Rito per iniziati
7 Settembre 2021
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Rito per iniziati

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv 6,54). Queste parole di Gesù sono dette al culmine di un lungo discorso sul pane di vita, fatto nella sinagoga di Cafarnao dopo la moltiplicazione dei pani, almeno stando al Vangelo di Giovanni. Proprio queste parole mettono in crisi non solo gli ascoltatori esterni ma molti discepoli che abbandonano Gesù, a differenza dei dodici che invece riaffermano per bocca di Pietro (“Signore da chi andremo?”) la loro fedeltà a lui. Onestamente dobbiamo ammettere che queste parole non appartengono al Gesù storico, come quasi tutte le parole riportate in Giovanni, ma sono frutto dell’elaborazione della comunità giovannea (o dei suoi “dirigenti-maestri”) nel contesto di un confronto-scontro sia con il giudaismo, sia con quei cristiani (ad esempio quelli più vicini a Giacomo fratello del Signore) che mantenevano la stretta osservanza delle pratiche religiose giudaiche e che non si riconoscevano né nella predicazione di Paolo, né nelle idee cristologiche della comunità giovannea.

Il discorso di Gesù sul pane che viene dal cielo ha avuto una grande importanza nella riflessione cristiana sull’ eucaristia sacramento, soprattutto in quell’epoca medievale in cui è stato più acceso il dibattito sulla presenza reale di Gesù nell’eucaristia ed è nata, nell’Occidente latino, una devozione accentuata del culto eucaristico, staccato dalla celebrazione della messa. Ma qual era lo scopo della riflessione del Vangelo di Giovanni, visto che a quei tempi non esistevano neppure le categorie della teologia scolastica che hanno poi influenzato fino ai nostri giorni il concetto che abbiamo dell’eucaristia? In realtà il linguaggio usato nel vangelo è metaforico e simbolico, perché la riflessione sul pane di vita aveva trovato la sua realizzazione simbolica nella Cena celebrata dai cristiani, in cui si rievocavano le parole di Gesù nell’ultima cena, ma si riferiva al mistero della persona di Gesù in quanto tale e a ciò che lui ha compiuto lungo tutta la sua vita: sia in lui che nella sua vita terrena la comunità giovannea vedeva la rivelazione definitiva di Dio, come è già annunciato solennemente nel Prologo del vangelo: “La Parola era presso Dio, la Parola era Dio” (Gv 1,1-18).

Per capire questo discorso fatto soprattutto per gli “iniziati” è necessario partire dalla famosa citazione che Gesù stesso ha fatto per rispondere al diavolo nella prima delle tre tentazioni: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, ripresa da Deuteronomio 8,3 dove Mosè rievoca l’episodio della manna. Nel Vangelo di Giovanni la Parola di Dio per eccellenza è Gesù stesso, la Parola fatta carne (1,14) che è superiore alla parola di Mosè, simboleggiata dalla manna, come è affermato nel prologo stesso: “La legge (cioè la Torah degli ebrei) fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità (o, sarebbe meglio tradurre, l’amore fedele di Dio) sono venute per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17).

I cristiani che leggevano il Vangelo di Giovanni vivevano la Cena come momento simbolico forte, come “rito per iniziati” ma sapevano bene che la celebrazione dell’eucaristia era il momento che ritualizzava la loro vita che volevano fosse sempre più conforme a quella di Gesù, unita a lui sì misticamente, ma soprattutto nella concretezza delle loro scelte etiche conformi al messaggio del vangelo. Il rito era successivo alla vita trasformata ed era il momento emotivamente coinvolgente in cui si riaffermava l’impegno di seguire Gesù fino in fondo. Non un rito sostitutivo o performativo come invece erano i sacrifici nel Tempio e che sia i profeti avevano accusato di falsità perché non corrispondenti alla vita secondo la legge di Dio, sia l’autore della lettera agli Ebrei aveva dichiarato inutili, perché ombra dell’unico sacrificio fatto da Gesù col dono della sua vita; per i cristiani l’unico sacrificio possibile era, sempre secondo questo autore, la condivisione dei beni: “Non dimenticatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace” (Eb 13,16), esattamente nella scia di ciò che dicevano i profeti nell’Antico Testamento.

Lo scandalo di cui parla il Vangelo di Giovanni sta nel fatto che i discepoli veri di Gesù, simboleggiati dai dodici, hanno abbandonato ogni pratica cultuale (sia giudaica che pagana) imitando Gesù in una vita qualificata eticamente e tanto era importante la celebrazione della Cena del Signore quanto attraverso di essa si riconosceva la reciproca appartenenza e mutua responsabilità, come ricorda anche Paolo in 1 Corinzi 11. Certo i pagani hanno accusato i cristiani di cannibalismo perché non capivano o non volevano capire la simbolicità del linguaggio, ma è stata una certa teologia che ha “cosificato” l’eucaristia rendendola un momento assoluto in se stessa, staccata dalla vita e riportata al livello di quei riti considerati vuoti nel Nuovo Testamento. Oggi le nostre messe e i nostri riti religiosi non scandalizzano nessuno ma sono visti, da “quelli di fuori” (e non solo), semplicemente come “cose antiche” tenute in vita da gente fuori tempo. Ciò che ancora scandalizza è che a quei riti non si accompagna una vita fondata sul vangelo, alla sequela di Gesù, Parola che viene dalla bocca di Dio e che può essere “mangiata” solo nella misura in cui è imitata.☺

 

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