Riannodare la storia
11 Gennaio 2024
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Riannodare la storia

Per mio padre, un uomo furbo, meglio se avido e un po’ volgare, era inevitabilmente un filibustiere, un uomo alto e robusto puntualmente un Sacripante; una persona che non gli desse risposte o che solo non lo salutasse nei modi da lui ritenuti dovuti era sempre ricordata con un icastico “nendic’ né ar’ néstuocc’ né va a fa’ a maes’”; ogni occasione di gioia, da un successo nello studio e sul lavoro al compleanno, al fidanzamento era salutata da mio padre con un “vivissimi auguri”, a volte circolante nella variante “compli- menti vivissimi”; una proposta che gli risultasse inaccettabile meritava un sonoro“ma va apasc’ livicc’!”, mentre, se gli si chiedeva dove stesse andando, quando per lui era ovvio che la meta sarebbe stata la consueta o che addirittura non si sarebbe affatto allontanato, sanciva: “a ped’ de pir’”. Anche dei miei nonni ricordo parole ed espressioni tipiche, che a loro solo ricollego: la mia nonna paterna, che tra l’esasperato e il sorridente si rivolgeva al nipote di turno che le dava briga con un poco aulico “ch’t’ pozzan’mbenntictic!”e la nonna materna che pronunciava il suo no ad un invito a lei non gradito con un perentorio “uagliò, ma tu va o vié?”; ricordo bene anche il nonno paterno, che, impacciato nel racconto e in genere taciturno, quando proprio non poteva esimersi, preannunciava le sue narrazioni, peraltro sempre interessantissime e rigorosamente in italiano, con un “la storia è lunga”, una sorta di captatio benevolentiae, per dire insomma “non mi interrompete e portate pazienza, la sostanza c’è”, quando invece decideva di non esporsi, per non rinnovare una memoria dolorosa, iniziava e concludeva con un “sacc’i”, del quale in realtà ormai tutti conoscevamo fatti e antefatti.
Ogni famiglia ha un suo lessico legante e tanto più la famiglia è varia, numerosa e aperta quanto più il suo lessico si fa profumato e bizzarro, forziere di affetti per chi quel lessico lo ha vissuto in prima persona e sprone di emozioni e suggestioni nuove per chi lo ascolti dall’esterno.
Ho sentito ultimamente e con grande piacere una versione di audiolibro di Lessico famigliare, letto magistralmente da Anna Bonaiuto per Rai Radio Tre nel 2016 e, come già mi era capitato tanti anni fa nella mia lettura silenziosa e in assolo, ho trovato questo libro bellissimo.
Lessico famigliare, di Natalia Ginzburg, è la cronaca per episodi salienti e cronologicamente ordinati della vita della famiglia Levi, una famiglia della buona borghesia intellettuale ebraica torinese, tra gli anni ‘20 del Novecento fin oltre la conclusione della Seconda guerra mondiale.
La storia di famiglia è rievocata dallo sguardo ora innocente ora beffardo, sempre profondamente affettuoso dell’ultima nata, Natalia Ginzburg (nata Levi, ma che conservò pur dopo la morte del marito, Leone Ginzburg, il cognome di quest’ultimo). Senza tralasciare la “grande storia” che fa da sfondo alle vicende della sua famiglia, dall’ affermazione del fascismo alle persecuzioni antiebraiche, al trattamento riservato agli oppositori del regime, all’attività della Resistenza, al nuovo assetto politico dell’Italia dopo la fine della guerra e ricordando uno per uno nel loro versante più intimo e meno conosciuto i numerosi ed eccellenti amici che ebbero a che fare con la sua famiglia, da Filippo Turati a Camillo ed Adriano Olivetti, da Leone Ginzburg a Giancarlo Pajetta, a Vittorio Foa, a Cesare Pavese e Giulio Einaudi, è soprattutto sugli avvenimenti e i drammi della sua famiglia natale che la Ginzburg si concentra, ritraendone con leggerezza e composta dignità usi e costumi, sempre attenta alle piccole cose che sono veicoli di affetti sinceri e perciò mai declamati, come una lingua condivisa fatta di modi di dire e racconti ed espressioni sui generis, tale la famiglia della Ginzburg con un padre, Beppino, scienziato e stimato professore universitario, convinto antifascista, brontolone e severo, una madre, Lidia Tanzi, tanto inconcludente quanto sempre lieta e pronta a spendere cure e parole per i suoi di casa, per gli amici, per le domestiche, con una nonna paterna stizzosa ed orgogliosa della bellezza e del benessere della sua gioventù, con cinque fratelli assai diversi gli uni dagli altri per indole e talento.
Così scrive la Ginzburg a proposito del potere del patrimonio lessicale della sua famiglia: “Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. […] Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati,[…] Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e risuscitando nei punti più diversi della terra”.
In un punto diverso della terra e della storia, da tutt’altra famiglia, mi è successo di sentir suonare nelle orecchie il professor Levi che tuonava contro i suoi figli “Non fate malagrazie! Non fate sbrodeghezzi! Non fate potacci!”o che liquidava come “negrura” ogni usanza per lui inconcepibile, e la nonna paterna, che redarguiva i nipoti con un “Voi fate bordello di tutto!”; mentre ne sorridevo, le parole dei Levi si sono intrecciate e confuse in mente con quelle di mio padre e dei miei nonni, con un senso di profonda nostalgia e la consapevolezza di una ricchezza inalienabile, come è la memoria della vita con la sua trama di frasi evocatrici, letture comprese.
A presto.☺

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