Nei giorni scorsi ho partecipato alla marcia di solidarietà per Celeste, presidente dell’ARCI di Isernia, accoltellato, perché diverso e comunista, mentre cercava di impedire ad un giovane fascista e neonazista l’ingresso nella locale sede dell’associazione. Non ho visto mai uno schieramento di polizia, in divisa ed in borghese, così massiccio rispetto al numero, tutto sommato esiguo, di manifestanti. Da Termoli proveniva un piccolo gruppo di venti persone, tra i quali i ragazzi e gli operatori della comunità il noce, che pochi giorni prima avevano manifestato insieme a Celeste a Roma in difesa dell’acqua pubblica. Ma la Chiesa locale era assente così come le istituzioni. Perché, se un fatto così grave era accaduto nel centro cittadino e per poco non costava la vita di una persona? La violenza ha forse un colore o una connotazione politica tanto da indurre a partecipare o meno a seconda della propria appartenenza diretta? Mi è venuto in mente uno scritto di un autore tedesco, Bertolt Brecht, secondo il quale quando il nazismo iniziò a prendere piede in Germania appariva come qualcosa che riguardava sempre gli altri: preti, sindacalisti, omosessuali, ebrei, insomma i diversi, ma ci si consolava dicendo: “che mi importa tanto io non sono come loro”, e l’amara conclusione dell’autore fu: “un giorno vennero a prendere proprio me, ma era troppo tardi”.
Celeste è una brava persona, ma pochi nel paese hanno espresso solidarietà. Come se quella violenza fosse qualcosa che appartenesse ad altri. Eppure in quella città vi erano già stati segnali inquietanti che erano stati puntualmente denunciati e sottovalutati dalle forze dell’ordine.
E poi la Chiesa. Mi domando: se fosse stato accoltellato un catechista sarebbe scesa in piazza? Perché siamo capaci di manifestare quando riteniamo siano messi in discussione i nostri diritti e con difficoltà quelli degli altri ovvero quelli di ciascuno e di tutti? Con Celeste ci eravamo ritrovati per raccogliere le firme sulla legge di iniziativa popolare per l’acqua, e quando si è trattato di mettere a disposizione un pullman per Roma, che la Diocesi ha finanziato, era stato accolto come amico, anche se le sue idee sulla Chiesa sono critiche. Vorrei dirgli che i suoi concittadini cristiani lo amano e gli stanno accanto, ma incontro notevoli difficoltà perché l’assenza alla manifestazione ha pesato come un macigno ed è in stridente contrasto con l’utilizzo improprio da parte dell’istituzione Chiesa “dei segni del potere in luogo del potere dei segni”. Pochi giorni dopo ho partecipato, in qualità di relatore, alla giornata di azione globale mondiale organizzata, quest’anno in ogni parte del pianeta, ed in particolare, questa, dai social forum locali di Foggia. Anche lì la violenza ha messo a dura prova la città ed in particolare preti e politici in prima linea, minacciati direttamente dalla malavita locale. Mi hanno applaudito come rappresentante dell’unica diocesi d’Italia impegnata sul tema dell’acqua. Ho contraccambiato ringraziandoli per il coraggio e la testimonianza che mi davano perché rischiavano la vita; era infatti presente proprio l’assessore che il giorno prima, per via delle gravi minacce, era stato messo sotto scorta. Durante il mio intervento ho messo in luce il contributo fondamentale che il magistero della chiesa, raccolto nel compendio sulla dottrina sociale, ci aveva dato per motivare la partecipazione, accanto a loro, alle battaglie sull’acqua come diritto. Al termine molti dei presenti mi hanno chiesto dove era possibile acquistare il testo del compendio e se lo avevano scritto i “comunisti”. In sala, anche a Foggia, nessun esponente della Chiesa locale. Mi è dispiaciuto perché gli organizzatori ci tenevano tanto. Ritengo che la nostra partecipazione come Chiesa locale alle attività di frontiera sia importantissima, ma temo incompresa perché vi è una sostanziale indifferenza e poca conoscenza della dottrina sociale che Giovanni Paolo II definì “il vangelo sociale dei nostri tempi”. Ecco una missione fondamentale: promuoverne in ogni modo la conoscenza, lo studio e l’applicazione. Ma per far questo è necessario introdurla nei processi ordinari di formazione e questo è stato, di recente e con coraggio, fatto proprio nel corso triennale di specializzazione degli agenti pastorali della nostra diocesi. È un segno di speranza! Forse dalla “periferia” stiamo già costruendo un pezzo di storia alternativa e controcorrente che questo mensile ha raccontato, anticipato ed interpretato. ☺
adelellis@virgilio.it
