
Resistenza coraggiosa
All’inizio della Quaresima di quest’anno nella liturgia cattolica si è letto il racconto delle tentazioni tratto dal Vangelo di Luca (4,1-13). La caratteristica che lo distingue da quello di Matteo (4,1-11) è l’ inversione tra la seconda e la terza tentazione. In concreto: Matteo inizia con la tentazione del sasso da trasformare in pane; segue il trasferimento sul pinnacolo del tempio dove Satana, bibbia alla mano, chiede a Gesù di gettarsi giù con la certezza che verranno gli angeli a soccorrerlo; infine, Satana fa vedere a Gesù da un monte altissimo tutti i regni della terra dicendo che sono suoi e che glieli darà se si prostrerà per adorarlo. Perché Luca non conclude con l’effetto “hollywoodiano” della visione simultanea di tutti i centri di potere del mondo? Normalmente si spiega con una motivazione letteraria: per Luca è così importante Gerusalemme nella sua geografia sacra (il vangelo, infatti, inizia a Gerusalemme, nel tempio e termina nello stesso luogo) da farne il vertice delle tentazioni; inoltre, da buon storico, la sua disposizione riflette meglio lo sviluppo narrativo del vangelo stesso: la prima tentazione riguarda la capacità di Gesù di compiere miracoli; la seconda, di carattere politico, rimanda al momento in cui Pietro dichiara che Gesù è il Cristo, colui, cioè, che dovrà ridare dignità di popolo e indipendenza a Israele. L’ultima tentazione rimanda al momento della Passione, quando Satana si farà di nuovo presente “incarnandosi” in Giuda.
Alla luce di quanto sta accadendo in questo nostro tempo, tuttavia, io vedo nel racconto delle tentazioni di Luca una profezia, perché mostra come la religione, quando non fa compiere il volere di Dio che coincide con il bene non di qualcuno ma di tutti, diventa l’arma più pericolosa, in quanto suggella le posizioni più radicali e belliciste con la motivazione che si tratta della volontà stessa di Dio. In questa prospettiva, vedo una piena sintonia tra la prospettiva di Luca e quella che troviamo nell’Apocalisse, dove si parla della bestia che sorge dal mare (13,1-10) e che, fuor di metafora, allude al potere tronfio e dispotico di Roma dove l’imperatore del tempo, Domiziano, pretendeva di essere appellato “mio Signore e mio Dio” (capiamo perché il vangelo di Giovanni mette in bocca a Tommaso questa frase, ma rivolta a quel Gesù ucciso proprio dai romani!). Però c’è una seconda bestia che viene dalla terra (l’i- sola di Patmos in cui è ambientata l’ Apocalisse è di fronte all’attuale Turchia dove, a quei tempi, c’erano splendidi templi per il culto dell’imperatore e della dea Roma) che ha uno scopo ben preciso: “Vidi salire dalla terra un’altra bestia che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, ma parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia. Opera grandi prodigi, fino a far scendere il fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. Per mezzo di questi prodigi seduce gli abitanti della terra, dicendo loro di erigere una statua alla bestia… essa fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla mano destra e sulla fronte, e che nessuno possa comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome, un numero di uomo che è 666” (13,11-18). Il numero in questione probabilmente indica il nome di Nerone Cesare espresso in lettere ebraiche, che era considerato risuscitato in Domiziano. La seconda bestia compie miracoli (come nella prima tentazione di Gesù) e ha lo scopo di far adorare la prima bestia, cioè il potere politico-economico divinizzato.
Qualche anno fa alcuni commenti all’Apocalisse dicevano che al giorno d’oggi, essendo tramontata la religione, il ruolo della seconda bestia è occupato dai mass-media che impongono la visione del mondo propria del capitalismo e del consumismo (il marchio della bestia facilmente può essere riferito anche ai brand che assurgono a status-symbol). La religione era ritenuta un fossile da museo, non più in grado di svolgere questo ruolo di manipolazione delle menti. Questo fino agli anni Venti di questo secolo, quando l’elemento religioso è ritornato preponderante per l’ideologia politica post-comunista della Russia e quando lo Stato d’ Israele ha rivelato le mire del peggior sionismo fondato su una lettura fondamentalista della bibbia ebraica. Ma il culmine della riappropriazione del ruolo centrale della religione asservita al potere politico lo stiamo vedendo nell’America di Trump dove c’è la chiusura di un cerchio, in quanto, non a caso, chi benedice in nome di Dio questo nuovo messia (ma che in chiave biblica diventa un anticristo) è un gruppo di telepredicatori, assommando in sé l’uso demoniaco sia della religione che dei mass-media.
La bibbia, letta in modo giusto, non ci dice cosa accadrà in modo deterministico, ma cosa fare ogni qual volta si ricreano quelle situazioni in cui il nome di Dio (contro uno dei comandamenti) è usato come pericoloso strumento per rafforzare il potere di chi si crede un dio. Ancora una volta, seguendo le orme di Gesù, che ha preferito morire piuttosto che assecondare Satana, è l’Apocalisse a dirci cosa fare da credenti: “Colui che deve andare in prigionia, vada in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada, di spada sia ucciso. In questo sta la perseveranza e la fede dei santi” (Ap 13,10). Di fronte al dilagare dello strapotere dei violenti e delle ingiustizie verso gli oppressi fatte in nome di Dio, il credente, forte della sua fede nella vittoria di Cristo sul Male, non può far altro che resistere come hanno fatto quei primi cristiani che, anziché prostrarsi alla bestia imperiale, preferirono morire, a volte fisicamente, molto più spesso socialmente. Il mondo sta andando rapidamente verso un punto di non ritorno: l’unico atteggiamento dignitoso è fare del nostro meglio per non contribuire ad accelerare la catastrofe, sperando che la resistenza diventi contagiosa e sappia far fermare in tempo l’irreversibile. ☺