In tempo di campagna elettorale tutti i partiti del centro sinistra, in nome di una coesione non solo elettorale, ma anche programmatica, hanno steso un testo propositivo (programma), a dire il vero molto voluminoso, fissando per punti gli obiettivi da raggiungere e le modifiche da apportare ai testi normativi che nel precedente periodo berlusconiano hanno fatto inorridire l’Europa.
Ad una posizione rigida assunta dalla sinistra radicale in ordine allo smantellamento completo della riforma del mercato del lavoro se ne è contrapposta un’altra moderata volta ad ottenerne soltanto la modifica parziale. Ha prevalso la via mediana, quella della riformulazione e/o riscrittura, soluzione di compromesso, che, come di solito avviene in Italia, oltre a rendere poco comprensibili gli intenti sostanziali dei suoi “autori”, pare affidata ad una mera soluzione terminologica.
Oggi, a distanza di circa due anni dall’amara vittoria elettorale, nulla è stato modificato della cd. Legge Biagi.
Sin da subito evidenziammo la pericolosità di alcune norme, come quella sull’abolizione del divieto di interposizione di mano d’opera che, grazie all’introduzione di alcune sanzioni in materia d’appalto, è stato di fatto ripristinato in fretta e furia dallo stesso Governo di centro destra. Tuttavia, la situazione di “vuoto” venutasi a creare nell’immediatezza della predetta abolizione ha creato disguidi per circa un anno a causa di alcuni imprenditori spregiudicati, che hanno fatto ricorso al “caporalato” in maniera alquanto disinvolta.
Ma uno degli aspetti più preoccupanti è rappresentato dalla modifica alla disciplina del trasferimento d’azienda, o meglio di un ramo di essa.
Prima della riforma, infatti, per trasferire un segmento aziendale era necessario che questo avesse autonomia funzionale, nel senso che doveva essere una parte dell’azienda capace di poter vivere da sola sia dal punto di vista organizzativo, sia dal punto di vista produttivo. Solo a titolo di esempio è opportuno ricordare uno dei più grandi trasferimenti avutisi negli ultimi anni anche nella nostra regione, quale la cessione da parte di FIAT del suo reparto logistico ad ARCESE e da questa, successivamente, a TNT ARVIL.
Bene, il trasferimento del ramo poteva considerarsi legittimo – in epoca anteriore alla riforma – solo in caso di autonomia funzionale dello stesso. Per contro la riforma prevede che tale parametro debba essere stabilito concordemente tra cedente e cessionario, cioè da chi vende o affitta e chi compra o conduce e la decisione in tal senso assunta non è sindacabile in virtù della protezione offerta agli imprenditori dall’art. 41 della Costituzione, sancente il principio della libertà di iniziativa economica privata.
Ora, ci risulta che dal settembre 2003 ad oggi numerosi sono stati i trasferimenti “strumentali”, cioè quelli aventi ad oggetto reparti creati ad hoc dall’imprenditore, convogliando in essi tutti i lavoratori scomodi (sindacalisti, malati) in numero non superiore a 14 e vendendoli ad altra impresa di comodo, che ha prontamente provveduto a licenziarli con poche conseguenze, trattandosi di azienda con meno di 15 dipendenti, pertanto collocata nell’area di non applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Sulla base di tali presupposti è lecito chiedersi se abbia ancora senso l’esistenza nel nostro ordinamento giuridico dell’art. 18 testé citato.
Alla luce del tratteggiato scenario, preme evidenziare che il tema cui si è accennato è uno di quelli più scottanti in materia di mercato del lavoro e richiede che la sua “rielaborazione” avvenga nel più breve tempo possibile, poiché il tempo che passa lascia uomini senza lavoro e nella devastazione sociale.