Nei giorni scorsi ho partecipato alla marcia di solidarietà per Celeste, presidente dell’ARCI di Isernia, accoltellato, perché diverso e comunista, mentre cercava di impedire ad un giovane fascista e neonazista l’ingresso nella locale sede dell’associazione. Non ho visto mai uno schieramento di polizia, in divisa ed in borghese, così massiccio rispetto al numero, tutto sommato esiguo, di manifestanti. Da Termoli proveniva un piccolo gruppo di venti persone, tra i quali i ragazzi e gli operatori della comunità il noce, che pochi giorni prima avevano manifestato insieme a Celeste a Roma in difesa dell’acqua pubblica. Ma la Chiesa locale era assente così come le istituzioni. Perché, se un fatto così grave era accaduto nel centro cittadino e per poco non costava la vita di una persona? La violenza ha forse un colore o una connotazione politica tanto da indurre a partecipare o meno a seconda della propria appartenenza diretta? Mi è venuto in mente uno scritto di un autore tedesco, Bertolt Brecht, secondo il quale quando il nazismo iniziò a prendere piede in Germania appariva come qualcosa che riguardava sempre gli altri: preti, sindacalisti, omosessuali, ebrei, insomma i diversi, ma ci si consolava dicendo: “che mi importa tanto io non sono come loro”, e l’amara conclusione dell’autore fu: “un giorno vennero a prendere proprio me, ma era troppo tardi”.
Celeste è una brava persona, ma pochi nel paese hanno espresso solidarietà. Come se quella violenza fosse qualcosa che appartenesse ad altri. Eppure in quella città vi erano già stati segnali inquietanti che erano stati puntualmente denunciati e sottovalutati dalle forze dell’ordine.
E poi la Chiesa. Mi domando: se fosse stato accoltellato un catechista sarebbe scesa in piazza? Perché siamo capaci di manifestare quando riteniamo siano messi in discussione i nostri diritti e con difficoltà quelli degli altri ovvero quelli di ciascuno e di tutti? Con Celeste ci eravamo ritrovati per raccogliere le firme sulla legge di iniziativa popolare per l’acqua, e quando si è trattato di mettere a disposizione un pullman per Roma, che la Diocesi ha finanziato, era stato accolto come amico, anche se le sue idee sulla Chiesa sono critiche. Vorrei dirgli che i suoi concittadini cristiani lo amano e gli stanno accanto, ma incontro notevoli difficoltà perché l’assenza alla manifestazione ha pesato come un macigno ed è in stridente contrasto con l’utilizzo improprio da parte dell’istituzione Chiesa “dei segni del potere in luogo del potere dei segni”. Pochi giorni dopo ho partecipato, in qualità di relatore, alla giornata di azione globale mondiale organizzata, quest’anno in ogni parte del pianeta, ed in particolare, questa, dai social forum locali di Foggia. Anche lì la violenza ha messo a dura prova la città ed in particolare preti e politici in prima linea, minacciati direttamente dalla malavita locale. Mi hanno applaudito come rappresentante dell’unica diocesi d’Italia impegnata sul tema dell’acqua. Ho contraccambiato ringraziandoli per il coraggio e la testimonianza che mi davano perché rischiavano la vita; era infatti presente proprio l’assessore che il giorno prima, per via delle gravi minacce, era stato messo sotto scorta. Durante il mio intervento ho messo in luce il contributo fondamentale che il magistero della chiesa, raccolto nel compendio sulla dottrina sociale, ci aveva dato per motivare la partecipazione, accanto a loro, alle battaglie sull’acqua come diritto. Al termine molti dei presenti mi hanno chiesto dove era possibile acquistare il testo del compendio e se lo avevano scritto i “comunisti”. In sala, anche a Foggia, nessun esponente della Chiesa locale. Mi è dispiaciuto perché gli organizzatori ci tenevano tanto. Ritengo che la nostra partecipazione come Chiesa locale alle attività di frontiera sia importantissima, ma temo incompresa perché vi è una sostanziale indifferenza e poca conoscenza della dottrina sociale che Giovanni Paolo II definì “il vangelo sociale dei nostri tempi”. Ecco una missione fondamentale: promuoverne in ogni modo la conoscenza, lo studio e l’applicazione. Ma per far questo è necessario introdurla nei processi ordinari di formazione e questo è stato, di recente e con coraggio, fatto proprio nel corso triennale di specializzazione degli agenti pastorali della nostra diocesi. È un segno di speranza! Forse dalla “periferia” stiamo già costruendo un pezzo di storia alternativa e controcorrente che questo mensile ha raccontato, anticipato ed interpretato. ☺
