rinascimento molisano
21 Marzo 2010 Share

rinascimento molisano

 

Il pittore di Gambatesa

Donato Decubertino compie la sua formazione nella prima metà del cinquecento, tra Napoli e un periodo più lungo a Roma. Tra i vari artisti che il Valente annovera nella formazione artistica del Decubertino è opportuno un accostamento con l’architetto – pittore Giulio Romano (Roma,1499 – Mantova 1596) importante personalità del Rinascimento e del Manierismo. Tra i principali collaboratori di Raffaello Sanzio, il Romano ne eredita la bottega nel 1520 insieme al collega Gian Francesco Penni. Su richiesta di Federico II Gonzaga e segnalato da Baldassarre da Castiglione, letterato e suo ambasciatore a Roma, lo invita a Mantova. Pur accettando l’incarico a Mantova, Giulio si trattiene a Roma dove attende al compimento dei lavori che Raffaello non aveva potuto portare a termine. Nel 1524 raggiunge Mantova. Si racconta che, al suo arrivo, il marchese Federico lo accolse calorosamente e, donandogli un cavallo, lo condusse fuori le mura della città per recarsi in una località chiamata Te ove erano delle stalle. Qui Federico chiese a Giulio di realizzare una villa. Dopo i primi progetti a Roma, come la villa Lante, villa Ghigi, il progetto di Palazzo Te, diventa la sintesi di villa suburbana: abitativa, di svago, di ospitalità, di intrattenimento e di rappresentanza. All’interno il ciclo dei miti con le riquadrature prospettiche delle volte, cicli già eseguiti precedentemente: gli dei planetari, le costellazioni, gli amori di Giove e Leda. Nella sala dei Giganti viene applicato uno sperimentalismo illusivo, raffigurando figure grottescamente deformi e il crollo di enormi architetture, così da dare l’impressione allo spettatore di essere sommerso dalle macerie e risucchiato dal gorgo musivo del pavimento. Il paradosso è la chiave di lettura che va a sostituire la logica e la razionalità rinascimentali. Il gusto della meraviglia e dell’artificio ingegnoso e bizzarro hanno largo uso nel manierismo di corte, ponendo le basi del barocco.

La Sala delle Virtù di Gambatesa

Il ciclo delle Virtù è idealmente proposto alla formazione del “Buon Governo” con l’acquisizione delle quali accompagnare l’agire e l’operare delle Signorie del tempo. Nel XIII secolo già il Lorenzetti aveva nella città di Siena dipinto il tema delle virtù del buon governo. Il Vasari nel Palazzo della Cancelleria a Roma aveva raffigurato lo stesso tema. Nella Scuola Romana, di cui faceva parte Giulio Romano, Raffaello e allievi, il tema delle virtù è presente in tutti i cicli di affreschi nei palazzi e residenze gentilizie. Su questa scia culturale il Degubertino si accinge a dipingere ad affresco nel castello di Gambatesa le suddette virtù.

La Fortezza è una donna che regge un rocco di colonne, mentre un’altra spezzata è ai suoi piedi: “l’attributo dell’armatura è un vago ricordo, che si evidenzia nella spallina destra del corpetto dal colore dorato, e nei calzari che persi tutti i caratteri militari…” (F. Valente), ma quello che impressiona è la possanza delle forme, che avvolgono “l’erculeo”corpo con panneggio rigonfio dalle tinte rosso cangiante. La Carità è rappresentata da una donna scalza, dal corpo possente. Rimanda la composizione ai cicli dell’Eneide del Palazzo Apostolico, quando viene descritto Enea che scappa da Troia con sulle spalle il Padre Anchise e il piccolo Ascanio che tende la mano. La tunica della donna-Carità copre il suo corpo scultoreo, formando un voluminoso nodo sul fianco. Regge un bimbo che cerca la mammella, mentre trattiene un altro che si aggrappa alla gamba. Le composizioni pur nei cambiamenti compositivi hanno conservato il modello romano.

La Prudenza. Gli attributi che caratterizzano la descrizione di questa virtù sono il serpente e lo scudo. Il Decubertino nell’impostare il disegno fugge dalla composizione degli elementi tradizionali descrittivi propri della virtù indugiando sulla composizione della donna. Se si confrontano le Sibille o i Profeti della Sistina, ravvisiamo un richiamo compositivo di questa figura: testa dal collo taurino, dallo sguardo languido e dalle mani in atteggiamento supplice. La tunica avvolgente facendo trasparire le forme tornite, scultoree del corpo, che siede su scanno riquadrato con la semplice scritta “PRUDENCIA”. Le rappresentazioni delle due virtù della Giustizia e della Pace hanno la simbologia classica. La Pace brucia le armi, la Giustizia è adagiata quasi fosse una dea pagana, in uno sfondo classico, che regge la spada e la bilancia. La Fede regge un calice. Il Valente accosta la virtù della Concordia del Vasari come prototipo del Decubertino nel dipingere la Fortezza, tale opera è nella sala detta dei Cento Giorni nel palazzo della Cancelleria a Roma. Possono avere delle somiglianze, ma l’artista di Gambatesa ha soluzioni, a dir poco, geniali. È certamente di pregevole fattura compositiva la rappresentazione del salone delle virtù di Gambatesa, sia per lo schema architettonico, le fasce decorate, i riquadri con scorci di paesaggi allegorici o paesaggi che richiamano vedute di Roma antica, ma il movimento dello spettatore è attratto dal movimento gestuale dei personaggi in posizione frontale, oppure in posizione di sbieco. Pone anche un interrogativo, per esempio, la rappresentazione del rocco di colonne circa il potere: senza la virtù della Fortezza il governo si spezza. I medaglioni della parte meridionale con i busti di due imperatori riconoscibili dalle scritte: Domiziano (sotto il suo regno fu scritta l’Apoca- lisse. “Amministrò la giustizia – riferisce  Svetonio – con zelo e diligenza annullò le sentenze partigiane dei Triunviri… ammonì i giudici a non prestar fede a parole ambigue… indusse un Tribuno della plebe ad accusare di concussione un sordido edile e a chiedere contro di lui ai giudici al Senato…”) e Traiano (soldato e amministratore, uomo forte e giusto) diventano l’ideale del governo del Signore di Gambatesa. ☺

jacobuccig@gmail.com

 

 

 

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