Ne deriva che il dibattito del prossimo mese di settembre dovrà affrontare tali argomenti con estrema serietà e senza differimenti ulteriori. Si spera che non sia una nuova odissea come quella del “conflitto d’interessi”. ☺
marx73@virgilio.it
In tempo di campagna elettorale tutti i partiti del centro sinistra, in nome di una coesione non solo elettorale, ma anche programmatica, hanno steso un testo propositivo (programma), a dire il vero molto voluminoso, fissando per punti gli obiettivi da raggiungere e le modifiche da apportare ai testi normativi che nel precedente periodo berlusconiano hanno fatto inorridire l’Europa.
Ad una posizione rigida assunta dalla sinistra radicale in ordine allo smantellamento completo della riforma del mercato del lavoro se ne è contrapposta un’altra moderata volta ad ottenerne soltanto la modifica parziale. Ha prevalso la via mediana, quella della riformulazione e/o riscrittura, soluzione di compromesso, che, come di solito avviene in Italia, oltre a rendere poco comprensibili gli intenti sostanziali dei suoi “autori”, pare affidata ad una mera soluzione terminologica.
Oggi, a distanza di circa due anni dall’amara vittoria elettorale, nulla è stato modificato della cd. Legge Biagi.
Sin da subito evidenziammo la pericolosità di alcune norme, come quella sull’abolizione del divieto di interposizione di mano d’opera che, grazie all’introduzione di alcune sanzioni in materia d’appalto, è stato di fatto ripristinato in fretta e furia dallo stesso Governo di centro destra. Tuttavia, la situazione di “vuoto” venutasi a creare nell’immediatezza della predetta abolizione ha creato disguidi per circa un anno a causa di alcuni imprenditori spregiudicati, che hanno fatto ricorso al “caporalato” in maniera alquanto disinvolta.
Ma uno degli aspetti più preoccupanti è rappresentato dalla modifica alla disciplina del trasferimento d’azienda, o meglio di un ramo di essa.
Prima della riforma, infatti, per trasferire un segmento aziendale era necessario che questo avesse autonomia funzionale, nel senso che doveva essere una parte dell’azienda capace di poter vivere da sola sia dal punto di vista organizzativo, sia dal punto di vista produttivo. Solo a titolo di esempio è opportuno ricordare uno dei più grandi trasferimenti avutisi negli ultimi anni anche nella nostra regione, quale la cessione da parte di FIAT del suo reparto logistico ad ARCESE e da questa, successivamente, a TNT ARVIL.
Bene, il trasferimento del ramo poteva considerarsi legittimo – in epoca anteriore alla riforma – solo in caso di autonomia funzionale dello stesso. Per contro la riforma prevede che tale parametro debba essere stabilito concordemente tra cedente e cessionario, cioè da chi vende o affitta e chi compra o conduce e la decisione in tal senso assunta non è sindacabile in virtù della protezione offerta agli imprenditori dall’art. 41 della Costituzione, sancente il principio della libertà di iniziativa economica privata.
Ora, ci risulta che dal settembre 2003 ad oggi numerosi sono stati i trasferimenti “strumentali”, cioè quelli aventi ad oggetto reparti creati ad hoc dall’imprenditore, convogliando in essi tutti i lavoratori scomodi (sindacalisti, malati) in numero non superiore a 14 e vendendoli ad altra impresa di comodo, che ha prontamente provveduto a licenziarli con poche conseguenze, trattandosi di azienda con meno di 15 dipendenti, pertanto collocata nell’area di non applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Sulla base di tali presupposti è lecito chiedersi se abbia ancora senso l’esistenza nel nostro ordinamento giuridico dell’art. 18 testé citato.
Alla luce del tratteggiato scenario, preme evidenziare che il tema cui si è accennato è uno di quelli più scottanti in materia di mercato del lavoro e richiede che la sua “rielaborazione” avvenga nel più breve tempo possibile, poiché il tempo che passa lascia uomini senza lavoro e nella devastazione sociale.