Nei giorni scorsi ho partecipato alla marcia di solidarietà per Celeste, presidente dell’ARCI di Isernia, accoltellato, perché diverso e comunista, mentre cercava di impedire ad un giovane fascista e neonazista l’ingresso nella locale sede dell’associazione. Non ho visto mai uno schieramento di polizia, in divisa ed in borghese, così massiccio rispetto al numero, tutto sommato esiguo, di manifestanti. Da Termoli proveniva un piccolo gruppo di venti persone, tra i quali i ragazzi e gli operatori della comunità il noce, che pochi giorni prima avevano manifestato insieme a Celeste a Roma in difesa dell’acqua pubblica. Ma la Chiesa locale era assente così come le istituzioni. Perché, se un fatto così grave era accaduto nel centro cittadino e per poco non costava la vita di una persona? La violenza ha forse un colore o una connotazione politica tanto da indurre a partecipare o meno a seconda della propria appartenenza diretta? Mi è venuto in mente uno scritto di un autore tedesco, Bertolt Brecht, secondo il quale quando il nazismo iniziò a prendere piede in Germania appariva come qualcosa che riguardava sempre gli altri: preti, sindacalisti, omosessuali, ebrei, insomma i diversi, ma ci si consolava dicendo: “che mi importa tanto io non sono come loro”, e l’amara conclusione dell’autore fu: “un giorno vennero a prendere proprio me, ma era troppo tardi”.
Celeste è una brava persona, ma pochi nel paese hanno espresso solidarietà. Come se quella violenza fosse qualcosa che appartenesse ad altri. Eppure in quella città vi erano già stati segnali inquietanti che erano stati puntualmente denunciati e sottovalutati dalle forze dell’ordine.
E poi la Chiesa. Mi domando: se fosse stato accoltellato un catechista sarebbe scesa in piazza? Perché siamo capaci di manifestare quando riteniamo siano messi in discussione i nostri diritti e con difficoltà quelli degli altri ovvero quelli di ciascuno e di tutti? Con Celeste ci eravamo ritrovati per raccogliere le firme sulla legge di iniziativa popolare per l’acqua, e quando si è trattato di mettere a disposizione un pullman per Roma, che la Diocesi ha finanziato, era stato accolto come amico, anche se le sue idee sulla Chiesa sono critiche. Vorrei dirgli che i suoi concittadini cristiani lo amano e gli stanno accanto, ma incontro notevoli difficoltà perché l’assenza alla manifestazione ha pesato come un macigno ed è in stridente contrasto con l’utilizzo improprio da parte dell’istituzione Chiesa “dei segni del potere in luogo del potere dei segni”. Pochi giorni dopo ho partecipato, in qualità di relatore, alla giornata di azione globale mondiale organizzata, quest’anno in ogni parte del pianeta, ed in particolare, questa, dai social forum locali di Foggia. Anche lì la violenza ha messo a dura prova la città ed in particolare preti e politici in prima linea, minacciati direttamente dalla malavita locale. Mi hanno applaudito come rappresentante dell’unica diocesi d’Italia impegnata sul tema dell’acqua. Ho contraccambiato ringraziandoli per il coraggio e la testimonianza che mi davano perché rischiavano la vita; era infatti presente proprio l’assessore che il giorno prima, per via delle gravi minacce, era stato messo sotto scorta. Durante il mio intervento ho messo in luce il contributo fondamentale che il magistero della chiesa, raccolto nel compendio sulla dottrina sociale, ci aveva dato per motivare la partecipazione, accanto a loro, alle battaglie sull’acqua come diritto. Al termine molti dei presenti mi hanno chiesto dove era possibile acquistare il testo del compendio e se lo avevano scritto i “comunisti”. In sala, anche a Foggia, nessun esponente della Chiesa locale. Mi è dispiaciuto perché gli organizzatori ci tenevano tanto. Ritengo che la nostra partecipazione come Chiesa locale alle attività di frontiera sia importantissima, ma temo incompresa perché vi è una sostanziale indifferenza e poca conoscenza della dottrina sociale che Giovanni Paolo II definì “il vangelo sociale dei nostri tempi”. Ecco una missione fondamentale: promuoverne in ogni modo la conoscenza, lo studio e l’applicazione. Ma per far questo è necessario introdurla nei processi ordinari di formazione e questo è stato, di recente e con coraggio, fatto proprio nel corso triennale di specializzazione degli agenti pastorali della nostra diocesi. È un segno di speranza! Forse dalla “periferia” stiamo già costruendo un pezzo di storia alternativa e controcorrente che questo mensile ha raccontato, anticipato ed interpretato. ☺
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