S. Paolo il traghettatore
30 Agosto 2017
laFonteTV (3191 articles)
Share

S. Paolo il traghettatore

Se il vangelo di Matteo è stato fondamentale per l’assetto che il cristianesimo ha avuto dopo la fine della generazione apostolica, non possiamo negare l’ importanza di Paolo per aver posto le basi affinché il cristianesimo si distaccasse dalla sua matrice giudaica, trasformandosi da setta tra le altre (farisei, esseni, sadducei) in una nuova realtà religiosa per diventare un messaggio universale. Paolo, finché è rimasto in vita, non ha potuto vedere l’affermazione del suo pensiero; anzi, probabilmente è morto sentendosi incompreso da parte della maggioranza di coloro che riconoscevano Gesù come Messia d’Israele ma che allo stesso tempo non mettevano minimamente in dubbio l’adesione incondizionata all’osservanza della Legge di Mosè, che comportava il sottoporsi alla circoncisione, l’osservanza dei giorni sacri e la distinzione tra cibi puri e impuri. Tutte le questioni, insomma, che Paolo aveva combattuto con forza, non in sé, ma come segni di riconoscimento di coloro che, pur non provenendo dal giudaismo, avevano accolto Gesù come Messia e Salvatore e che secondo Paolo non avrebbero dovuto osservare i precetti cultuali della Legge, accogliendo, invece, solo la parte etica che riguardava un corretto comportamento verso il prossimo, tanto da affermare che tutta la Legge si compie in un unico comandamento: amare il prossimo come se stessi (Gal 5,14; Rm 13,9).

Per capire questa posizione di Paolo dobbiamo partire dalla sua esperienza personale: non si può comprendere il suo pensiero, infatti, se non teniamo conto del modo in cui si è lui stesso avvicinato alla fede in Gesù crocifisso e risorto, così come lui stesso ne parla nelle sue lettere autentiche (ormai è assodato, negli studi su Paolo, ritenere autentiche, cioè scritte o dettate da Paolo, 7 lettere su 13 e cioè: Romani, 1 e 2 Corinzi, Galati, Filippesi, 1 Tessalonicesi e Filemone).

Prima di diventare cristiano, Paolo era intento a perseguitare chi credeva in Gesù Messia (non pensiamo però a persecuzioni come quelle imperiali, ma a pressioni forti per espellere i giudei che aderivano a Gesù dalle comunità giudaiche, con la perdita dei privilegi di cui i giudei godevano di fronte allo stato romano), in quanto non poteva accettare che chi doveva liberare Israele (questo è il compito del messia, discendente di Davide) poteva incappare in una esplicita maledizione della Legge, come dirà poi esplicitamente in Gal 3,13: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto (e cita Deuteronomio 21,23): Maledetto chi è appeso al legno”. Per Saulo (è il suo nome israelita) era semplicemente una bestemmia pensare che l’inviato di Dio potesse essere maledetto da Dio stesso, autore della Legge. Quando però aderirà a Cristo, attraverso un’esperienza che è molto reticente a raccontare (ne accenna vagamente in Galati, mentre il racconto di Atti 9 deriva dalla necessità di riempire un vuoto narrativo circa la conversione di Paolo), capirà che quella Legge che per lui significava tutto, di fronte a Gesù Cristo perdeva ogni significato, e proprio maledicendo Cristo dimostrava la sua non provenienza diretta da Dio (questa tesi espressa duramente in Galati, sarà poi corretta in Romani, dove la Legge sarà vista in modo positivo e il difetto sarà trasferito nell’uomo ferito dal peccato da cui solo Gesù come Figlio di Dio avrebbe potuto liberare l’umanità).

La Legge a cui Paolo era così legato, in quanto formato nella setta dei farisei, di fronte all’ esperienza dell’incontro con Gesù risorto perdeva ogni significato e utilità, perché Paolo finalmente aveva respirato la libertà di poter aderire a un Dio che non passa il tempo a giudicare e condannare chi sbaglia, ma che attraverso Gesù ha voluto salvare in modo gratuito l’umanità immersa nell’abisso del peccato (che Paolo presenta come una sorta di “lato oscuro della forza” per usare il linguaggio di Star Wars, come si può vedere in Rm 7) e tutto ciò solo per un amore sconfinato per noi (Rm 5,8: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”). Se questo è vero, pretendere di sottoporre alle regole della Legge i non giudei che aderivano al vangelo è del tutto assurdo: la Legge infatti non salva dal peccato, semplicemente fa prendere coscienza all’uomo che sta peccando; non lo libera da questa forza oscura che è radicata nella parte più profonda della sua anima (ai nostri giorni il concetto psicanalitico di inconscio potrebbe far comprendere ciò di cui Paolo parla), in quanto comunque continuerà a ripetere i soliti sbagli, una vera coazione a ripetere gli stessi errori. Paolo ne parla in modo sublime in Fil 3: “Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo” (3,7-8).

I discepoli storici di Gesù avevano sentito le parole del Maestro di Nazaret per cui avevano letto in modo diverso la sua morte in croce, cioè come la persecuzione del giusto. Paolo non aveva frequentato Gesù, per cui lo considerava un impostore insieme ai suoi seguaci. La Legge a cui lui da ebreo e fariseo aveva aderito con tutto il cuore non gli permetteva di comprendere Gesù e quando in modo misterioso Gesù ha forzato la sua mente e il suo cuore, la Legge era stata percepita da Paolo come l’ostacolo maggiore. Tra la Legge e Cristo, ha scelto Cristo ed è anche per questo che il cristianesimo, mettendosi in ascolto di Paolo, qualche decennio dopo la sua morte, è diventato un’altra cosa. ☺

 

laFonteTV

laFonteTV