Ne deriva che il dibattito del prossimo mese di settembre dovrà affrontare tali argomenti con estrema serietà e senza differimenti ulteriori. Si spera che non sia una nuova odissea come quella del “conflitto d’interessi”. ☺
In tempo di campagna elettorale tutti i partiti del centro sinistra, in nome di una coesione non solo elettorale, ma anche programmatica, hanno steso un testo propositivo (programma), a dire il vero molto voluminoso, fissando per punti gli obiettivi da raggiungere e le modifiche da apportare ai testi normativi che nel precedente periodo berlusconiano hanno fatto inorridire l’Europa.
Ad una posizione rigida assunta dalla sinistra radicale in ordine allo smantellamento completo della riforma del mercato del lavoro se ne è contrapposta un’altra moderata volta ad ottenerne soltanto la modifica parziale. Ha prevalso la via mediana, quella della riformulazione e/o riscrittura, soluzione di compromesso, che, come di solito avviene in Italia, oltre a rendere poco comprensibili gli intenti sostanziali dei suoi “autori”, pare affidata ad una mera soluzione terminologica.
Oggi, a distanza di circa due anni dall’amara vittoria elettorale, nulla è stato modificato della cd. Legge Biagi.
Sin da subito evidenziammo la pericolosità di alcune norme, come quella sull’abolizione del divieto di interposizione di mano d’opera che, grazie all’introduzione di alcune sanzioni in materia d’appalto, è stato di fatto ripristinato in fretta e furia dallo stesso Governo di centro destra. Tuttavia, la situazione di “vuoto” venutasi a creare nell’immediatezza della predetta abolizione ha creato disguidi per circa un anno a causa di alcuni imprenditori spregiudicati, che hanno fatto ricorso al “caporalato” in maniera alquanto disinvolta.
Ma uno degli aspetti più preoccupanti è rappresentato dalla modifica alla disciplina del trasferimento d’azienda, o meglio di un ramo di essa.
Prima della riforma, infatti, per trasferire un segmento aziendale era necessario che questo avesse autonomia funzionale, nel senso che doveva essere una parte dell’azienda capace di poter vivere da sola sia dal punto di vista organizzativo, sia dal punto di vista produttivo. Solo a titolo di esempio è opportuno ricordare uno dei più grandi trasferimenti avutisi negli ultimi anni anche nella nostra regione, quale la cessione da parte di FIAT del suo reparto logistico ad ARCESE e da questa, successivamente, a TNT ARVIL.
Bene, il trasferimento del ramo poteva considerarsi legittimo – in epoca anteriore alla riforma – solo in caso di autonomia funzionale dello stesso. Per contro la riforma prevede che tale parametro debba essere stabilito concordemente tra cedente e cessionario, cioè da chi vende o affitta e chi compra o conduce e la decisione in tal senso assunta non è sindacabile in virtù della protezione offerta agli imprenditori dall’art. 41 della Costituzione, sancente il principio della libertà di iniziativa economica privata.
Ora, ci risulta che dal settembre 2003 ad oggi numerosi sono stati i trasferimenti “strumentali”, cioè quelli aventi ad oggetto reparti creati ad hoc dall’imprenditore, convogliando in essi tutti i lavoratori scomodi (sindacalisti, malati) in numero non superiore a 14 e vendendoli ad altra impresa di comodo, che ha prontamente provveduto a licenziarli con poche conseguenze, trattandosi di azienda con meno di 15 dipendenti, pertanto collocata nell’area di non applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Sulla base di tali presupposti è lecito chiedersi se abbia ancora senso l’esistenza nel nostro ordinamento giuridico dell’art. 18 testé citato.
Alla luce del tratteggiato scenario, preme evidenziare che il tema cui si è accennato è uno di quelli più scottanti in materia di mercato del lavoro e richiede che la sua “rielaborazione” avvenga nel più breve tempo possibile, poiché il tempo che passa lascia uomini senza lavoro e nella devastazione sociale.
Ne deriva che il dibattito del prossimo mese di settembre dovrà affrontare tali argomenti con estrema serietà e senza differimenti ulteriori. Si spera che non sia una nuova odissea come quella del “conflitto d’interessi”. ☺
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