione agricola è nelle mani dei piccoli – medi produttori e dell’agricoltura famigliare. Ma noi dobbiamo chiedere al produttore agricolo di essere protagonista di un secondo miracolo, di essere sempre più il promotore di una grande rivoluzione culturale che cambia non solo il modo di produzione, ma anche la cultura del cibo e dell’alimentazione. Dovrebbe esserci chiaro che solo un nuovo protagonismo del mondo agricolo, solo una nuova e diffusa consapevolezza dei contadini possono permetterci di affermare come sostiene Slow Food: un “cibo, buono, sano e giusto”.
Infine la valorizzazione del mondo agricolo, un reddito certo e degno per i contadini sono le condizioni fondamentali per uscire dalla retorica delle zone interne e porre concretamente le basi per un nuovo equilibrio fra la città e la campagna, fermando così l’ esodo dalle aree rurali e in primo luogo dalle zone collinari e dalla montagna. Una migrazione che sarebbe distruttiva sia per le zone rurali, sia per l’equilibrio e la convivenza sociale delle stesse città.
Questione climatica, una nuova cultura del cibo, la contraddizione città – campagna, il ciclo dell’acqua e il lavoro dei campi sono grandi problemi strategici che attraversano l’agricoltura e che sono essenziali, se si vuole mettere in campo un vero progetto di cambiamento del “sistema” e che la sinistra farebbe bene a prendere in seria considerazione.☺

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